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Hostage (2005): aggiungiamo un capitolo al Bruzionario

Ho pensato bene di contribuire all’iniziativa del Zinefilo e del suo splendido Bruzionario a cui mancavano bene poche voci, una di queste quest’anno spegne le sue prime venti candeline, quindi eccomi qui a prendere voi bariste e baristi come ostaggi.

Purtroppo non ho letto il romanzo omonimo scritto da Robert Crais pubblicato nel 2001, ma conosco Florent Emilio Siri, uno che nel 2002 si era messo sulla mappa geografica grazie al successo del suo carpenteriano “Nido di vespe”. Per l’esordio da regista negli Stati Uniti va detto, il regista si è messo dalla parte della ragione: un romanzo come base, messo nelle mani di uno sceneggiatore specialista dell’azione come Doug Richardson, guarda caso lo stesso che aveva scritto il secondo Die Hard con, pensate un po’? Bruce Willis. A volte Hollywood è come ogni altro posto di lavoro del mondo, molto piccolo, specializzati in qualcosa e lo farai a vita.

Anno 2005, Bruno capisce che il futuro è storia (di nuovo)

Bisogna dire che nel 2005 Bruno era nel pieno del rilancio della sua carriera, quello che ha coinciso con la sua collaborazione con M. Night Shyamalan, traduzione? Bazzicava ancora titoli di prima categoria, ricordo di aver visto “Hostage” in sala alla sua uscita, forse un altro paio di volte in qualche replica televisiva, non un film eccezionale ma nemmeno particolarmente orribile, va detto che ha avuto un’altra fortuna, quella di uscire nelle sale attorno alla metà di marzo del 2005, quando la campagna pubblicitaria dell’altro gran titolo, ben più ricordato di “Hostage” con Bruno protagonista, era già cominciata, ironicamente si tratta di un altro film in cui il nostro è in lotta per la vita di alcuni giovanotti, in quello – di cui parleremo a stretto giro – si trattava di una bambina, qui di due fratellini, ma prima di tutto, fondamentale prologo motivatore!

Florent Emilio Siri ci getta subito nel mezzo di una situazione con ostaggi, qui facciamo la conoscenza di Jeff Talley (Bruno) un poliziotto in forza alla SWAT di Los Angeles che sembra già il personaggio post-trauma, perché sfoggia una zazzera che nessun pettine potrà mai domare – una parrucca, per ovvie ragioni di calvizie – e un barbone lungo quello invece frutto di settimane senza far amicizia con il rasoio per Bruce (storia vera).

«Pronto Demi? Ciao, volevo dirti che ho di nuovo i capelli come ai vecchi tempi»

Il lavoro di negoziatore di Jeff è fondamentale ma anche impeccabile, il pazzo che ha preso in ostaggio la famiglia però è più fuori controllo della barba di Bruno e malgrado la promessa fatta al piccolo ostaggio, Jeff non può che assistere, impotente testimone di un massacro di cui si sente responsabile.

In un caso di trasformazione esteriore che mette in chiaro una interiore, dopo il salto in avanti temporale, Jeff ha fatto pace con il rasoio, ma non con la sua di famiglia, nemmeno essersi trasferiti in massa nella sonnacchiosa Bristo Camino – un immaginario borgo suburbano nella vicina contea di Ventura in California – è servito a qualcosa, il passato tormentato di Jeff, marito altrove con la testa, influenza la sua vita con la moglie Jane (Serena Scott Thomas), ma per farvi capire quanto Bruno si sia messo comodo in questo progetto, basta dire che ad impersonare la figlia del protagonista è la vera figlia dell’attore, Rumer Willis nei panni di Amanda Talley.

La svolta per il protagonista arriva quando due fratelli adolescenti con nome da scioglilingua Dennis e Kevin Kelly, accompagnati da un complice sociopatico di nome Marshall “Mars” Krupcheck (lo sguardo da pazzo di Ben Foster) fanno irruzione in una lussuosa villa, la rapina va male ma pensate un po’? Gli incursori prendono degli ostaggi, capite? Tutto questo serve per giustificare il titolo del film che vuol dire… Ostaggi! Incredibile vero? Ok, la smetto, andiamo avanti.

Hanno dovuto infilare anche degli avversari veri, perché un film con Bruce Willis contro i ragazzetti non poteva reggere.

Il più magheggione degli ostaggi è papà Walter Smith (Kevin Pollak) che nasconde fondamentali informazioni nella custodia del DVD del film “Il cielo può attendere” (1943), nascosto nel mucchio accanto a Fargo, inquadrato così bene da farmi credere fosse una specie di riferimento a qualcosa, forse solo alla passione per i Coen dell’attrezzista di scena.

Custodie di classici in DVD che contengono MacGuffin.

“Hostage” è una sorta di cupo “Die Hard” intimista in tono minore, più oscuro nella fotografia spesso notturna, più angusto negli spazi, visto che gli unici cunicoli in cui qualcuno si infila, non sono quelli che rendevano marrone la canottiera del nostro Bruce ma il sistema che collega una camera all’altra, attraversato in tutte le direzioni dal bimbo della famiglia.

«Vieni in California, vedrai che bello, ci divertiremo da matti…»

In generale “Hostage” è un buon titolo da palinsesto di Italia 1, che per me è sempre un complimento che sia chiaro, oltre che un modo per descrivere tutto l’andamento di un film, la parte un po’ torbidina riguarda la stramba evoluzione del personaggio di Marc Foster, innamorato della ragazzina darkettina, quindi cattivo sì, ma col Nesquik, ma per essere un “Die Hardino”, può non mancare la famiglia in pericolo?

Ben Foster che tanto per cambiare, fa la parte del pazzo, che novità.

Eh sì, altrimenti la generica famiglia di ostaggi con cui sublimare il trauma del prologo non basta, bisogna fare di più, ci vuole il coinvolgimento della famiglia diretta del protagonista, infatti quando “Hostage” sposta l’azione dalla casa/dedalo, inizia una sorta di film nel film, che copre l’ultima parte del terzo atto, ambientato in beh, un bar, come una mezza sparatoria a risolvere lo stallo.

“Hostage” non ha fatto fare il salto di qualità americano a Florent Emilio Siri, anzi, non ha nemmeno rilanciato la carriera di Bruno nostro, come detto quell’anno un altro titolo gli ha dato più visibilità (a breve su queste Bare), in generale a rivederlo oggi, a vent’anni dalla sua uscita, mostra le rughe più che altro dell’industria, film così una volta erano di “cartellone” si sarebbe detto una volta, oggi sarebbero trame buone per roba da streaming, girata anche peggio eh? Ma ancora più microscopiche e dimenticabili.

Il grugno da bulldog di Bruce si sposa alla perfezione con la posa degli eroi della Bara.

Qui se non altro Bruno era ancora lui, inossidabile come ci piace ricordarlo anche se avvivato sul lungo viale del tramonto dei suoi tanti ruoli, per capirci, quelli della fase senza capelli in poi della sua carriera, per certi versi “Hostage” è la bella copia di tanti film arrivati dopo per Willis, ma sempre più piccoli, microscopici, se non proprio pezzenti, insomma, era ancora un momento abbastanza buono per tutto, il cinema di genere, Bruno e l’industria, prima che tutto scivolasse via.

Insomma, bisognava completare questa voce del Bruzionario, con questo compleanno andiamo ad aggiungere un Bruce-Film sotto la lettera “H”, nei prossimi giorni, completeremo altri titoli direttamente dal lontano anno 2005.

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