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Hostel – Part II (2007): un seguito migliore sotto tutti gli aspetti (tranne gli incassi)

Di solito i seguiti non sono mai visti troppo bene, anche se bisogna essere onesti, il cinema Horror ha sempre alimentato, a volte anche in maniera incontrollata, l’idea stessa di seguiti, ogni buon film dell’orrore di solito genera una saga non per forza dello stesso livello, quello che è successo ad Eli Roth per me resta inspiegabile, proverò ad elaborarlo nel post di oggi.

Dopo il successo di “Cabin Fever” (2002) e ancora di più di Hostel, la carriera di Eli Roth sembrava lanciata verso il Valhalla, con un solo film il protetto di Tarantino aveva riportato il sangue negli Horror per tutti e incassato uno sproperio con un film, ammettiamolo, modesto. Il seguito? Inevitabile, anche se il vero sangue sparso è stato quello al botteghino, “Hostel – Part II” uscì solo due anni dopo, nemmeno in ritardo, semplicemente il pubblico non andò a vederlo il che è impiegabile perché questo seguito è un film migliore del precedente sotto TUTTI i punti di vista, quelli tecnici, dalla fotografia al montaggio, fino ad arrivare alla recitazione, eppure alla sua uscita incassò risate.

Peccato, perché loro erano protagonista migliori sotto tutti i punti di vista.

Una parziale spiegazione ci arriva direttamente da Roth, che si fece scudo dietro ad una copia pirata, sparata in rete e diventata presto il film più scaricato del momento che però ammettiamolo, non può essere l’unico problema, perché il passaparola si diffonde tra gli appassionati ancora di più se hanno già visto il film, i Social-così oggi lo confermano, tanti “cinefili” iniziano a parlare in rete di un titolo, quando spunta sui canali pirata, non quando è in sala, perché ammettiamolo, ci sono fior fiori di “cinefili” (o presunti tali) che l’atto stesso di smuovere il culo e andare in sala lo disprezzano, gli va benissimo andare a scrocco ma questo è un altro discorso.

“Hostel – Part II” semplicemente non è piaciuto, ma ribadisco, mi sembra assurdo, perché seppur con la stessa (in)sensibilità elefantizia, Roth ha saputo far fare un salto di qualità a questo secondo capitolo, per prima cosa, iniziando con un lungo, per certi versi doppio prologo (sempre fondamentale negli Horror) con cui ha avuto il fegato di liberarsi di Paxton (Jay Hernandez), il personaggio alter-ego e quasi sosia del regista sopravvissuto al primo ostello, che qui riassume il primo film all’ispettore Luc Merenda (primo dei tre omaggio al nostro cinema fatti da Roth) prima di essere ucciso, due volte, perché questo è un seguito e bisogna esagerare, prima con l’espediente del sogno poi beh, con il micio. Ciao Paxton, non ci mancherai poi molto.

Il cambio di punto di vista, quello dei torturatori, che per lo meno aggiunge uno strato al film.

Già perché non so illuminato da quale stella, Eli Roth qui decide di scegliere come protagoniste tre ragazze, per la prima volta nel suo cinema il regista si immedesima con qualcuno diverso da lui, giocandosi tre personaggi che malgrado la voglia di festa, non sono proprio tre idioti che sembrano usciti da un remake di “Porky’s” e che soprattutto non passano l’intero primo atto del film e buona parte del secondo a sbavare dietro a delle notevoli figone. Nel primo Hostel, quando la violenza arrivava, lo faceva tardi, con una soluzione quasi frettolosa alla vicenda, come se le strappone nude fossero il fuoco del film più che l’orrore. Con “Hostel – Part II” Roth bilancia meglio le parti che compongono il film, senza tre maschietti infoiati funziona tutto meglio, anche il secondo omaggio al nostro cinema, il merito va a Roth per aver convinto Edwige Fenech a tornare a recitare, anche se nella piccola parte dell’insegnante di nudo artistico. Non so voi, ma non riesco a pensare ad un ruolo più geniale per l’attrice!

«Li vedi quelli laggiù? Sono tutti tuoi vecchi fan», «Dove? Non li vedo», «Tranquilla, nemmeno loro»

Oltre alle tre protagoniste e il treno pieno di romanisti, quello che funziona è il parallelo, per la prima volta vediamo i torturatori, a partire dalla divertente scena dell’asta a distanza a colpi di rilanci al cellulare. Stuart (Roger Bart) e Todd (Richard Burgi) sono due stereotipi in tutto e per tutto, la continuazione dell’idea base di Roth, quella di utilizzare “Hostel” anche per fare satira dei propri connazionali all’estero, ma se la rappresentazione dell’ostello in Slovacchia resta la stessa, becerissima e piena di cliché (torna anche la leccata di culo a Tarantino, possibile che in tv da quelle parti passino sempre Pulp Fiction?), per lo meno siamo messi davanti all’arco narrativo dei personaggi, il timidone e lo spavaldo che per certi versi, non è impossibile intuire la loro telefonatissima svolta, ma tutto questo ci permette finalmente di avere dei personaggi e non delle figurine, quindi quando si soffre – in questo film si soffre parecchio – lo si fa per personaggi che hanno il minimo sindacale di riuscito spessore.

Il messaggio di Roth poi sarà anche scritto con il pennarellone a punta grossa (coloro rosso, sangue, per stare in tema) ma c’è, un METAFORONE che parla anche di capitalismo, ci sono martelli sparsi in giro e sicuramente c’è una falce, quella che utilizza la signora Bathory (nome non scelto a caso) in una complessa tortura molto cormaniana che vede come protagonista una volenterosa Heather Matarazzo, appesa a testa in giù senza vestiti per ore per girare quel bagno di sangue. Letteralmente! (storia vera).

METAFORONI e dove trovarli.

Il film trova spazio anche per i bambinetti terribili, qui gestiti in maniera un po’ più seria o per lo meno, meno da siparietto comico, visto che anche loro devono pagare il prezzo della loro violenza e qui veniamo al succo della vicenda, perché non solo le torture in “Hostel – Part II” hanno il giusto spazio, ma sono finalmente centrali, a differenza del primo capitolo.

Anche in momenti apparentemente “leggeri”, virgolette obbligatorie, come quando Eli Roth rende omaggio al suo adorato Ruggero Deodato e al suo soprannome di Monsieur Cannibal, la trama non si ferma mai, in “Hostel – Part II” tutti sono carne da macello in vendita, può sembrare frettolosa la soluzione – comunque meno del primo capitolo – ma nel mondo descritto da Roth, se hai i soldi sei dalla parte giusta delle torture e la situazione può ribaltarsi velocemente nella misura in cui, sei disposto e pronto a pagare.

«Pensavo fosse il servizio in camera, avevo chiedo della carne. Al sangue»

Nel mercato libero che secondo Roth è la nostra società, questa volta non si vendono scene di nudo, ma si vende la violenza, a cui reagiscono in modo diverso tra l’uomo i ricchi e i poveri, gli uomini e le donne, ma proprio di quello si tratta, violenza, non un remake non autorizzato di “Porky’s” e da qui il paradosso in cui Roth si è trovato incastrato.

Un seguito totalmente di genere, che ha come numi tutelari Merenda, Fenech e Deodato e che allo stesso tempo, risulta migliore sotto tutti i punti di vista rispetto al primo, non solo ha straniato e di conseguenza allontanato il pubblico che comunque era ben contento di avere una scusa per sbirciare le strappone slovacche, ma che allo stesso tempo, non ha potuto attrarre nuovo pubblico, che ovviamente al seguito di un filmastro, non era affatto attratto. Troppo intelligente e davvero satirico (per quanto grezzo quanto volete) per il pubblico che ti ha premiato, troppo di genere per il nuovo pubblico che avrebbe potuto garantirti introiti, il disastro al botteghino di questo film non riesco a spiegarmelo diversamente, anche perché è chiaro che da allora Eli Roth stia ancora inseguendo la sua carriera, una battuta d’arresto del genere sarebbe stato un colpo per chiunque.

Anche per la saga scivolata nell’inferno dei seguiti DTV, se mi viene la voglia di affrontarlo, magari ci buttiamo anche sul terzo capitolo, anche se chiunque critica il film di oggi, dovrebbe prima vedere quello e poi al massimo commentare.

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