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Homeland – Stagione 1: Va’ e uccidi (The al-Qaida Candidate)

Mi sembra di
sentirvi da qui, i vostri cori di “BUUUUUUU”.
Lo so, lo so,
recupero questa serie con un ritardo vergognoso, ma ho un’attenuante: sono
stato prigioniero di al-Qaida per gli ultimi otto anni. No non è vero, sono
vittima di una cosa anche peggiore… Gli SPOILER!

Sì, perché non
ho fatto in tempo ad esprimere il mio interesse per questa serie, che sono
stato bombardato di anticipazioni sulla trama, comprese le svolte grosse,
compresa quella grossa grossa grossa della terza stagione.
Quindi, potete
immaginare che la mia voglia di iniziare la serie sia finita sotto le suole
delle scarpe.
In compenso
più voci mi hanno confermato che la qualità generale è rimasta alta e poi
proprio alla luce di QUELLA rivelazione mi sono chiesto come fosse possibile
far proseguire la storia, insomma… Ho iniziato a guardare “Homeland”. Ve lo
dico subito: io sono stato vittima di SPOILER (il governo dovrebbe fare una
campagna pubblicitaria tipo quella anti bullismo che sono molto uti… Vabbè
lasciamo perdere), ma non ho intenzione di rifarmi su di voi, quindi tengo la
bocca cucita, niente anticipazioni promesso.
Il marines Nicholas
Brody (Damian Lewis) in missione in Afghanistan, viene catturato e dato per disperso,
tanto che la sua moglie Jessica (la sempre guardabile Morena Baccarin), novella
Penelope, ha atteso il suo ritorno per sei anni, prima di consolarsi tra le
braccia del migliore amico del marito, il soldato Mike (Diego Klattenhoff…
Salute!).



Il collo di Morena Baccarin avrebbe fatto la gioia di Modigliani.
Sorpresa! Dopo
otto anni, un’operazione di salvataggio coordinata dalla CIA, durante un
tentativo di cattura del terrorista internazionale Abu Nazir (nome con schema 3
+ 5, così suona come Bin Laden), trova Nicholas (anche se tutti, parenti
compresi lo chiamano Brody) vivo e vegeto. Tornato in patria come un eroe dovrà
affrontare le difficoltà del trauma subìto e oltre alla difficoltà familiari,
il “Roscio” si ritroverà al centro delle mire politiche del Vice
Presidente degli Stati Uniti, che vuole sfruttare Brody come uomo copertina a
favore della guerra, nella sua corsa alla Casa Bianca… Stacce! Prima devi scalzare Frank Underwood ciccio!
Quello che
nessuno sa, è che nel frattempo Brody si è convertito all’Islam ed è la pedina
chiave in un grande attentato terroristico sul territorio americano… Ho sentito
soggetti appena appena meno interessanti di questo.
Confesso
subito di aver scambiato a lungo il rosso Damian Lewis, per il protagonista
della serie Tv “La Zona Morta” tratta da un gran libro di Stephen King, invece
era il rosso de “L’acchiappasogni”, quindi è un caso di Lapsus Kinghiano. Ma forse
nemmeno tanto, perché “La Zona Morta” (libro) era geniale nel farci provare
empatia ed addirittura affezionare al povero John Smith, l’uomo comune (anche
nel nome) che incarnava da solo il grande incubo americano, l’uomo con il
fucile che spara al Presidente.



Ho capito perchè li ho confusi: uno dei due era il rosso di “The Breakfast club”.
Per anni è
stato il grande spauracchio a stelle e strisce, almeno fino ad una brutta
mattina del Settembre del 2011, dove la paura è cambiata, diventando molto
simile, ma su scala internazionale. In questo senso Nicholas Brody e John Smith
hanno molto in comune, può sembrare un modo per giustificare il mio lapsus, ma
mi rendo conto che alla fine i due personaggi hanno davvero qualcosa in comune…
Minchia, ma allora qualche neurone ancora in vita qui dentro c’è!
“Homeland” è
liberamente ispirato alla serie israeliana “Hatufim”, che non conosco, quindi,
non vi posso dire nulla. Quello che vi posso dire, invece, è che il cast è davvero
azzeccato: Damian Lewis ha l’occhio lucido e lo sguardo impassibile di chi
nasconde un grosso segreto, per altro alimentando involontariamente la già
brutta fama delle persone con i capelli rossi… Ma credo che questo non fosse
previsto dalla sceneggiatura.
Il bello della
prima stagione di “Homeland” è la sua capacità di tenerti incollato fino all’ultimo
episodio, un po’ perché vuoi capire quali sono le motivazioni che hanno spinto
un orgoglioso Marines (per altro fiero di esserlo) ad abbracciare una nuova
religione, ma soprattutto una missione suicida. Bisogna dire che le sue
motivazioni tengono abbastanza botta e sono meno banali di quello che si
potrebbe immaginare.



American dream (plan B)
La prima
stagione si gioca bene le carte del grande attacco organizzato dai terroristi,
siccome ho promesso nessuna anticipazione, non vi dirò nulla, ma si arriva al
(decisivo) dodicesimo episodio, carichi di voglia di conoscere il finale della
vicenda.
Le prove del
cast sono notevoli, l’agente della CIA Carrie Mathison, impegnata a dare la
caccia ad Abu Nazir, che finirà ad indagare (ma non solo) su Brody è
interpretata da Claire Danes, una che non ricordavo avesse fatto “Romeo +
Giulietta” di Baz Luhrman, perché per deformazione, tendo a ricordarmi di lei
per la parte della cagacazzo di Terminator 3 – Le macchine ribelli.
 Devo dire che Claire Danes è molto azzeccata,
il suo personaggio è condito da un piccolo problema, è bipolare come suo padre
e la sorella medico la tiene in riga grazie a tante pastigliette verdi, da
tener segrete insieme alla sua patologia, per evitare di essere cacciata dalla
CIA. Questo dettaglio aggiunge spessore ad un personaggio che rischierebbe di
essere il solito “sbirro” ossessionato dalla sua preda ed è interessante che i
due protagonisti della serie, Carrie e Brody, siano due “toccati”, sui due lati
della barricata, ma molto simili. Inoltre, Claire Danes è perfetta per il ruolo,
ha quell’aria da precisina irritante che va benissimo per il personaggio, anche
se in molti momenti si calamita proprio l’antipatia, ma forse è perché Terminator 3 non mi ha mai esaltato più
di tanto.



Lui reduce di guerra, lei bipolare, una bella coppia di pazzarelli…
Per fortuna,
tra le fila della CIA, c’è anche il suo collega più anziano Saul Berenson, il
classico ribelle, quello che mette alla prova il sistema e tante volte lo forza
pur di portare a casa il risultato e fare la cosa giusta. Un personaggio
posato, ma con il fuoco dentro, interpretato alla grande dalla barba
confortante e il sorriso pacioso di Mandy “Hola. Mi nombre es Inigo Montoya.
Tu hai ucciso mio padre.
Preparate a morir!” Patinkin!
Il problema è
che ogni volta che entra in scena, mi viene voglia di iniziare il monologo di Inigo
Montoya, o alternativamente a gridare “Mandy Patinkin!!” pronunciandolo come
faceva Lilly di “How i met your mother”, se seguivate quella serie capirete
l’entusiasmo.



Have no fear, Mandy is here!
Mandy Patinkin!
No scusate, Saul, è il personaggio che sta a questa serie, come C1 (o R2) sta a
Guerre Stellari, in pratica tutti i
casini grossi li risolve lui, senza beccarsi mai la giusta dose di gloria… Poi
chiedetevi perché è palesemente il mio personaggio preferito della serie.
Sempre senza
fare rivelazioni, l’unica cosa che vorrei sottolineare è un clamoroso colpo di
teatro proprio sul finale della stagione. Diciamo che ho trovato molto
irrealistica la “Scelta medica” (chiamiamola così) fatta dalla protagonista nel
finale, che per altro mi è sembrato un mezzuccio, da parte degli sceneggiatori,
per mettere in scena un’amnesia controllata, necessaria allo sviluppo della
trama nella seconda stagione, ma che sa tanto di Soap Opera.
Detto questo,
è l’unico difetto nella stagione di esordio di una serie che potrebbe
riservarmi delle sorprese… Nel senso che potrei scoprire che ci sarà qualche
colpo di scena grosso che NON mi è ancora stato raccontato per filo e per
segno, vedremo!
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