A volte penso che se dovessi spiegare a qualcuno che ha passato gli ultimi trent’anni in una giungla del Borneo chi è Terry Gilliam, questo sarebbe il film più indicato per farlo, allacciatevi le cinture perché oggi andiamo a zonzo nel tempo con il nuovo capitolo della rubrica… Gilliamesque!
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Katherine Helmond, un Orco e Terry sul set del film (il regista è quello a destra non fate confusione) |
Nemmeno le polemiche frenano il trionfale successo di Brian di Nazareth, ma prima di tornare al lavoro tutti insieme, ognuno dei Monty Python è impegnato con le singole carriere, per Terry Gilliam il dado è stato tratto con Jabberwocky, il suo esordio alla regia un piccolo film con un budget ancora più piccolo in cui il talento di Gilliam era già tutto lì da vedere, ma grazie a George Harrison, si comincia davvero a fare sul serio.
Il chitarrista dei Beatles si era già giocato la credibilità e pure il conto in banca per produrre Brian di Nazareth, con la sua neonata casa di produzione la HandMade Films, ma visto il successo può permettersi di finanziare la stramba idea di Gilliam, la storia di un ragazzino appassionato di storia che viaggiando nel tempo ha l’occasione di incontrare i suoi eroi e di essere deluso da una buona parte di loro. Ah sì, vi ho detto che viaggia insieme ad un gruppo di nani?
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Ragazzi ma vi sembra questo il momento di farvi le foto? Dai su! |
Ma come un gruppo di nani Terry? Ma scherzi? No, l’unico Python non inglese non scherzava e nasando il rischio nessuna casa di produzione vuole collaborare e produrre un’idea tanto strampalata, motivo per cui George Harrison pensa bene di aprire un’ipoteca sugli uffici della HandMade Films per tirare su il denaro necessario, rischioso? Ma va! Per Brian di Nazareth, l’ex Beatles si era già impegnato la casa (storia vera).
Ma conoscere le persone giuste nella vita aiuta e Terry può ancora contare sulla popolarità dei Monty Python, è grazie all’amicizia con Eric Idel che Gilliam riesce ad avere Shelley Duvall in un piccolo ruolo (doppio) nel film, invece il vero miracolo avviene grazie al socio di George Harrison, il produttore Denis O’Brien. Pare che nella sceneggiatura originale, scritta da Gilliam e dall’altro Monty Python, Michael Palin che anche lui compare nel film insieme alla Duvall, la parte dedicata a re Agamennone recitasse più o meno: «E quando Agamennone si toglie l’elmo, vediamo Sean Connery, oppure un attore qualsiasi con il carisma di Sean Connery, ma che costi meno» (storia vera).
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«Tranquilli, sono amico del produttore» |
Per un puro caso, Sean Connery da buon scozzese ama giocare a golf e molte volte lo fa proprio con Denis O’Brien, se a questo aggiungiamo che Connery è sempre stato un grande appassionato dei Monty Pyhton, il gioco è fatto! Trovo fantastico che ogni volta che qualcuno intervisti Gilliam, cercando di farlo parlare dei film che non è riuscito a dirigere, lui venga fuori con una storia di piccola fortuna come questa, nel mare di sfiga in cui tutti vorrebbero sentirlo crogiolarsi. Gilliamesca lezione di vita, prendete appunti.
Bisogna anche dire che la testardaggine va di pari passo con il suo vulcanico cervello, quanti film ricordate con dei nani in un ruolo chiave? Così su due piedi direi solo Poltergeist e Mad Max – Oltre la sfera del tuono, ma con di nani come protagonisti, se escludiamo The Minis – nani a canestro, mi viene in mente solo “Willow” di Ron Howard che, però, sarebbe arrivato solo sette anni dopo i banditi del tempo di Gilliam che di nani nel film se ne gioca ben sei! Nel 1981 vi rendere conto?
Mica come oggi che Peter “Più grande attore del mondo” Dinklage è l’attore più pagato della HBO! Quando si parla di futurismo, nessuno tiene il passo di Terry!

«Fiamo anFati a sFatteFe contFo i lettoFi della BaFa Folante!»

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Che dite? Ricominciamo la tradizione dei titoli di testa? Questi sono particolarmente fighi. |
Per quanto mi riguarda “I banditi del tempo” è il perfetto film per parlare del cinema di Gilliam, perché è il punto di equilibrio tra i lavori fatti con i Monty Python e tutto il cinema che arriverà dopo (anche in questa rubrica), una sincera, energica ed anarchica dichiarazione d’amore al potere della fantasia, anzi, alla totale e assoluta supremazia dell’immaginazione su ogni altra cosa. Punto di congiunzione perché il satirico attacco alle istituzioni, tipico dei Python viene portato avanti con il solito beffardo sorriso sulle labbra, ma viene addirittura approfondito dal regista originario di Minneapolis (ma Inglese d’adozione) che ci ricorda che nessuna istituzione è sacra o esente da critiche, non lo sono gli imperatori come Napoleone, gli eroi della letteratura come Robin Hood e non lo sono nemmeno gli Esseri Supremi, come Dio in persona… Ma andiamo per gradi.
Kevin (Craig Warnock) è un ragazzino inglese di 11 anni che ama la storia e usa la fantasia come valvola di sfogo, un piccolo Don Chiscotte che si rifugia tra i libri per sfuggire ad una realtà grottesca di due genitori che sembrano usciti dal Flying Circus, come avrebbe detto Frankie hi-nrg, in costante escalation col vicino, acquistano elettrodomestici ultra tecnologici e si lasciano ipnotizzare da quiz tv scemi, seduti sulle loro poltrone, ancora avvolte nel cellophane, dettaglio visivo efficacissimo.
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Anche peggio di chi non toglie le plastiche dall’auto nuova! |
Una sera dall’armadio della camera di Kevin spunta un cavallo con tutto il cavaliere in armatura (uno dei marchi di fabbrica del cinema di Gilliam) che cavalca e sparisce in uno dei tanti disegni appesi alla parete della cameretta del bambino, la sera successiva va pure peggio, o meglio a seconda dei punti di vista, perché dall’armadio escono sei nani: Randall (lo sfortunato David Rappaport), Fidgit (il mitico Kenny Baker, ripieno ufficiale di c1b8 R2/D2 di Star Wars), Og (Mike Edmonds), Wally (Jack Purvis), il riottoso Strutter (Malcolm Dixon) e il mio preferito, il sempre affamato Vermin (Tiny Ross).
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Vermin ti ho detto di non mangiare così tanto sembri un por… Vabbè lasciamo perdere! |
I nanetti sono in fuga, come Scott Bakula a spasso nel tempo, armati di una mappa, con l’elenco dettagliato di tutti i punti deboli dello spazio tempo, una lista di portali che attraversati possono portarti ovunque nel tempo. La mappa è stata, diciamo presa in prestito (perché dire rubata fa brutto) dal loro datore di lavoro, l’Essere Supremo (Ralph Richardson) colui che ha dato vita a tutte le cose, il mare, i cieli, lo spazio e il tempo, lasciando ai suoi sottoposto sottodimensionati il lavoro minore, tipo creare i cespugli e tutta quella robaccia lì.
Ma l’Essere Supremo, ha creato anche il Male, anche se fossi in voi non lo farei notare al signor Male, perché potrebbe incazzarsi e farvi esplodere (come fa in una spassosa gag ricorrente nel film), perché oltre ai viaggi nel tempo, sei nani come protagonisti e l’Essere Supremo (perché chiamarlo apertamente Dio sarebbe troppo esplicito), il cattivo del film è il Male, no, non uno molto cattivo, intendo proprio dire IL MALE, impersonato grazie ad un look Gigheriano da un azzeccatissimo David Warner, questo prima di interpretato lo spietato MCP di “Tron” (1982), vi ho già parlato del futurismo di Gilliam?
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No, nemmeno il dottor male, proprio IL MALE in persona, cattivo quasi come vostra suocera. |
“I banditi del tempo” è essenzialmente un’avventura nel senso più puro del termine che strizza l’occhio alla letteratura come quasi tutti i film di Gilliam, uno che ha dichiarato di fare film, per convincere la gente a leggere libri (storia vera), se Jabberwocky aveva come modello il poema originale di Lewis Carroll, qui Gilliam pare rifarsi a quella che è forse LA favola per bambini britannica per eccellenza, “Lo Hobbit” di Tolkien, perché Bilbo Baggins era l’unico non nano (ma comunque tappo) che partiva da casa sua, alla volta di una grande missione, mentre Kevin parte per la precisione dalla sua camera e spostando una parete (in una scena visivamente splendida) è l’unico non nano (ma comunque pure lui, tappo) impegnato in una grande missione, la differenza tra i due? Bilbo rappresenta i trentenni del mondo, quelli che vorrebbero solo stare a casa a morire sul proprio divano (tipo come vorrei fare sempre io), mentre Kevin è l’entusiasmo giovanile di chi è pronto ad abbracciare l’avventura e se serve a fare pure le domande impertinenti che di solito fanno i bambini, insomma è il punto di vista di Gilliam, un Don Chisciotte in scala, con tanti Sancho Panza più bassi di lui.
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«Non siamo bassi, siamo diversamente alti, mettitelo in testa» |
Il film scritto a quattro mani insieme a Michael Palin, ha ancora dentro di sé molto dei Monty Python, sembra quasi che la mappa, la fuga dall’Essere Supremo e il Male che dà la caccia ai protagonisti sia il filo rosso che unisce una serie di momenti, irrimediabilmente comici che in qualche modo potrebbero ricordare la struttura a sketch tipica dei Python, se volete considerarlo un difetto, io personalmente non me la sento, anche perché i vari saltelli di qua e di là nel tempo ci regalano momenti uno più brillante dell’altro.
Ad esempio, s’inizia con l’incontro tra i sei nani (più uno) con Napoleone, reduce dal trionfo nella battaglia di Castiglione, ma depresso, anzi ossessionato dalla sua altezza non proprio degna delle sue imprese. Ora, suonerà come un ossimoro, ma Ian Holm che lo interpreta semplicemente giganteggia nel ruolo. Pare che la sua prova così ispirata, abbia provocato una crisi isterica di risate a Gilliam, costretto ad allontanarsi dal set per non attaccare la “Ridarola” a tutti (storia vera). Holm che elenca in maniera ossessiva l’altezza in centimetri (o pollici se guardate il film in lingua originale) dei grandi, ma bassi conquistatori come Alessandro Magno, Attila e Gengis Khan sembra davvero uno sketch dei Python, per altro, ora che ci penso, chi è che interpretava la parte di Bilbo Baggins ne “Il signore degli anelli” (2001)? Toh, proprio Ian Holm, ho già usato le parole “Futurista” e “Visionario” parlando di Terry, vero?
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«Questo Cassidy è troppo alto… Fatelo fucilare» |
Altro giro altra corsa, altra coppia di scoppiati, la banda di protagonisti inciampa (letteralmente) nella coppia di amanti con qualche problemuccio di coppia interpretati da Shelley Duvall e Michael Palin, in due momenti, prima in una foresta dalle parti di Nottingham (prossimo capoverso ci torniamo) e poi sulla RMS Titanic. Una coppia di innamorati su una nave destinata ad affondare, prima di James Cameron!?! Continuate a tenere a mente le parole futurista e visionario.
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E Céline Dion… MUTA! |
Ma è proprio nella foresta dalle parti di Nottingham (benvenuti al capoverso successivo, ciao) i nostri fanno la conoscenza del Robin Hood più scemo mai visto nella storia del cinema, quello che ruba ai ricchi per dare ai poveri, ma ruba pure il bottino ai nostri protagonisti, originariamente avrebbe dovuto essere interpretato da Michael Palin, ma appena John Cleese ha letto la parte ha preteso il ruolo, meglio così perché è assolutamente perfetto, godetevi l’accento assurdo con cui si presenta in lingua originale, fatevi questo favore e non fatevi distratte dal fatto che, forse, tutti e sei i protagonisti (più uno) messi uno sulle spalle dell’alto a stento arrivano all’altezza di Cleese, scelta scenica efficacissima, secondo me.
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«Certo che visti da quassù siete proprio piccoletti, Urca urca! Tirulero!» |
Terry Gilliam non risparmia nessuno, non un eroe storico viene salvato dalla sua satira, forse solo Agamennone, guarda caso l’unico capace di scherzare anche nei momenti seri (fu un’idea di Sean Connery, subito promossa da Gilliam che Agamennone facesse un piccolo numero di magia a Kevin invece di dargli una risposta seria), la prova di Connery è magnetica come al solito, ma il film sale così tanto di colpi che può permettersi di fare a meno di un Divo come lui per migliorare ancora nel ritmo e nelle trovate.
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Agente 007, dalla Russia Grecia con amore. |
Nella seconda parte “I banditi del tempo” diventa puro concentrato di Gilliam, la scena in nave in cui i protagonisti vengono pescati da un Orco con il mal di schiena e dalla sua pragmatica moglie (Katherine Helmond che recita non truccata da “Orchessa” perché secondo Gilliam era più divertente l’idea di una moglie umana per un Orco) è solo l’assaggio, il meglio arriva nella scena in cui la nave, finisce dritta sulla testa di un colossale gigante emerso dalle acque. Gilliam riprende l’omaccione dal basso per farlo sembrare ancora più grosso di quello che in realtà non sia, il resto è un riuscito lavoro di modellini e set che porta i nostri nanetti letteralmente sulle spalle (anzi sulla testa) del gigante, in una scena che sembra la versione con attori di una delle folli animazioni che Gilliam realizzava per il Flying Circus, per quanto è spettacolare ed estemporanea.
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Nani sulle spalle sulla testa dei giganti. Letteralmente! |
La regia di Terry è una meraviglia di scelte di inquadratura ardite, fateci caso, il numero di riprese dal basso è pericolosamente ehm, alta (scelta di parole infelice lo so), Gilliam usa molte inquadrature orientate dal basso verso l’alto, per offrire al pubblico lo steso punto di vista dei suoi non proprio altissimi protagonisti, ma nel corso del film anche avere sei nani (più un diversamente alto) perde il suo significato, perché attorno a loro tutto (lo spazio, il tempo e i set) cambia di dimensione, quindi quello che resta non sono sei attori anni e un bambino, ma solo Kevin, Fidgit, Wally e tutti gli altri, ovvero personaggio per cui fare il tifo.
La scena della fortezza del Male è la ciliegina sulla torta, non solo perché quegli infiniti fondali neri danno davvero l’impressione di qualcosa in cui, cadendoci dentro, si potrebbe precipitare all’infinito senza mai toccare il fondo (in questo senso la scena delle gabbie in sospeso risulta spaventosa e super coinvolgente), ma è una gioia per gli occhi: qui Gilliam manda in corto tutto quello che crediamo di sapere sulla storia, la piccola comparsata dei genitori di Kevin e i nani, a loro volta attratti da quello stupidissimo quiz televisivo, ci fanno dubitare di cioè che abbiamo appena visto potrebbe essere tutta una grande fantasia di Kevin, anche perché nella battaglia finale contro il Male, a dare manforte ai nostri arrivano un carro armato e un’astronave, tutta roba che, se guardate bene, potete trovare sulle mensole della camera di Kevin… La cura per i dettagli di Gilliam è sempre ammirevole, e a ben pensarci un finale che sembra quasi una prova generale per quello di un altro film di Terry, uno molto più “Brasileiro”.
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La vendetta della faccia gigante! (cit.) |
L’ultima scena è un vero tripudio visivo, io vorrei che tutti quelli che dicono che [INSERIRE-QUI-NOME-DI-REGISTA] è un “Visionary director”, guardassero cento volte di fila la scena in cui il cranio di David Warner si apre e da lì dentro spunta fuori un braccio meccanico con una lama all’estremità che ruotando su sé stesso libera il Male dalle corde con cui Kevin e compagni hanno cercato di legarlo. Porco Mondo! Lo volete capire che “Visionary director” è un’espressione che andrebbe utilizzata con estremo giudizio, perché se cani e porci sono registi visionari che parole vogliamo usare per descrivere il talento del signor Gilliam?
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Questo è solo l’inizio della scena, poi diventa ancora più matta! |
Il finale del film è un trionfo della fantasia su ogni altra cosa, persino l’ultima scena, la fine che fanno i genitori di Kevin nel film (scena che preoccupava moltissimo Denis O’Brien) è l’ultimo schiaffo in faccia alla borghesia degli Inglesi medi che di solito i Python si divertono a sbeffeggiare, ma per Gilliam l’immaginazione è talmente fondamentale che nemmeno l’Essere Supremo ne esce benissimo.
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«Ehm mi scusi Signor Il Male, credo lei abbia una citazione ad Alien sulla testa» |
Certo, interviene a sistemare molti dei casini e salvare i protagonisti, però non viene mai rappresentato come un bonario e amorevole Dio di pace, è un’interpretazione che rispecchia i trascorsi da ragazzino protestante di Gilliam. L’Essere Supremo interpretato da un molto ispirato Ralph Richardson (pare che sul set contestasse le sue righe di dialogo dicendo «Dio non direbbe mai una cosa del genere») è un burocrate in doppio petto, non a caso vestito di grigio, uno che sì, risolve la situazione, ma sembra tanto un capoufficio severo che si rivolge ai suoi sottoposti guardandoli dall’alto verso il basso e non solo per motivi di altezza («Morto!? Una scusa per non lavorare»). Infatti, è proprio Kevin, il puro di cuore che crede fermamente nel potere dell’immaginazione a contestarlo («Ha lasciato morire tutta questa gente per testare sua invenzione?») e costringendo l’Essere Supremo a barricarsi dietro spiegazioni che sembrano tecnicismi da burocrate («Credo sia legato al libero arbitrio»), perché per Gilliam, un burocrate non potrà mai essere davvero buono, magari potrà disporre di tutti con poteri degni di un Essere Supremo, ma buono, quello proprio mai.
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«Consideratevi fortunati, ad Adamo ed Eva è andata peggio» , «Com’è umano lei!» |
“I banditi del tempo” è un successo, George Harrison non ha perso i suoi uffici e Gilliam, con questo film, riesce a guadagnarsi una credibilità registica che gli permetterà di portare avanti la sua idea di cinema, anche perché se Dennis cavalcava infelice verso il tramonto, al piccolo Kevin non va poi tanto meglio, in uno di quei finali dolci e amari che diventeranno uno dei marchi di fabbrica del regista. Eppure, ancora penso che la radicale dichiarazione di superiorità dell’immaginazione su ogni cosa, anche sul bene e sul male di questo film sia il migliore dei biglietti da visita possibili per il cinema di Terry Gilliam, anche perché dài, andiamo! S’intitola “I banditi del tempo” dove lo trovate un film con un titolo più figo di così? Dài! Tra sette giorni, questa rubrica punterà in alto, anzi altissimo, alla vita, l’universo, e tutto quanto, non mancate!