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I Magnifici 7 (2016): Denzel e los seis mariachi

Tra questo film e il remake di “Ben-Hur” (prossimamente su questi schermi), sono giunto ad una conclusione: se vivessi nel 1960 avrei visto almeno un paio di filmoni di recente. Sfiga! Vivo nel 2016. “Remake”, parola che nelle sua pancia ha proprio il concetto chiave: rifare. Non odio i remake per partito preso, è il come rifai le cose che ne determina il successo, in fondo, anche John Sturges decise nel 1960 di rifare “I sette samurai” di Akira Kurosawa e il risultato non era affatto malaccio, no?

Il soggetto di Kurosawa è un archetipo talmente fondamentale, che ogni tanto torna a presentarsi (tipo i “13 assassini” di Takashi Miike), a volte anche fuori dal suo genere, in un certo senso le moderne squadre di super eroi a loro modo devono qualcosa a questa idea. Quindi, ho trovato interessante l’idea di un nuovo “I Magnifici sette”, è un tipo di storia che ciclicamente torna sempre, sarebbe stato carino avere una versione nostra di questa storia, i magnifici sette della nostra generazione, ma anche questa volta il “Come” determina il mio rimpianto per l’anno scritto sul calendario.

«Ci sono quattro americani, un indiano, un cinese e un messicano ch…» , «La conosco già. Non fa ridere»

1979, la cittadina di Rose Creek è minacciata dal cattivone locale, il ricchissimo e spietato Bartholomew Bogue (Peter Sarsgaard), pronto a compare la terra a prezzi stracciati dai contadini, per mettersi alla ricerca dell’oro. Dopo l’ennesimo sopruso, la vedova Emma Cullen (Haley Bennett vista in Kristy e Hardcore!), parte alla ricerca di pistoleri in grado di tener testa al malvagio, non trova Yul Brynner, ma un altro pistolero vestito di nero, anzi nero e basta, Sam Chisolm (Denzel Washington), il resto della trama mi rifiuto di riassumerlo.

Questa volta a rifare è il regista Antoine Fuqua, uno che ha sempre dei film buoni sì, ma non buonissimi, in generale quando di affida a Denzel Washington, vengono fuori cose piuttosto buone (“The Equalizer” 2014) o anche molto buone (“Training Day” 2001), per il resto del tempo, alti e bassi, con punte di bassissimo (Southpaw – L’ultima sfida). Nel cast di questo “I Magnifici sette”, pardon, “I Magnifici 7” troviamo anche Ethan Hawke, giusto per completare la rimpatriata dei principali artefici di “Training Day”.

«Vuoi andare a casa o vuoi andare in prigione?» (Cit.)

Il nostro amico Antoine, ha giurato e spergiurato di essere un grande estimatore del genere Western, e guardando il film è chiaro che ha fatto i compiti a casa, ma è l’altra sinistra tendenza di Fuqua che mi preoccupa, ovvero il fatto che scelga quasi sempre sceneggiature ben poco scintillanti e purtroppo anche questa volta è successo il patatrac.

Chi troviamo alla voce “Sceneggiatura”? Nic Pizzolatto che non è un omonimo, dubito che ce ne siano due al mondo con quel nome, è proprio lo sceneggiatore di True Detective e se due indizi tendono a fare una prova, lo dite voi o lo dico io? Lo dico io: il miracolo della prima stagione di quella serie rischia di restare figlio unico.

La sceneggiatura di Pizzolato girava ad Hollywood da parecchio, pare che Tom Cruise fosse interessato al ruolo di protagonista, per cercare di metterci una pezza hanno chiamato Richard Wenk, ma il risultato finale ha comunque più buchi di un colabrodo.

«Ci sono così tanti buchi che riesco a vederli anche con un occhio solo»

Io poi sarò di parte, perché considero il genere Western come il Rock ‘n Roll del cinema, per me è IL genere, ogni filmaker americano deve farci i conti e, malgrado quello che può dichiarare Antoine Fuqua sulla sua volontà di dirigere un Western classico, qui è scaduto un po’ troppo spesso nel didascalico, non bastano primi piani come se piovesse a fare Sergio Leone e, in alcuni passaggi, sembra proprio che a Fuqua manchino i riferimenti giusti per realizzare un Western, lo scontro finale tra i sette e l’esercito di Bogue, è ben diretto e sicuramente godibile, ma per tipo e quantità degli stacchi, o anche solo per numero di esplosioni (e per come sono mostrate) non ha davvero nulla del film Western, sembra una qualunque scena di battaglia da film d’azione, in cui i protagonisti hanno dei cappelli a tesa larga.

Ah! Prima di dimenticarmi, ci tengo a sottolineare un dettaglio: non ho guardato il film di Antoine Fuqua con la voglia di demolirlo, avendo in testa Kurosawa o Sturges, la mia speranza era quella di vedere un Western che raccontasse questo archetipo narrativo in un modo coerente ed efficace, quello che mi sono trovato davanti è un film con svariati difetti.

«Sono così cattivo che sparo anche ai lettori della Bara Volante»

Iniziamo dal cattivo. Il Bartholomew Bogue di Peter Sarsgaard non ha alcuna sfumatura di grigio, non ha un suo distorto senso di responsabilità come quello interpretato da Eli Wallach, è proprio il classico malvagio a cui manca solo la risata satanica “BUAHAHAH”, cattivo per il gusto di esserlo, uccide persone solo perché può farlo, il suo compito è quello di farsi odiare e Peter Sarsgaard ci riesce benissimo, anche scadendo varie volte in una recitazione eccessiva, quasi macchiettistica.

Una storia come questa è molto scandita, una volta chiarita la minaccia, bisogna presentare il buono, l’entrata in scena di Denzel non è affatto male, ma soprattutto grazie al carisma dell’attore, anche perché Fuqua dirige con un sacco di stacchi, sembra di guardare il classico momento “Eroe sventa una rapina nel supermakert”, quando dico che il buon Antonino sembra un regista di film d’azione, finito per caso a dirigere un Western.

«Disarmato io? Se vuoi sentire uno sparo, tirami il dito»

Quando arriva il momento di assoldare gli altri sei magnifici, per colpa della sceneggiatura il film si trasforma della saga del FACCIAPALMO, volano più schiaffoni in faccia qui, che in un film di Bud Spender e Terence Hill, infilatevi la maschera da Hockey che cominciamo!

Il primo ad entrare a far parte del gruppo è Chris Pratt, il cui personaggio è scritto e pensato per essere il sostituto di Steve McQueen, quindi gli tocca anche l’inquadratura dove fa “Sette” con le dita delle mani (e vabbè) per omaggiare la celebre conta del biondo predecessore. Io capisco che Pratt si sia guadagnato il ruolo di belloccio simpaticone con faccia da schiaffi, grazie ai suoi ruoli in Jurassic World, ma soprattutto quello di Starlord in Guardiani della Galassia, però porco mondo, una battuta che almeno faccia sorridere, non dico ridere, una! Una che sia una volete fargliela pronunciare? Se poi aggiungiamo il fatto che in certi momenti Chris Pratt lancia degli sguardi che sembrano la parodia di un film Western, più che Steve McQueen sembra Gringo, quello dei caroselli sulla carne Montana.

«Cito McQueen e conto fino a sette, ma più che altro sembriamo macchiette» (Gringo! Gringo!)

Il fatto che decida di seguire Denzel Washington in una missione suicida è un capolavoro di pessima scrittura, ma tranquilli, c’è almeno un personaggio con cui Pizzolato è riuscito a fare di peggio!

Ethan Hawke ha un personaggio molto interessante, ma dal minutaggio troppo ridotto, perché oggi, anno del signore 2016, Pratt è più famoso di lui, quindi si becca più battute, peccato perché il suo cecchino Sudista con remore morali mi sembra davvero l’unico del gruppo, con quel minimo di tormento da renderlo un personaggio adatto a questo tipo di storia.

Ethan Hawke occhio di falco, avete capito? Falco, Hawke, vabbè lasciamo perdere.

Inoltre, siccome bisogna procedere con l’avanti veloce, Ethan Hawke fa parte di un prendi “due paghi uno” che prevede anche Lee Byung-hun, protagonista dell’equivalente del duello con il coltello, che vedeva protagonista James Coburn nel film del 1960. Quindi ricapitoliamo: in origine un Samurai Giapponese, poi Britt, pistolero americano con i dentoni di Coburn ed ora Lee Byung-hun, modello e attore della Corea del Sud, un tempo attore feticcio di Kim Ji-Woon, ora generico orientale al soldo degli americani. Insomma, siamo partiti dall’Oriente e ci siamo tornati dopo aver fatto tutto il giro dell’oca, questa cosa che Hollywood faccia di tutto per ingraziarsi il mercato orientale ormai è scappata di mano, che poi i nostri amici con gli occhi a mandorla, non sono sempre stati attratti dalle nostre robe da occidentali? Sarebbe come dire che per convincermi a guardare un film Coreano, sia necessario infilare nel cast Pierfrancesco Favino, ma tranquilli, l’anacronistico mix di etnie di questo film non ha ancora dato il suo meglio (consideratevi avvisati).

Come si dice ho un senso di Dejavù, in Coreano?
Il personaggio del “Texicano” Vasquez (Manuel Garcia-Rulfo) non è nemmeno male, l’unico che sembra davvero un rinnegato senza nulla da perdere, peccato che poi faccia da tappezzeria per quasi tutto il film.
«Fai una posa stilosa, tipo una Magnum in versione Western, bravo fermo così!»

Siccome grazie alla sua grande prova nella serie tv Daredevil, nei panni di Wilson Fisk, il mondo ha riscoperto il talento di Vincent D’Onofrio, perché non prendere lui per fargli interpretare un personaggio idiota? Di fatto, D’Onofrio si trova nei panni di un cacciatore di orsi, che parla con una vocetta un po’ infantile, quasi sempre rivolgendosi all’Onnipotente, grande grosso quanto volete e con l’ingrato compito di fare da spalla comica e, anche per lui, le motivazioni che gli fanno accettare la missione, sono vaghe e lacunose. Vuoi unirti a noi? Se ne va, salvo poi spuntare come parte del gruppo, a quanti FACCIAPALMO siamo arrivati?

Vincent, nella sua migliore interpretazione del cacciatore di John Huston.

Ma il capolavoro è sicuramente l’Indiano (Martin Sensmeier), l’Indiano? Cosa c’entrano gli Indiani con i Magnifici Sette? Apparentemente nulla, vuoi vedere che abbiamo davvero l’unica novità del film? Ok, il nostro cacciatore si presenta come Red Harvest e dice di essere un Comanche destinato dalla sua tribù a qualcosa di più grande (questa è la sua motivazione, Pizzolato sei un grande!). Ora fin da bambino ho avuto un’insana passione per tutto quello che fa Western, Indiani compresi, quindi quando si parla di tribù divento più rompi coglioni del solito, se voi mi fate vedere un comanche con la cresta, già mi sale il sangue alle testa, ma poi nemmeno una cresta da Irochese no, una cresta tipo Genny Savastano di Gomorra, però truccato come una Drag Queen, una roba talmente assurda, che l’unico con la faccia più rossa del nostro amico Red Harvest ero io, a furia di percuotermi il viso a colpi di FACCIAPALMO.

Persino il cavallo è visibilmente imbarazzato.

Perché uno così dovrebbe unire ad un gruppo di bianchi, pronti a combattere altri bianchi? Non si sa, ma il nostro Indiano fa un rito di fratellanza con Sam Chisolm, dichiarandosi pronto a morire per lui, dopo un minuto che lo conosce. Come si dice FACCIAPALMO in lingua Comanche? Aspettate lo so, si dice Pizzolato.

La cosa divertente è che se #TeamBuoni ha un Indiano con arco e frecce che (finge di) non capisce la lingua, anche #TeamCattivi ne ha uno, a sua volta pitturato come le comparse nei Western degli anni ’50, quelle dove tutti i Pellirossa erano brutti, sporchi e cattivi, insomma l’unica vera novità della storia, è uno stereotipo raziale. Auch! Io essere grande capo Facciapalmo!

Capo Geronimo è sceso sul sentiero di guerra per molto meno.

Risultato: abbiamo sette “Magnifici” quasi completamente privi di motivazione, la sottotrama a “Sorpresa” che vede protagonista Sam Chisolm, sembra giusto un modo per allungare il brodo e dare l’occasione a Denzel di recitare un momento drammatico che mi è sembrato fin troppo tirato per i capelli. La grande battaglia, tra frecce, esplosioni e revolverate, non è girata nemmeno male, anche se, come detto, più che gli stilemi del Western, Antoine Fuqua si appella a quelli del cinema d’azione.

Solo che se da spettatore non provo nessuna empatia o coinvolgimento con i personaggi sullo schermo, come faccio a tirar per loro? Essendo privi di motivazioni tutta l’operazione “I Magnifci 7” manca completamente dell’epica e della tragedia che un archetipo narrativo come questo richiede, il risultato è un simpatico giocare a fare i Cowboy, che può essere simpatico quanto vuoi, ma risulta anche abbastanza anonimo.

La camminata in parata, un classico dei film di John Sturges Michael Bay.

Il riassunto delle poche idee (ma confuse) di Antoine Fuqua sta nel finale, per discostarsi dalla versione di John Sturges, manca completamente il monologo sui pistoleri che perdono sempre, però per non far torto a nessuno, Fuqua piazza l’inquadratura su (devo dire SPOILER?) quattro croci piantate nel terreno per cercare di ricordare il finale del film di Kurosawa, un colpo al cerchio e uno alla botte che già funziona così così, ma diventa tedioso se poi ci aggiungi anche la voce fuori campo di Haley Bennett che dice una roba tipo “Sono stati magnifici”. Questo è il vostro modo per giustificare la magnificenza? La vocina che spiega il titolo del film? Era dai tempi di quella porcheria di “Io sono leggenda” con Will Smith che non vedevo una soluzione così pezzente.

Per concludere, anche le musiche rispecchiano questa versione senza epica e senza trasporto del film, James Horner, che è solo uno dei più grandi compositori per il cinema di sempre (ed uno dei miei preferiti, se ci tenete a saperlo), purtroppo ha lasciato questa valle di lacrime, senza poterci regalare quest’ultima gioia, Simon Franglen salito a bordo in corsa, completa l’opera, purtroppo è impossibile assegnare la paternità di questa anonima colonna sonora.

Alcuni di questi cavalli sono più magnifici dei loro cavalieri.

Speravo di trovarmi di fronte a dei nuovi Magnifici Sette, quelli pronti per una nuova generazione, ma il risultato ha davvero poco di magnifici, il 1960 piazza il primo sonoro schiaffone in faccia al già bistrattato 2016, per il secondo vi tocca aspettare “Ben-Hur”. La cosa che mi rompe, è che ero già pronto a citare un certo pezzo dei Clash, mannaggia a te Antoine Fuqua, anzi, Fuckqua!

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