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Hostel (2005): il viaggio grondante sangue di Eli Roth

Ve lo ricordate l’Horror americano post-Scream? Quello che usciva in sala intorno ai primi anni del 2000? Esangue, con gli omicidi tutti fuori campo, spesso raccontati, la negazione del genere insomma.

Per fortuna nel 2004 abbiamo avuto Saw e l’anno successivo il film che quest’anno spegne le sue prime venti candeline. Potrà piacere o meno e ve lo dico, io non ci faccio follie per questo film, ma è innegabile che Eli Roth in coppia con Jigsaw hanno avuto il merito di riportare il sangue nel cinema horror per tutti, anche se il vero iniziatore, colui che ha salvato l’Horror gettandolo in una pozza di sangue (letteralmente!) è stato il mai abbastanza citato Neil Marshall.

Al famigerato “Torture porn” sono stati attribuiti effetti esorcistici sugli orrori delle guerre che gli americani iniziavano in giro per il mondo dopo l’undici di settembre, ma con tutto il rispetto che ho per il genere horror, ho sempre pensato che i paragoni con gli orrori – fin troppo reali – dello scandalo di Abu Ghraib fossero un eccesso di super valutazione. Molto più banalmente penso che i generi, l’horror in particolare, abbiano un andamento ondivago, il 2005 coincideva con il ritorno del sangue, “Hostel” inoltre ha ricevuto il benestare di un nome che allora e oggi poteva spalancare un sacco di porte, quello di Quentin Tarantino.

Una citazione a Pulp Fiction oppure, un buon modo per farmi star zitto con le mie premesse infinite.

Lo sappiamo che Tarantino vive di grandi passioni, come tutti noi fanatici di cinema, la sua ha cominciato a bruciare per “Cabin Fever” (2002), il titolo con cui Tarantino si è preso questo “Piccolo fan” (cit.) sotto la sua ala protettiva, affidando a Roth piccoli ruoli nei suoi film e donandogli grande visibilità. Sono passati vent’anni e sono sicuro che ancora molti oggi siano convinti che “Hostel” sia un film del buon QT per via di quel “Quentin Tarantino presenta” buttato a caso in locandina.

Dopo il suo esordio Roth aveva ricevuto numerose proposte per dirigere remake horror, Tarantino lo convinse a lavorare su un progetto inedito tutto suo, Roth abbandonò presto l’idea di girarlo tutto tipo falso documentario e con un budget di poco meno di cinque milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti ha preso un volo, direzione Repubblica Ceca, per fare turismo sessuale il suo film più famoso e remunerativo.

«Ho fatto un etto e mezzo di trippe, vuole anche delle budella fresche signò?»

L’idea di base pare che Roth l’abbia avuta navigando sul Dark Web, almeno questo è quello che il regista ha dichiarato ospite al festival del cinema horror di Sitges, ma molto più banalmente “Hostel” rientra nella grande (si fa per dire…) tradizione dei film dove gli americani escono dai confini dell’unico Paese al mondo civilizzato (si fa per dire…) ovvero gli Stati Uniti di Yankeelandia e vengono scannati perché lontano dalla terra della torta di mele (che è inglese) sono tutti delle bestie selvagge che pensate, non parlano nemmeno inglese!

Lati positivi: seppur sfruttando TUTTI i peggiori cliché sull’Est Europa ed essere stato quasi dichiarato nemico pubblico numero uno in Slovacchia e Repubblica Ceca per la rappresentazione data nel film, un postaccio dove se hai soldi in tasca sei una vittima e se non hai gomme da masticare per i ragazzini… Sei sempre una vittima.

La tortura peggiore del film? Sopportare questi tre.

Le accuse di Tomáš Galbavý, membro del Parlamento Slovacco, saranno state un po’ forti e pensate forse per guadagnare un po’ di consensi (con il governo che ci ritroviamo noi, questi teatrini li conosciamo bene), ma la risposta di Eli Roth è stata sensata e in linea con il suo cinema: «Gli Americani non sanno nemmeno dell’esistenza di questo Paese. Il mio film non è un’opera geografica, ma si propone di mostrare l’ignoranza degli Americani sul Mondo che li circonda» aggiungendo poi che nessuno ha smesso di andare in Texas dopo aver visto Non aprite quella porta.

A voler riconoscere proprio tutto a Roth, potremmo dire che la critica agli americani c’è, anche se secondo me gli è venuta meglio – come tutto il film – con il seguito, ma in generale “Hostel” è un po’ figlio nello spirito provocatorio di quello che per Roth è la sua Bibbia cinematografica, ovvero Cannibal holocaust, ma anche qui non voglio tirare in mezzo paragoni troppo “alti”, ci ha già provato lo stesso Roth facendo comparire nel suo film Takashi Miike, costretto a cavarsi fuori una frase recitata in inglese (non la sua specialità) che ai tempi, mise in movimento molte penne stipendiate, ma probabilmente era solo Roth, in modalità fanboy, libero di avere un grande regista nel suo film.

«Abbiamo finito? Nel tempo di questo mio cameo io di solito giro sei film»

Lati negativi: tutta la porzione iniziale è sfiancante. Roth ti prende per sfinimento perché ti soffoca, anzi letteralmente ti strangola con tutti i clichè possibili su questi tre ragazzotti in vacanza, Amsterdam sembra uscita da un film porno e anche le belle, anzi bellissime figliole che popolano il film, sono tutta roba che stanca si, ma la mano se non la puoi toccare e la mente perché è difficile non pensare ad una commedia italiana scollacciata, peccato che l’inizio, sia tutto il primo atto del film.

Quando finalmente arriviamo all’ostello del titolo, Roth fa in tempo a passare la lingua sul deretano di Tarantino, infilando la scena in cui in tv passa Pulp Fiction doppiato in bulgaro, dopodiché la trappola al miele è tesa e finalmente possono iniziare gli sbudellamenti, solo che dopo tutto quell’inizio da filmetto semi zozzo, come spettatori ci arriviamo già estremamente provati.

Pensa se avessi voluto fare il pompiere.

L’idea della società segreta di ricconi annoiati che hanno provato tutto, probabilmente anche una pericolosa partita stile conte Zaroff e quindi pagano per torturare sconosciuti, funziona così bene su più livelli che è strano che “Hostel” non sia una saga in venti capitoli, ma magari degli altri seguiti ne parleremo. Sicuramente la violenza è brutale, più alta di quello che il pubblico narcotizzato degli Horror dei primi anni 2000 non si aspettava più, ricordo infatti di colleghi, spettatori generici, che qualche ora di sonno l’anno persa, quando i personaggi nella storia perdono dita e occhi.

L’altro grosso problema di “Hostel” fin dalla prima visione? Quella fuga dall’ostello è piuttosto interessante, ma resa a tirar via, la trovata del protagonista (quasi un sosia di Roth) che si salva perché a sorpresa conosce il tedesco e quindi da pezzo di carne urlante viene percepito come una persona è l’unica che ho apprezzato, il resto è una corsa fin troppo comoda.

«Abbiamo colpito qualcosa?», «No era un dosso»

Una frettolosa vendetta, fin troppo a tirar via, possibile che il protagonista si trovi sulla sua strada proprio quelle due che lo hanno portato all’ostello, dritte comode a portata di acceleratore? Una frettolosa vendetta, esattamente come quella sul treno, per rispettare un canone cinematografico per cui i cattivi devono morire, male, ma personalmente avrei trovato tutto molto più spaventoso se impunito.

Detto questo “Hostel” ha incassato uno sproperio, riportando il sangue nel cinema Horror per tutti, il che è un bene, potrà piacere o meno ma questo è il suo merito, dopo un film così le porte della fama e del successo sembravano spalancate per Eli Roth, invece è arrivato il seguito, ma di quello parleremo a stretto giro su questa Bara.

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