Lo confesso candidamente, pur essendo nato negli anni ’80 e
cresciuto a cavallo tra il decennio dei jeans a vita alta e quello
immediatamente successivo, credo di essere la persona peggiore al mondo per
parlare dei “Masters of the Universe”, io faccio parte di quella sparuta nicchia
di bambini che preferiva i G.I.Joe.
Siamo pochi, ma siamo una lobby molto potente.
La storia di come siano nati i “Masters of the Universe”
(MOTU) è bellissima, se non la conoscete vi consiglio la puntata a tema della
serie “I giocattoli della nostra infanzia”, la trovate comodamente su Netflix
oppure, potete rivolgervi ai massimi esperti viventi di MOTU, Il Moro e Moz, loro hanno il potere.
Eppure oggi, 3 novembre 2022, uno dei prediletti di questa
Bara compie i suoi primi 65 anni, quindi non potevo tirarmi indietro e perdere
l’occasione di occuparmi di uno dei film per cui ancora oggi Dolph Lundgren è
ricordato, beh, abbastanza ricordato perché lo svedesone è ancora un culto per
pochi.
La storia personale di Lundgren è avvincente quanto quella
sulla creazione dei MOTU, nato a Stoccolma Dolph era un ragazzino con svariate
allergie e il sogno di fare la Rockstar, le arti marziali e i pesi sono entrati
a far parte della sua vita durante l’adolescenza, ma è la materia grigia nella
scatola cranica a fare di lui una specie di Superman dalla Svezia: parla sei
lingue, ha un paio di lauree una delle quali ottenuta in pigiama per quanto gli
risultava semplice la materia (chimica, roba da niente proprio), quando la sua
vita sembrava avviata e il mondo della scienza già si interrogava su dove
trovare un camice abbastanza largo per avvolgere il suo 1,96 Dolph ha detto:
«Ciao, vado a fare il buttafuori nei locali» (storia vera).
La borsa di studio all’M.I.T. (ribadisco, robetta) lo ha
portato negli Stati Uniti, ed è qui che una storia già interessante decolla, Dolph
prende casa in un quartiere di New York scelto a caso sulla mappa, si compra
una Harley perché voleva da tempo togliersi lo sfizio, ma le estati nella Grande
Mela sono roventi per chiunque, figuriamoci per uno che arriva dalla Svezia,
quindi Dolph gira in moto a petto nudo e mentre studia all’M.I.T. caccia a
pedate ubriachi dai locali di New York. Quando i genitori, preoccupati per il
figlio da solo nella tentacolare città lo chiamano, lui risponde che nel
quartiere dove vive sono tutti gentili con lui, lo salutano sempre, come se
fosse un piccolo paesino di provincia. Solo anni dopo Dolph ha scoperto che il
quartiere dove viveva, era quello con più alta concentrazione di omosessuali,
che puntualmente una volta al giorno si vedevano sfilare ‘sto vichingo, questa
specie di Dio del tuono mezzo nudo in moto, pronto ad apparire come una visione,
ma solo una è riuscita a prenderselo tutto per se, Grace Jones, lo ha
avvicinato in uno dei locali dove lavorava per farne il suo fidanzatino (gigante) prima e per
aprirli le porte del mondo dello spettacolo subito dopo, il resto lo conoscete,
Ivan Drago è ancora oggi l’unico ruolo per cui tutto il pubblico conosce e
ricorda questo alieno precipitato dalla Svezia di nome Dolph Lundgren.
Prima di Red Scorpion,
Il Vendicatore e Arma non convenzionale, il ruolo di protagonista in un film ispirato
ai MOTU era la scelta più ovvia per Dolph, lanciato nell’empireo dalla transiberiana Ivan Drago, se nel 1987 fosse già esistito l’MCU gli
avrebbero affidato il ruolo di Thor per direttissima, ma la linea di giocattoli
Mattel stava sulla cresta della più grande onda di sempre, proprio quella che
di lì a poco si sarebbe rovinosamente infranta sugli scogli.
La Mattel aveva prodotto così tanti avversari e comprimari
di He-Man per rispondere alla richiesta di tutti i bambini del mondo, che
proprio attorno al 1987 cominciò ad accorgersi di aver fatto un errore letale: gli
scaffali erano pieni di avversari di He-Man, tutti più assurdi e variopinti dei
precedenti, ma non si trovava più un pupazzetto action figure
giocattolo del protagonista, se lo avevi comprato ai tempi bene, altrimenti
dovevi fare come me, che nella mia scarsissima collezione di MOTU avevo solo il
principe Adam, con la sua spada e il gilet fucsia, che ogni volta gli toglievo
arrangiandomi e fingendo che bastasse quello per la sua trasformazione in
He-Man (storia vera).
Il film diretto da Gary Goddard è uscito proprio in questo
periodo, nel momento esatto in cui i MOTU erano ancora una superpotenza dell’intrattenimento,
ma poco prima del doloroso fallimento, fin troppo facile dare la colpa della
fine di questa moda solo alla pellicola, in evidente carenza di budget per
poter portare i MOTU sul grande schermo, accontentando legioni di bambini
cresciuti con il colorato cartone animato della Filmation.
Prima ho citato l’MCU sbagliando di poco, perché il piano
originale di Gary Goddard era un altro, ovvero un film sul “Quarto mondo”, la
serie a fumetti di Jack “The King” Kirby pubblicata per la Distinta
Concorrenza, dopo la sua fuga sbattendo la porta dalla Marvel. Nella testa di
quel nerd di Goddard, Skeletor era una specie di Darkseid mescolato al Dottor
Destino sempre nella versione Kirbiana, così come la chiave cosmica che apre
portali tra i mondi, era l’omaggio del regista alla Scatola Madre, che aveva un
ruolo chiave nelle trame del Quarto mondo di Kirby, a cui Goddard avrebbe
voluto dedicare il film, se non fosse che la Cannon tagliò la dedicata perché
ammettiamolo, aveva ben altri problemi per le mani.
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Il bimbo che tramite un concorso ha potuto visitare il set del film (storia vera), credo sia ancora in terapia oggi. |
La casa di produzione di Yoram Globus e Menahem Golan aveva
già fin troppi fumetti per le mani, Superman IV aveva raccolto noccioline dopo essere costato un’esagerazione per le
casse della Cannon, che per altro aveva quasi convinto un tale, a dirigere per
loro un ambizioso film sull’Uomo Ragno, che non abbiamo mai visto proprio
perché “I dominatori dell’universo” è stato un tonfo colossale. Ah, per la nuda
cronaca, quel tale si chiamava James Cameron (storia vera).
Eppure “I dominatori dell’universo” era cominciato con il
passo giusto, le musiche di Bill Conti
sembravano un incrocio tra il tema di “Superman” e quello di “Guerre Stellari”,
mentre i costumi, erano il frutto del lavoro dell’illustratore William Stout,
che per l’occasione collaborò con l’amico e collega Moebius (non proprio la
pizza con i fichi), il risultato? Un adattamento credibile e con una sua
coerenza interna, anche per dei costumi per ovvie ragioni pacchiani, trattandosi di un
cartone animato tratto da una linea di giocattoli. Trovate qualche bella
illustrazione QUI.
Dolph Lundgren nel ruolo di Lui-Uomo cosa volete
dirgli? Scelta figlia del momento ma impeccabile, dal punto di vista estetico e
con quel costume addosso, Dolph è semplicemente perfetto per un adattamento che
spegne i colori dei personaggi, non perché nel 1987 non esistessero già i
Cinecomics (due anni dopo sarebbe arrivato uno piuttosto famoso) ma perché erano considerato roba per bambini e
andavano resi più seri. Che poi è quello che succede ancora oggi, con l’aggiunta
dell’ipocrisia generale di considerarla roba per adulti, quando vivremmo tutti
più sereni se accettassimo l’idea che il cinema d’intrattenimento esiste da sempre
e può essere anche di qualità se fatto come si deve, anche se purtroppo non è
il caso di “I dominatori dell’universo”.
La Cannon si ritrova tra l’incudine e il martello, non ha
abbastanza liquidità per finanziare un film tutto ambientato su Eternia come il
cartone animato tanto amato, ma deve anche razionalizzare tutto mettendosi in
coda al successo di “Guerre Stellari”, i soldati di Skeletor sono un furto con
rapina all’estetica degli Stormtrooper Imperiali, però dipinti di nero, perché
il loro eroe He-Man, non avrebbe mai potuto uccidere semplici sgherri, meglio
farli passare per robot senza volto.
Dopo due scene girare per puzza su Eternia, con il castello
di Grayskull in lontananza, che pare un incubo uscito dalla mente di un
fanatico di Cyberpunk dopo una notte alle prese con la digestione della
peperonata, i personaggi precipitano letteralmente da qualche parte in Culonia,
provincia di Yankeelandia, ambientando il film nel nostro mondo si possono
tagliare i costi e mungere tutte le gag possibili immaginabili su un Cristone
biondo che si fa chiamare Lui-Uomo (Dolph Lundgren) e i suoi due compari
guerriglieri, Man-At-Arms (Jon Cypher) e Teela (quella meraviglia di Chelsea
Field) finiti nell’America di fine anni ’80, dove tutto è cotonato e dove il
verbo mungere torna buono, visto che molte delle battute ruotano intorno allo
gnomo Gwildor (Billy Barty) che muggisse scambiando una vacca per uno dei
locali. Grasse risate è il caso di dirlo.
Gwildo in questa versione è il facente funzione di Orko,
perché una sorta di “fantasmino” svolazzante senza gambe, la Cannon proprio non
poteva permetterselo, la sua chiave apri portali è così importante che infatti
i protagonisti se la fanno soffiare facendo la figura dei cavedani in amore, il
tutto per portare in scena gli amichetti umani dei protagonisti, vuoi non
sfruttare il vecchio trucco dei ragazzini con cui gli altri ragazzini, quelli
che hanno pagato il biglietto per vedere il film sui MOTU, potranno
immedesimarsi?
Quindi qui abbiamo, direttamente dal video di Dancing in the Dark di Bruce Springsteen,
Courteney Cox nei panni di Julie e il suo fidanzato che scambia la chiave per
una specie di pianola Bontempi cercando di suonarla al banco dei pegni.
Ceeeerto! Perché un bambino in sala per vedere He-Man è mooooolto interessato a
tutta questa roba, ovviamente!
Del film cosa devo dirvi? Il personaggio di Julie ha perso i
genitori e vorrebbe avere il potere (occhiolino-occhiolino) per cambiare la
situazione, ama il suo ragazzo ma deve mollarlo per andare a studiare dall’altra
parte degli Stati Uniti e altra roba molto interessante del genere, in compenso
il film le prova tutte per ricordare al pubblico gioie cinematografiche
passate, ad esempio James Tolkan ricopre lo stesso identico ruolo del preside Strickland
di Ritorno al futuro, ma in compenso
un paio di attori nei ruoli giusti li abbiamo.
Come ad esempio il mitologico Frank Langella nei panni di
Skeletor, nemmeno sotto quel chilo di chewing gum masticato che si ritrova come
trucco appiccicato alla faccia non riesce a non titaneggiare, risultando un uomo
tra i bambini, anche se alle prese con un personaggio che potrebbe uccidere la
carriera a chiunque. Non basta che sia una sorta di scheletro vivente che
Langella rende credibile solo con la presenza fisica e la voce, ma nel finale
quando usa il potere, si trasforma in una sorta di carro allegorico per la
parata di Carnevale, una roba che persino i Cavalieri d’oro delle dodici casate
avrebbe considerato un tantinello sopra le righe.
Menzione speciale per gli occhi di ghiaccio di Meg Foster, che ci regala una perfetta Evil-Lyn
malgrado un’armatura di due volte il suo peso che sul set, non le permetteva
nemmeno di stare seduta (storia vera). Difficile appassionarsi ad una trama molto
interessata a fare battute sugli idrocarburi e dove quando Skeletor raduna il
popolo di Eternia, questo è composto da tutti i suoi abitanti. Tutti e quattro
intendo.
Per chi è cresciuto con i MOTU e il cartone animato della
Filmation, questa versione in tono minore, troppo realistica e oscura non
poteva che essere una delusione, rivederlo da grandicelli non aiuta perché il
cast sarà anche quello giusto, ma la parata di nemici di Lui-Uomo sono una
manciata, non somigliano troppo alle controparti tanto amate e quello più
riuscito esteticamente, quella sorta di uomo-lucertola con elmo da battaglia
(avrà sicuramente un nome ma ribadisco, io preferivo i G.I.Joe quindi ci
leggiamo nei commenti) viene ucciso per primo perché quella mattina a Skeletor
giravano i maroni e non aveva ancora preso il suo caffè. Stacce sottoposto!
Lo scontro finale avviene con Skeletor in volo sulla sua
morigerata piattaforma sopraelevata (qualunque cosa sia quella roba), scippato
da He-Man che in volo su una sorta di skateboard volante (allora lo vedete che
è davvero Ritorno al futuro!) gli fotte la chiave, prima di altri momenti
imbarazzanti, tipo le frustate laser con cui He-Man viene punito, una roba al
limite del gaio che forse sarebbe stata apprezzata nel vecchio quartiere
Newyorkese di Dolph.
Si vero, anche in questa versione He-Man solleva la spada in
aria invocando il potere, ma è tutto talmente deludente che invece di risultare l’apice del film, non fa che essere la ciliegina sulla torta della
delusione. Anche perché lo stesso Gary Goddard si è reso conto che l’accentone
svedese di Dolph lo rendeva più alieno di un abitante di Eternia, ma mancava il
tempo e i soldi per far ridoppiare le sue battute, quindi “I dominatori
dell’universo” è un film stile buona la prima, che aveva tutti i nomi giusti
nel cast, ma non abbastanza tempo e soldi per sfruttarli nel modo migliore
possibile.
Dolph Lundgren da allora non ha mai smesso di lavorare, ma è
rimasto eternamente Ivan Drago per il mondo e He-Man per pochi appassionati dei
MOTU che lo ricordano, con parti uguali di amore e rimpianto, volete la prova?
Dolph ha mandato in brodo di giuggiole la folla del Comicon di San Diego quest’anno,
semplicemente invocando il potere di Grayskull (storia vera).
Per una breve periodo nella sua carriera, quell’alieno
precipitato dalla Svezia ha davvero avuto il potere, per troppi oggi è ancora materia di articoli acchiappa click in rete intitolati tipo «Che fine ha fatto
Ivan Drago e cosa fa oggi?», ma per i lettori della Bara no, perché Dolph è un
gran mito e siamo qui oggi per fargli gli auguri di compleanno. Quindi non
perdetevi il resto del Blogtour a tema qui sotto e ricordatevi: per il potere
di Dolph Lundgren, a me il potere!
Il Zinefilo sfrutta l’occasione per parlarci del giorni di fuoco del mitico Dolph!