Buongiorno a voi super muscoli, lo so che stavate aspettando questo capitolo, quindi non perdiamo altro tempo e benvenuti ad una nuova puntata di… King of the hill!
401 a.C. Ciro il Giovane (che non è quello di Gomorra), nel tentativo di usurpare il trono di Persia al fratello Artaserse II, assolda i Diecimila, un gruppo di mercenari, principalmente greci. Le cose vanno storte quando Ciro viene ucciso durante la battaglia di Cunassa e i guerrieri si ritrovano soli, in pieno territorio nemico, con l’unico obbiettivo di riportare a casa la pelle. Uno di loro si chiamava Senofonte e nella sua Anabasi ha tenuto la cronaca degli eventi, con cui i guerrieri sono riusciti a tornare in Grecia nell’anno 399 a.C. Chissà se qualcuno di loro, una volta ritornato faticosamente a casa ha affermato: «Guarda che posto di merda! E abbiamo combattuto tre anni per ritornarci».
Mi è sempre piaciuta la storia, fin dai tempi della scuola, perché era l’unica materia in cui, se riuscivi ad andare oltre le date e i professori capaci di raccontare senza enfasi qualunque momento, potevi trovarci dentro intrighi, omicidi politici, violenza, battaglie, morte, frasi epiche pronunciate al momento giusto e per dirla come Alex di “Arancia Meccanica” anche un po’ di “Su e giù”. L’Anabasi di Senofonte è la classica cosa che può risultare una palla mostruosa tra i banchi di scuola, ma con il filtro del cinema impostato nel cervello, può diventare una figata e il filtro di Walter Hill è sempre acceso.
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«Per Coney Island? Dovete andare da quella parte ragazzi, ma a piedi è un po’ lunga» |
“I guerrieri della notte” ha tutto quello che un maschietto vorrebbe sempre trovare in un film, usciva esattamente quarant’anni fa, per due o tre generazioni di spettatori questa pellicola è un cult, anzi, se c’è un film che si merita questa etichetta, è proprio questo capolavoro di Walter Hill e se il marchio rosso dei guerrieri serviva a far sapere a tutti che erano passati, io gli rendo omaggio a mia volta con il mio marchio rosso, quello dei Classidy!
Nel 1979 il nostro Gualtiero Collina aveva in testa solo due cose, la prima: dare una sistemata alla sceneggiatura di Dan O’Bannon intitolata Starbeast per cercare di capire se si poteva tirare qualcosa di buono da dirigere (SPOILER: Era buono davvero). Oppure, al massimo, concentrarsi sul suo nuovo lavoro da regista, un western. Oh! Basta, eh? Ho fatto un western con le auto al posto dei cavalli, ma adesso ne faccio uno classico, con i cappelli i revolver e tutto il resto che si chiamerà “Last Gun”, questa volta non ascolto ragioni. Infatti, in quel momento spunta fuori il suo produttore di fiducia Lawrence Gordon, con “The Warriors” il racconto scritto nel 1965 da Sol Yurick di cui aveva da poco acquistato i diritti e di “Last Gun” si sono perse le tracce per sempre (storia vera).
Due paroline sull’opera di Sol Yurick vanno spese, perché nel racconto originale la gang di protagonisti si chiama “I Dominatori” ed è formata da ragazzini neri tra i quindici e i sedici anni, le premesse sono più o meno le stesse, anche se gli intenti di Yurick erano ben diversi, a lui interessava raccontare una storia intima sui ragazzi di strada, non dico proprio “West side story” (1961), ma quasi, quindi se vi capitasse di leggere il libro con in testa il film di Walter Hill, potreste rimanere molto delusi.
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Come da tradizione, i titoli di testa del film che sfrecciano in metropolitana. |
La preoccupazione del produttore, il grande Frank Marshall e del sempre sodale Lawrence Gordon era che il film pensato da Gualtiero Collina risultasse un po’ troppo un’esaltazione delle bande di strada giovanili, anche perché il piano originale di Hill era di avere tutti attori di colore per i suoi “Guerrieri”, un’idea che alla produzione non piaceva molto colta al volo dal regista, per rendere il gruppo di protagonisti più variegato, più simile alle etnie miste che popolavano Coney Island.
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Greetings from Asbury Park, N.J. Coney Island, N.Y. |
Essendo una storia di strada, Hill aveva un bel titolo che gli risuonava in testa che sarebbe stato perfetto per il film, “Streets of fire” (storia vera), ma voleva anche il film iniziasse con una voce narrante intenta a riassumere l’Anabasi di Senofonte, un bel vocione possente, tipo quello di Orson Welles, da inserire prima di una bella scritta iniziale, una cosa tipo “Sometime in the future”. Tutte idee davanti a cui i produttori hanno sventolato il ditone a tergicristallo: Welles costa troppo, la scritta ricorda troppo l’inizio di Guerre Stellari e il titolo non va bene. Chissà cos’avrebbero pensato se avessero saputo che da noi, in uno strambo Paese a forma di scarpa, ci hanno appicciato anche un ridondante “…della notte” al fondo, perché qui da noi, un riferimento alla notte nel titolo, non lo si nega a nessuno.
La preoccupazione di Marshall e Gordon non era campata in aria, New York alla fine degli anni ’70 non era ancora quella ripulita dal sindaco Rudolph Giuliani, con la sua “Teoria delle finestre rotte” e il suo atteggiamento da sceriffo, ma cosa vi dicevo del filtro del cinema sempre attivo della testa del nostro Gualtiero? In quello che è un film di genere fino al midollo osseo, Hill inserisce prima di tutto un riferimento colto come l’Anabasi, mentre dal racconto di Sol Yurick prende le parti migliori, perché solo un grande uomo di cinema può trovare il cinema anche dove nessun’altro lo vedrebbe mai e l’inizio di “I guerrieri della notte” non è grande cinema, è grandissimo.
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Ogni volta che sono in metro, ho la tentazione di fare lo stesso (storia vera). Spiegalo poi al controllore che stai citando un film di Walter Hill! |
Sulle note sincopate e rockettare del tema principale firmato da Barry De Vorzon, Hill porta in scena una New York che di notte, sembra popolata solo da gang, il Ciro il Giovane di Senofonte diventa Cyrus, il leader dei Riffs che proclama la tregua tra tutte le bande e le raduna tutte in un parco del Bronx. Ogni banda che conta della città dovrà mandare nove componenti – i migliori – in rappresentanza dei propri colori, il piano è semplice: non ci sono abbastanza “elmetti” in città per contrastarli, se le bande si unissero, potrebbero prendersi la città e governarla nel modo giusto. Un piano così semplice che è impossibile non capirlo, anche se Roger Hill che interpreta Cyrus si guadagna il suo posto nella storia nella cultura popolare, con una frase che è stata campionata in un’infinità di pezzi, specialmente rap, ovvero: «Can you dig it?».
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«Tornando a casa, date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza di Cyrus… sono stato chiaro?» |
Ma il carismatico leader viene ucciso dall’infame Luther che, oltre essere un nome ricorrente nei film di Walter Hill, è impersonato da uno dei suoi attori feticcio, il mitico David Patrick Kelly, scelto da Hill in persona, dopo averlo visto a teatro, dove impersonava la parte di un tossico di strada intento a recitare un lungo monologo su pace e amore (storia vera), a cui Kelly con il suo piglio, però, dava un atteggiamento passivo/aggressivo che stonava con le parole, insomma: perfetto per la parte del capo dei Rogues di Hell’s Kitchen, una banda di spostati guidati da un matto, uno che alla fine del film arriverà ad ammettere che fa tante cose senza una ragione, un vero agente del caos.
Nel casino generale Luther incolpa i Guerrieri della morte di Cyrus e il film diventa la cronaca della lunga notte degli otto “Warriors” superstiti, per tornare nella loro Coney Island. Si divide il costo di un taxi e in un’oretta siamo tutti nei nostri lettucci caldi? Col cavolo! Non solo perché i Guerrieri non hanno un soldo (si muovono in metro sempre a sbafo), ma perché devono rendere onore al loro nome, a testa alta, senza nascondersi loro, i loro colori e i loro gilet, sono i Guerrieri di Coney Island, mica i Conigli di Coney Island!
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Walter Hill è il regista dei duri in situazioni toste. Ma nessuno è più duro dei Guerrieri. |
I primi sette minuti di “The Warriors” sono puro cinema al suo meglio, mentre la musica di Barry De Vorzon è intenta a gasare lo spettatore, le gang escono letteralmente fuori dalla fottute pareti, grazie alla fotografia di Andrew Laszlo, Hill inquadra strade bagnate e luccicanti e vagoni della metro che corrono sui binari tracciati come il destino a cui stanno andando in contro i protagonisti, in pratica l’inizio dei sogni per uno come Michael Mann.
Dopo aver assimilato la lezione di Melville e averla fatta completamente sua, Hill applica lo stesso identico principio già usato in Driver l’imprendibile, andando alla ricerca non del realismo, ma di come il cinema possa rendere migliore la realtà sul grande schermo. Tu guardi “The Warriors” e pensi che New York quando cala la notte, dev’essere proprio così: un posto popolato da gang che controllano le strade. Hill non ha nessun intento realistico, questo spiega le dissolvenze, i tanti stacchi di montaggio durante il viaggio in metropolitana dei Guerrieri, il modo di parlare dei personaggi e persino i loro nomi che li identificano per ruolo. Se non fosse già chiaro così, la “Ultimate Director’s Cut” uscita nel 2005, presentata anche ad un Torino Film Festival (lo so perché è lì che l’ho vista) aggiunge dei racconti disegnati per sottolineare la natura fumettistica della storia, divertenti e ben fatti, niente da dire, ma superflui, perché nella sua versione originale in 90 minuti di durata, Walter Hill ha creato un mondo con le sue regole, credibile nel suo essere volutamente fittizio, insomma: cinema allo stato puro.
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Un estratto dalla fumettosa “Director’s Cut” voluta da Walter Hill. |
Appassionarsi ai personaggi è facilissimo, anche perché i loro nomi descrivono il loro ruolo e il carattere del personaggio, Swan (Michael Beck, scovato da Hill mentre guardava il film “Madman” per capire se questa Sigourney Weaver, poteva essere una valida Ripley. Storia vera) è quello che ha il carisma per comandare i Guerrieri assediati dai nemici e senza più un capo, nel loro Omerico ritorno a casa, Ajax (James Remar, che diventerà uno degli attori feticcio di Hill) è quello con l’incazzatura facile, ma abbiamo anche Fox, Cowboy, Vermin, Cochise e Rembrandt che, non a caso, è l’artista della bomboletta spray, con il compito di marchiare il passaggio dei Guerrieri con il loro simbolo, una “W” rossa.
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Indossano i colori di guerra, come gli indiani in un vecchio western. |
La sceneggiatura, scritta da David Shaber e lo stesso Walter Hill, è stata modificata varie volte, in ogni versione uno o più dei nostri Guerrieri faceva a turno una brutta fine, tutte opzioni che sono state scartate facendo, a mio avviso, una scelta molto giusta, perché nel corso del film si finisce per patteggiare anche per i caratteri più ruvidi, anche grazie ai dialoghi e qui lo dico: l’unica cosa che mi piace più della capacità di girare di Hill e il suo modo di scrivere i dialoghi.
Ora, io sono uno a cui scappano parecchie parolacce quando parla (specialmente al lavoro), ma come s’insultano i personaggi nei film di Walter Hill, è qualcosa che manda a scuola anche me, in questo senso anche il doppiaggio italiano ci dà dentro, in un tripudio di personaggi etichettati nei modi più coloriti, cosette tipo “Coglioni molli”, oppure frasi gergali che in un doppiaggio moderno non sentirete mai più. Trovatemi un film di oggi dove un personaggio dice qualcosa tipo «Mi andrebbe un frego sgusciarmi una di primo pelo» e vi pagherò da bere.
Se la parte più dura è stata mettere d’accordo le idee del regista e quelle dei suoi produttori, le riprese sono state una maratona, citofonare Marcelino Sanchez – l’attore che interpreta Rembrandt – per conferma, intervistato riguardo alle riprese e le svariate scene di corsa, la sua «Qualche volta mi domando se questo è un film o una maratona» è entrata nella mistica di questo film. Così come storielle divertenti, tipo i cinquecento fogli verdi con sopra facce di presidenti defunti, pagati al giorno dalla produzione, a vere gang di strada come i Mongrels, assoldati per fare, diciamo, da sicurezza alla strumentazione durante le ore di lavoro, tutte rigorosamente notturne.
Ci sono tanti film ambientati nel corso di una sola lunga notte, ma quello di Walter Hill non somiglia a nient’altro mai visto, perché dentro ha di tutto, in novanta minuti (durata perfetta) crea un mondo dove i giovani sono tutti figli della strada, cresciuti attenendosi alle sue regole, un posto dove o sei duro, oppure sei morto proprio come rischiano i Guerrieri. Che affrontano questo Omerico ritorno a casa a tappe, affrontando ogni volta nuovi avversari, il coro Greco che dà il ritmo a quella che per loro potrà essere un impresa di redenzione, oppure una tragica morte, è la DJ della notte Dolly Bomber che parla per codici che solo chi è cresciuto in strada può capire ed essendo solo una voce alla radio, Hill di lei inquadra giusto la bocca mentre fa girare sul piatto dischi per tenere informate le altre gang sugli spostamenti dei Guerrieri, tipo “Nowhere To Run” di Arnold McCuller che più che una dedica amorosa è una minaccia di morte.
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Sarà anche una voce sexy alla radio, ma per i Guerrieri porta solo guai. |
Ogni tappa dell’Odissea dei Guerrieri li porta ad affrontare una nuova gang, come gli Orfani che, essendo guidati da un sosia di Renzo “Il Trota” Bossi, sono tra i più sfigati e si beccano come epitaffio la clamorosa: «A noi questi Orfani di merda ci fanno le seghe». Vi ho già detto che nessuno s’insulta come in un film di Walter Hill, vero?
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Gli Orfani non verranno mai presi sul serio finchè saranno guidati dal “Trota”. |
Tra i più caratteristici, non possono passare inosservati i mitici Baseball Furies che uniscono la passione di Walter Hill per il Baseball, ad un trucco degno dei Kiss. Muti, silenti, come Indiani in un film Western, penso che siano il gruppo che con il suo aspetto ha incendiato di più l’immaginario del pubblico, se questo film è un Cult, un po’ lo dobbiamo anche a loro, ma per me il vero motivo per cui i Baseball Furies si meritano un posto nella cultura popolare, è per aver dato l’assist ad una delle “frasi maschie” più leggendarie di tutto il film. Se mai qualcuno dovesse sventolarvi una mazza da Baseball davanti alla faccia, voi mantenete il sangue freddo e la faccia da schiaffi di Ajax e ditegli: «I’ll shove that bat up your ass and turn you into a popsicle!». L’idea di qualcuno trasformato in un ghiacciolo è geniale, ma l’adattamento italiano è talmente riuscito che quasi risveglia il patriottismo, o magari anche no, ma chissenefrega, resta un capolavoro: «Ti infilo quel bastone nel culo e ti sventolo come una bandiera»
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Se alle parole farà seguire i fatti, avrai ben poco da ridere caro il mio pagliaccetto. |
Ma tra le gang che mettono seriamente in difficoltà i nostri Guerrieri, non possiamo non citare le Lizzies, delle vere e proprie sirene, che con mezzi del tutto femminili, attirano gli arrapati protagonisti nella loro trappola. A ben guardare, si potrebbe accusare il film di non essere proprio gentile con l’altra metà del cielo, la DJ Dolly Bomber che scandisce l’agonia dei protagonisti è una donna, così come la poliziotta in borghese che incastra Ajax, per altro, interpretata da una giovane Mercedes Ruehl.
Questo diventa abbastanza chiaro con il personaggio di Mercy (Deborah Van Valkenburgh), una che si accolla ai Guerrieri anche se Swan non la caga di striscio, anzi, continua per tutto il tempo a dirle cose dolci tipo «Ti ci va un treno pieno di cazzi», un vero romanticone, insomma. Eppure, non sarei così critico, perché alla fine il personaggio di Mercy dimostra di essere tosta come i protagonisti, provateci voi ad essere rifiutati e sentirsi dire per tutto il tempo cosette tipo «Tu fai solo parte di quello che mi è capitato stanotte, ed è tutto merda», poi ne riparliamo.
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Se corri per restare in vita, non hai tanto tempo per il romanticismo. |
Attraverso Mercy, Walter Hill trova il modo di inserire nel suo perfetto fumettone d’azione di 90 minuti spaccati, anche un’altra sfaccettatura ai suoi personaggi che, alla fine, sono ragazzi giovani che ambiscono a qualcosa di più, esaurito il fuoco di paglia del sogno di Cyrus, sulla loro condizione di figli della strada ci riflettono anche. La scena in cui sulla metro, salgono alcuni ragazzotti bene, di ritorno da qualche festa scolastica che appena li vedono, sporchi, sanguinanti e con i loro gilet di guerra addosso, scendono anche se non sono ancora arrivati alla loro fermata, è molto significativa, uno specchio deformante in cui Swan e Mercy possono vedere loro stessi, se le cose nella loro vita fossero andate diversamente.
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Dimmi il quartiere in cui nasci, ti dirò chi sei. |
Una riflessione che Hill fa durare un minuto, tutta raccontata per immagini, prima di far fare finalmente capolino al sole nel suo film, in cui Swan con il suo modo da duro fa quasi un gesto romantico regalando i fiori alla ragazza («Io mi incazzo a vedere le cose sprecate» lo dice parlando del mazzo di fiori, ma é chiaro che stia parlando della ragazza) e poi riassume con un’altra delle tante frasi mitiche che popolano il film: «Guarda che posto di merda! E abbiamo combattuto tutta la notte per ritornarci», per un attimo i ragazzi hanno avuto uno scorcio di un’altra vita possibile, ma se tua madre è la strada, dovrai combattere tutta la vita per quel poco che hai.
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E Senofonte… MUTO! |
Il percorso di formazione dei Guerrieri è un ritorno a casa che li vede più forti e più orgogliosi («I guerrieri non uccidono. Sono leali», «I migliori»), hanno già giocato a fare la guerra tutta la notte, infatti la frase con cui Luther li sfotte (improvvisata sul set da David Patrick Kelly) non poteva essere più adatta, perché i figli della strada sono proprio questo: guerrieri che giocano a fare la guerra, perché è l’unico gioco che conoscono.
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Al lavoro lo faccio sempre con il portamatite, solo che dico «Ingegneriiiiii» (storia vera). |
“I guerrieri della notte” da quarant’anni è un classico del cinema che ha influenzato oltre a due o tre generazioni di spettatori, anche una selva di film che si sono messi in scia al successo di questo capolavoro firmato da Walter Hill, pensate anche a titoli nostrani come “1990 – I guerrieri del Bronx” (1982). Pochi registi sono stati capaci di mescolare elementi sociali, Senofonte, un look da fumetto e scene d’azione coreografate da Craig R. Baxley, in novanta minuti di cinema allo stato puro, perché il filtro del cinema lo devi avere dentro la testa, altrimenti un capolavoro non puoi nemmeno immaginarlo e questo film è una pietra miliare da quarant’anni, alla faccia del filtro oserei dire!
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La Bara Volante, l’unico blog dove a commentare il film, sono gli stessi protagonisti del film! |
Per oggi è tutto super muscoli. La caccia ai Guerrieri è finita ma la prossima settimana avremmo a che fare con guerrieri d’altra natura, dalle ombre molto lunghe, intanto beccatevi la locandina italiana di The Wariors dalle pagine di IPMP.