Io lo so, al cuore non si comanda, quindi continuerete imperterriti su “Infernet” a gasarvi idolatrato Ridley, lo Scott sbagliato perché hei! Lui ha fatto “Alien”, senza sapere o ignorando volutamente il fatto che Ridley sia solo l’ultimo dei tanti papà di quel progetto.
Non mi interessa farvi cambiare idea su nessun argomento, tanto meno sulla vostra idolatria per Ridley, anche perché sarebbe come cercare di fermare le onde del mare e poi perché in fondo lo sapete, lo avete pensato quando NON siete andati in sala a vedere The Last Duel o “House of Gucci” (a vedere questo sono andati per lo più i fan di Lady Gaga o del BELLISSIMO Adam Driver), nella vostra testolina quel pensiero è li che vi fissa, come il mucchio di vestiti da stirare sulla sedia, come Obi-Wan Kenobi che vi compare e vi ripete quello che già sapete, che lo Scott giusto, sarà sempre e solo Tony.
Lo so, lo so! A nessuno piace chi gongola, però se è lo stesso Ridley ad inciampare in questo modo io che posso farci? Mi ricordo l’entusiasmo di chi sosteneva che questa volta l’Accademy avrebbe ricoperto Ridley di Oscar (cosa che probabilmente accadrà, ma questo non cambia nulla della scarsa qualità del film), eppure “House of Gucci” è un frontale con un auto articolato che ricorda il meglio della produzione dello Scott sbagliato, autore di capolavori immortali come “Un’ottima annata” (2006) che comunque è meglio meno peggio di questa sorta di American Crime Story con i soldi, che in certi momenti ha la cura per la ricostruzione storica e il dettaglio di una fiction di Rai 1.
Se Lady Gaga vi si strofinasse contro, fareste anche voi la faccia di Adamo Guidatore. |
Non sono un sadico, il cinema di Ridley Scott lo conosco bene e sono pronto a fornirgli delle attenuanti generiche anche garantite dai suoi trascorsi, è chiaro che abbia firmato per dirigere questo “House of Gucci” per portare avanti la tradizione dei film legati ai drammi delle ricche famiglie, iniziata con “Tutti i soldi del mondo” (2017), con la differenza che “House of Gucci” se la gioca sul melò più spinto, quello che fa il giro completo su se stesso e diventa fiction televisiva, diventa Soap-Opera più dalle parti di “Dallas” o “Dinasty” che del cinema che ti aspetteresti da parte di un professionista come Ridley Scott(o).
Considerando che Lady Gaga aveva già recitato (la parte di una lady Gaga vampira) in American Horror Story, forse sarebbe davvero stato più sensato mettere su una stagione di “American Crime Story” per il piccolo schermo incentrata sulla famiglia Gucci, perché se l’ambizione era fare “Il Padrino”, bersaglio mancato Ridley, ma di diversi chilometri.
Ridley impegnato a trattare con l’ex sindaca di Roma Raggi. Magari parlavano delle location per “Il Gladiatore 2” |
La storia è nota, ispirata agli eventi che nel 1995 portarono Patrizia Reggiani a essere la mandante dell’omicidio di Maurizio Gucci, suo marito, nonché imprenditore e presidente della casa di moda Gucci. Solo che è proprio la messa in scena a risultare fuori fuoco e spesso risibile, posso capire la trovata degna di una commedia scollacciata Italiana degli anni ’70, di far entrare in scena Patrizia Reggiani (Lady Gaga) intenta a sculettare tra i fischi dei camionisti dell’azienda di trasporti del padre, e non mi aspetto nemmeno da Ridley Scott la cura nella ricostruzione storica, quella l’ha sacrificata nell’arena di “Il Gladiatore” ormai da diverso tempo. Ecco perché il matrimonio tra la Reggiani e Maurizio Gucci (il bellissimo Adam Driver) avvenuto nel 1971, nella finzione si sposta più avanti, almeno a ridosso se non proprio negli anni ’80 inoltrati, visto che delicatamente Ridley sceglie di mostrarci la scena con “Faith” di George Michael come sottofondo, in un caso maldestro di musica fuori contesto che risulta solo imbarazzante, come un po’ tutta questa fiction diretta e prodotto con tutti i soldi del mondo.
Sorvolo sul fatto che il numero di casa di Patrizia Reggiani, quello che scrive con il rossetto sul vetro della Vespa di Maurizio Gucci, sia un numero a sei cifre che inizia per 534, tipico prefisso di… Boston probabilmente, Italiano non di sicuro, ma di questi dettagli nemmeno mi curo, con Ridley di mezzo so che non bisogna cercare l’accuratezza nella ricostruzione dei fatti, si parla sempre e comunque di cinema, per l’aderenza ai fatti esistono i documentari. Il problema è come lo fai il cinema, e qui purtroppo molto ma molto male.
Natale con Ridley. |
Il vero motivo di interesse per buona parte del pubblico – anche se poi la sua somiglianza con Marisa Laurito è diventata un tormentone su “Infernet” – ovvero Lady Gaga, alla fine resta forse l’unica ragione per godersi questo “House of Gucci”. La sua Patrizia Reggiani è una “femme fatale” piuttosto riuscita anche nel suo cercare di passare dalla piccolo borghese ben poco raffinata, alla grande signora senza perdere però la natura un po’ melodrammatica che la contraddistingue, la scena in cui mostra l’album fotografico al marito è puro melò, ma rende bene l’idea. Lady Gaga che in “A star is born” (2018) di fatto era ancora alle prese con un ruolo autobiografico, quasi quanto la sua vampira di AHS, qui per la prima volta non è tenuta ad interpretare solo Gaga, ma accetta e vince la sfida di un ruolo che non ha nulla a che spartire con i suoi trascorsi musicali, infatti quando la sua Patrizia Reggiani sparisce dalla storia per dare spazio all’ascesa di Maurizio, “House of Gucci” perde molti colpi.
«Come direbbe Bart Simpson, non è stata colpa mia!» |
Il fallimento di Ridley Scott non va ricercato come detto nella scarsa verosimiglianza nella ricostruzione, ma proprio nella sciatteria con cui un film che avrebbe dovuto essere corale fin dal titolo, procede malamente a strappi, come se il cast fosse stato lasciato allo sbando. Invece di fare quadrato attorno alla sua attrice più famosa (per il pubblico) ma con meno esperienza, tutti gli altri professionisti sembrano schegge impazzite impegnate a recitare ognuno un film differente, ma andiamo per gradi.
Salma Hayek si becca il ruolo da Wanna Marchi della situazione, e tutto sommato porta a casa il ruolo della fattucchiera Giuseppina Auriemma, un po’ guida spirituale della Reggiani un po’ suo contatto con il mondo criminale. Dal punto di vista femminile “House of Gucci” sta in una botte di ferro, Ridley dovrebbe baciare la terra dove camminano le sue attrici perché senza, il film sarebbe stato un disastro ancora maggiore, inoltre Salma che dal suo profilo Instagram pubblicizza la sua presenza nel film con foto in costume, con la scritta “Gucci” piazzata, diciamo sul cuore, resta la prova che lei è sempre la numero uno, grazie di esistere signora Hayek.
Promozione cinematografica, Salma sa come farla. |
Tra i satelliti che orbitano attorno al pianeta Gaga, una serie di personaggi che vanno dalla macchietta all’abbozzato, si parte dal padre Rodolfo Gucci, in cui Jeremy Irons senza nemmeno mai mettere la terza, ci regala una sorta di vampiro snocciolatore di profezie (“Quella vuole solo i tuoi soldiiiiii!”) che una volta svolto il suo compito scompare dalla storia, fin troppa professionalità Geremia per un ruolo tanto infame.
«Dove sei David Cronenberg? Vieni a salvarmi!» |
Adam Driver è bellissimo. Messo in chiaro questo punto fondamentale, il suo Maurizio Gucci sembra il classico sfigato che non dovrebbe mai assaggiare la vita, perché quelli come lui poi diventano in automatico degli stronzi. Adamo Guidatore riesce a raccontare tutto questo mantenendo un regale distacco quasi da Ludovico II di Baviera che Ridley Scott(o) scioccamente, non riesce a sfruttare a suo vantaggio. Il Gucci recalcitrante che si ritrova tirato dentro e comincia la sua energica scalata dalla vetta della famiglia, avrebbe dovuto essere il vero barometro del film, peccato che la sua trasformazione da amante appassionato a freddo imprenditore sia didascalica, raccontata senza enfasi con una regia meccanica da fiction con i soldi. Ridley, avevi per le mani il tuo Michael Corleone e lo hai gettato alle ortiche in scene che, capisco volessero essere volutamente anti climatiche, ma Adam Driver in sella alla biciclettina girato in quel modo? Sembra di guardare la scena in cui Nicolas Cage scippa la bicicletta alla tipa in “Il prescelto” (2006), fai il bravo dài!
Adam “Bellissimo” Driver, nulla da aggiungere. |
Menzione speciale: la più atroce scena di sesso mai vista nel cinema contemporaneo, non ho capito se andava interpretata in modo comico, di sicuro per far passare ogni tipo di istinto è perfetta, anticoncezionale ideale.
Al Pacino nel ruolo del vecchio Aldo Gucci è abbandonato in balia della corrente del mare, da una parte ha l’aristocratica freddezza di Adam Driver, dall’altra gli tocca dividere molte scene con il Paolo Gucci di… Vabbè ne parliamo nel prossimo paragrafo. Quindi nel tentativo di fare da collante, lui che Michael Corleone lo conosce meglio di tutti, al suo Aldo dona in certi momenti un fare paterno, da custode della tradizione Gucci e in altri sbraga malamente (quando si mette ad ululare «Nooo noooooooo!» siamo in piena zona melò scappato di mano) perché al suo fianco ha una radio rotta piazzata su undici come l’amplificatore degli Spinal Tap, quindi per farsi sentire il povero Al deve come minimo urlare. Ok ci siamo, siamo al paragrafo che stavate aspettando.
Al, mentre cerca di imporre le mani sul film nel disperato tentativo di salvarlo. |
La tragedia, il vero buco nell’acqua, la prova del fallimento di Ridley Scott(o) è il Paolo Gucci di un attore che per mezz’ora ho creduto essere un Peter Stormare particolarmente alticcio, salvo poi capire che si trattava invece del solito megalomane Jared Leto, che accanto a tutti quei grandi nomi si sente più diva di Lady Gaga, quindi ha pensato bene di giocarsela alla Nicolas Cage (senza averne il talento) trasformando Paolo Gucci in una macchietta ridicola diciotto metri sopra le righe.
Colpa di Jared Leto? Anche, ma lo sappiamo che lui recita tutti i personaggi così, la vera colpa resta di un regista che non ha saputo rendere corale un film che poteva essere non dico il suo “Il Padrino”, ma di sicuro non un American Crime Story con i soldi in questo modo, meno appassionante che leggere gli eventi come avvenuti, elencati sulla pagina di Wikipedia.
Era dai tempi di John Leguizamo, clown panzone in Spawn, che non vedevo un tale disastro. Ma Leguizamo ne uscì con più classe bisogna dirlo. |
Per ovvie ragioni di proiezione in sala ho visto il film doppiato, ma anche qui secondo me Ridley dovrebbe far pervenire una cassa di quello buono a tutti i doppiatori, appena ne avrò la possibilità vorrei provare a guardare il film in originale, un pezzettino, tutto non credo di farcela un’altra volta. Anche perché temo che il livello di macchiettismo in lingua originale potrebbe essere stato mitigato dal doppiaggio, se qualcuno lo avesse visto in originale, ci vediamo nella sezione commenti.
Insomma, nel corso dello stesso anno Ridley è riuscito a sfornare non uno ma due film, che sono riusciti nell’impresa di farmi sentire ancora di più l’assenza di Tony, lo Scott giusto. Perché forse vi sembrerò duro con Ridley, ma in giro troverete pochi altri che conoscono e apprezzano il suo cinema più di me, per certi versi sono un cultore della famiglia Scott, tanto da poter imitare Lady Gaga dicendo: nel nome del Padre, del figlio e della famiglia Scott. Però questa volta Ridley, tu sei Paolo Gucci e il migliore resterà per sempre Tony, con la differenza che questa volta anche i tuoi fan su “Infernet” dovranno incassare, c’est la vie.