Nel mondo oggi più di ieri domina l’ingiustizia, ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;
proprio per questo, Sancho, c’è bisogno soprattutto d’uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto.
Ok, magari avrei potuto aprire con una citazione più a fuoco, ma a suo modo penso che lo sia, alla fine dei 181 minuti di cavalcata del primo dei quattro (si spera) capitoli di “Horizon – An American Saga” avevo in testa parecchia roba, ma Guccini ha fatto capolino.
Ne abbiamo parlato, questo 2024 in termini di uscite è sconsolante o esaltante, in base a quanto siate malati di malinconia. Si legge 2024 ma sembra il 1984 in termini di seguiti di saghe ormai con due dita di polvere sopra, per pura curiosità più o meno nello stesso periodo (anno più o anno meno) a Kevin Costner venne l’idea per “Horizon”, una grande saga americana come rimarcato dal sottotitolo, che poteva essere narrata solo attraverso il genere simbolo del loro cinema, il Western.
Sapete come si sono svolti i fatti, restando solo sul Western, il KEV ha riportato in auge praticamente da solo un intero genere grazie al successo trionfale di Balla coi lupi, ci sono voluti anni prima di vederlo tornare alla regia (e sotto il cappello a tesa larga) per un altro Western come il fin troppo sottovalutato Terra di confine, e poi vabbè, la migliore serie in termini di ascolti in patria e gradimento a casa Cassidy ovvero Yellowstone. Non so se avete seguito lo psicodramma in atto, la lunga partita a scacchi tra Costner e il creatore della serie, Taylor Sheridan, quello che di sicuro non sarà l’ultima mossa ha visto il KEV ritirarsi ufficialmente (a mezzo comunicazione dai Social Cosi) dalla serie, per dedicarsi anima e cuore all’impresa di “Horizon”, ma io penso che la telenovela non sia ancora terminata, di sicuro Costner ha dimostrato di avere la costanza, la testardaggine e di sicuro anche l’ardire dei personaggi dei suoi Western.
Parliamoci chiaramente, è da tutta una carriera che i critici attendono di veder fallire miseramente Costner, non puoi aver ammaliato una roba tipo il 60% (stima pessimistica) della popolazione femminile globale, quando eri IL DIVO degli anni ’90 e non esserti creato delle invidie, poi oh! Il Kev si presta, il suo – anche se non lo ha diretto è come se lo avesse fatto – “Waterworld” (1995) numeri alla mano non è stato affatto un flop, anche se viene ricordato come tale, a differenza di “L’uomo del giorno dopo” (1997) quello davvero diretto e davvero disastroso al botteghino, ma questo non mi ha mai impedito di amarlo perché come la sua avventura marina, di fatto era anche quello un Western travestito, nello specifico da film post-apocalittico.
Ora che Costner ha abbandonato la serie più vista negli Stati Uniti (nel momento in cui aveva massimo potere contrattuale, astuto) per dedicarsi al suo monumentale Western in quattro parti, molti hanno pensato che fosse diventato matto. No, Costner ambizioso lo è sempre stato, già da prima del 1995, solo che in quel caso il successo lo ha giustamente premiato. Ed ora che si è impegnato soldi suoi, anzi la dico meglio, tanti, ma tanti, ma tanti soldi suoi per auto finanziare “Horizon”, i critici sono sempre lì, ancora pronti a vederlo cadere, in uno scenario cinematografico come quello del 2024, dove il massimo della libidine per lo spettatore è pupparsi il seguito carico di malinconia di una saga con cui sono cresciuti, magari comodamente sul divano perché oh, 181 minuti sulla poltroncina di un cinema, sbattone! Mi pesa il culo, mica ho tempo e voglia per dedicarmi a ‘sta roba da vecchi.
Già il Western piace a me, a qualche spettatore appartenente ad una (o due generazioni) antecedenti, a Kevin Costner e a quattro altri gatti senza collare sparsi per questo gnocco minerale che ruota intorno al solo, mettiamoci poi la durata (percepita? Meno della metà, il film fila alla gtandissima) di un’opera firmata da uno che i giovanotti e le giovanotte di oggi, se va bene, conoscono forse come il papà di Superman e davvero “Horizon” sembra un suicidio commerciale annunciato, specialmente se poi hai anche deciso di metterci di tasca tua tanti, ma tanti, ma tanti fogli verdi con sopra facce di altrettanti ex presidenti defunti.
A Cannes, “Horizon – An American Saga – Capitolo 1” ha raccolto diversi minuti di applausi, in patria? La gara a chi sputa con più ardore su Costner. La verità? Come sempre nel mezzo o se vi va, la mia di verità (l’unica che posso riportarvi), la prima parte di “Horizon” è un film bellissimo, chiaramente ambizioso e fuori dal tempo nel senso più positivo del termine, ma è questo, la prima parte, voi potete giudicare un libro dopo aver letto il primo capitolo? Una serie tv dopo il primo epis… Scusate, pessimo esempio, là fuori su “Infernet” è pieno di persone (molte stipendiate) che fanno proprio così, quindi in un mondo di seguiti infiniti e molto, ma molto fuori tempo massimo, per un pubblico che vuole tutto e subito e non ha pazienza di aspettare o l’attenzione necessaria per concentrarsi più del tempo di un video di Tik Tok, Costner sembra averci regalato qualcosa destinato a fallire malamente, senza nemmeno una Zendaya o un Timoteo a salvarlo (forse) dall’oblio del diventare un’incompiuta, anche per questo dovreste andare a vederlo. Il fatto che sia un gran bel film aiuta, nemmeno poco.
Iniziamo subito dai difetti, fa ridere doverlo sottolineare ma con due film già girati e gli altri due, annunciati ma molto in forse, “Horizon – An American Saga – Capitolo 1” è grossomodo il primo atto, forse nemmeno intero, di una saga pensata per essere in quattro parti, troppo grande per diventare una serie tv, troppo seriale e ambiziosa per il cinema targato 2024. Dalla serialità televisiva prende un altro difetto, il rimbalzare del montaggio da un personaggio all’altro, da una situazione all’altra risulta un po’ straniante nei primi minuti, non perché sia un brutto montaggio, ma solo perché in certi momenti colpisce un po’ a “schiaffo”.
Sei ancora lì con gli occhi pieni dei coloni che tracciano segni nella terra per delimitare le loro nuove proprietà e ti arriva una bellissima ed incazzata Sienna Miller, si passa poi a figli defunti e sulla difficile coesistenza di coloro che ecco, insomma, sarebbero stati i veri inquilini di quell’enorme porzione di mondo che noi invasori bianchi abbiamo iniziato a chiamare America. Per altro, qui rappresentati dai miei preferiti, gli Apache, anzi parliamo di loro.
Uno dei momenti più intensi di “Horizon” arriva piuttosto presto, trattandosi di un film fuori dal tempo con tutti gli occhi addosso, so già che il fatto che l’attacco notturno degli Apache, per via del fatto che non avviene lanciando perline, orsetti gommosi e zucchero filato, verrà considerato non inclusivo, non in linea con i parametri dell’algoritmo. Da parte mia preferisco considerarlo realistico, ben girato, ben fotografato grazie all’ottimo sforzo fatto da J. Michael Muro (non proprio la pizza con i fichi), anche nel domare le parti girare in digitale.
Per altro ci pensavo qualche giorno fa mentre correvo, quando in cuffia mi è partita la colonna sonora di Corsari, al fatto che John Debney come compositore sia molto sottovalutato, in “Horizon” le musiche la fanno da padrone, a tratti a rischio fanfara, ma coinvolgenti, come ti aspetteresti da un film che ambisce ad essere in quattro parti e che sfoggia nel titolo “An American Saga” in bella vista.
Personalmente questa cavalcata me la sono proprio goduta, ero pronto a vedermi Subito anche il “Capitolo 2” (Storia vera), sarà tosta aspettare fino ad agosto, ma la fondazione della cittadina di Horizon va a braccetto con la conquista di una porzione di terreno vastissimo, come non accadrà mai più sulla faccia di questo pianeta, un fottuto massacro fatto di tecnologia spesso scadente, incomprensioni anche linguistiche, massacri di popolazioni ed animali che però hanno coinciso anche con lunghi anni di convivenza, se non proprio pacifica, almeno in parte organizzata, che ovviamente da raccontare, con la dovizia di dettagli che sta a cuore al KEV, non è affatto poca roba, il tutto con uno stile classico che conferma quando questa operazione si volutamente, e aggiungo anche giustamente fuori dal tempo.
Se ve lo state chiedendo, per veder entrare in scena Costner bisogna attendere, ne vale la pena perché la sua apparizione sparacchiante in favore di macchina da presa è quanto di più Fordiano vedrete quest’anno al cinema, garantito al limone, ed ora come detto, non solo ho molta voglia di vedere il “Capitolo 2”, ma spero davvero che il sogno matto del KEV arrivi a compimento, spero che quel “prossimamente” a fine film, che non vedevo dai tempi della frase “Attualmente in lavorazione” alla fine di Ritorno al Futuro II, possa avverarsi sul serio.
Sto con il Re, trovo che sia ridicolo, totalmente ridicolo, esultare per il fallimento di un film che prova a invertire la tendenza, come aveva già fatto nel 1995, con la difficoltà aggiuntiva di un industria dominata dai seguiti e nelle mani di un pubblico dal culo pesante, che ormai fatica a distinguere un buon film da una robetta da piattaforma, perché almeno la seconda è comodamente a portata di mano.
Grazie al sondaggio con cui mi sono divertito a giocare in questi giorni sui Social Cosi della Bara, mi avete confermato il vostro gusto di Bariste e Baristi, consegnano al KEV il lunedì mattina su questo loculo, il che conferma il mio non avere dubbi, benvenga la crociata da Don Chisciotte di Kevin Costner, l’uomo che continuava a sognare in grande, ma soprattutto a sognare la frontiera.
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