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Hold the dark (2018): Homo homini lupus

Dopo tre film in cui gli interni facevano la parte del leone, Jeremy Saulnier deve aver pensato che era il momento di una bella scampagnata all’aperto, oppure il nostro si è semplicemente lasciato tentare dal caldo abbraccio di Netflix, che ha prodotto e messo a disposizione la sua ultima fatica sulla celebre piattaforma.

Sta di fatto che l’ottimo “Murder Party” (2007) poteva anche essere etichettato come il classico caso di fortuna del principiante, mentre il bellissimo “Blue Ruin” (2013) ha lasciato intendere che no, non era certo stato un isolato colpo di culo, ma forse questo Jeremy sapeva davvero il fatto suo, dettaglio che è diventato una sicurezza quando è uscito Green Room, a mio avviso ancora il miglior film di Saulnier. Cazzarola! Se avesse azzeccato anche il quattro su quattro, ci sarebbe stato da gridare al miracolo, invece “Hold the dark” è solamente un buon thriller, molto ben fatto che però non mi ha convito molto. Sfumato il 100% di realizzazione di Geremia.

Bisogna dire che la difficoltà questa volta è data dall’adattamento, si perché la tematica tanto cara a Jeremy Saulnier è quella che dentro ognuno di noi, ci sia un lato animale, pronto a venire a galla se la situazione dovesse richiederlo, un tema che è alla base anche del romanzo omonimo di William Giraldi, che lo sceneggiatore di fiducia di Saulinier, ovvero Macon Blair adatta per il grande schermo, o piccolo schermo trattandosi di una produzione Netflix. Purtroppo non tutto ha funzionato alla grande, non è semplice trovare lavori così vicini alla propria poetica per un regista, ma bisogno ammettere che anche il nostro Geremia ha qualche colpa.

Russell Core (il Jeffrey Wright di Westworld) è un naturalista in pensione esperto del comportamento dei lupi, viene convocato in Alaska da Medora Sloane (Riley Keough) una donna che lo incarica di ritrovare il figlio scomparso, secondo lei, rapito da un branco di lupi. Ma all’equazione aggiungiamo anche il marito della donna, Vernon Sloane (Alexander Skarsgård che dopo Mute ormai sembra il ragazzo copertina di Netflix) di ritorno dalla guerra in Afghanistan, e non proprio con tutte le rotelline al suo posto.

«Non ci sono robot che blaterano per ore qui, vero?» 

Ammettiamolo, se dalle due ore e cinque minuti di durata di “Hold the dark” fossero stati troncati via trenta o quaranta minuti, il film ne avrebbe sicuramente giovato. Saulinier ci mostra come Vernon in guerra abbia fatto e visto cose che lo hanno cambiato, venendo così a contatto con il lato animale che sta tanto a cuore al regista, niente di nuovo se non fosse che per una volta, un reduce di una delle tante guerre americane moderne, viene mostrato come leggerissimamente toccato, invece del solito santo laico che torna a casa come un eroe dopo aver portato la democrazia e altre farloccate del genere.

Purtroppo il regista si sofferma tanto, anche troppo, su un’atmosfera onirica in cui le montagne e le pianure innevate dell’Alaska riempiono lo schermo, comprensibile dopo tanti film tutto ambientato in interni, ma guarda caso l’unica scena decente è la grossa sparatoria di metà film, in cui Saulinier non tira via la mano e mostra buchi di entrata e fori d’uscita, ma anche mandibole che saltano in primo piano, insomma, un piccolo assedio (come in Green Room) che è stato anche l’unico momento in cui ho sperato che le due ore e qualcosa del film, non fossero tutte sprecate.

Un buon modo per movimentare un po’ un film.

La sparatoria in sé è davvero ben fatta, nulla da dire, purtroppo “Hold the dark” non ambisce ad essere un western tra le nevi (una specie di sotto genere con padri nobili notevoli) quando più che altro preferisce filosofeggiare sulla natura dell’uomo, come è molto semplice intuire, quando diventa (molto presto in effetti) chiaro che i predatori che hanno fatto sparire il ragazzo siano si lupi, ma a due zampe, “Hold the dark” diventa un fin troppo diluito e simbolico Homo homini lupus, con tanto di maschera finale che a dirla tutta, mi ha tolto un po’ di credibilità a tutta la vicenda, pensavo che da un momento all’altro qualcuno dei personaggi dicesse: Ma che cacchio ti sei messo sulla faccia?

«Amico mio ho fatto quella porcata di Tarzan, quattro lupi non possono spaventarmi»

Insomma la trama non è certo il punto forte del film, e purtroppo Saulinier spende tanto, diciamo anche troppo tempo a dare spazio a monti e montagne, puntando ad una ricercatezza che rimane limitata solo alla messa in scena, quella sì davvero ottima, perché magari “Hold the dark” resta un romanzo che non si adatta alla perfezione al cinema da interni di Saulinier, ma dal punto di vista della realizzazione, il talento del regista non è in discussione.

Forse il problema principale per “Hold the dark” sono i paragoni, mentre lo guardavo mi sono ritrovato a pensare più e più volte all’ottimo I segreti di Wind River, in cui un po’ per i paesaggi, un po’ per il tema di fondo, è un titolo che viene istintivo associare, con il problema che Taylor Sheridan ha saputo andare dritto al punto molto meglio di Saulinier, senza perdersi in troppe frivolezze. Quindi al momento, quello che ha la possibilità concreta di realizzare un bel quattro su quattro (almeno come sceneggiatore) è proprio Sheridan, visto che a breve uscirà “Soldado” film che attendo, non necessariamente poco.

Per ora, anche se “Hold the dark” non è tutto pesche e crema, resta solamente un buon film anche se non mi ha convinto molto, insomma nulla di irreparabile per la filmografia di Jeremy Saulnier, ci vogliono anche i titoli minori in fondo.

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