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I Mitchell contro le macchine (2021): qui Tom Morello si ferma e cominciano i Mitchell

Un giorno riuscirò a capire perché tutto quello su cui Phil Lord e Christopher Miller (qui in veste di produttori) mettono le mani, si trasforma in oro. Siamo davanti a due autori che non solo riescono a mantenere il loro stile sempre estremamente riconoscibile, ma che hanno la capacità di muoversi in produzioni “commerciali” senza apparentemente farsi stritolare da beh, la macchina.Sapevo che erano al lavoro su un film intitolato “Superconnessi”, me li sono ritrovati sul paginone di Netflix dopo il consueto cambio di titolo che è un’abitudine della casa della grande “N” rossa. “I Mitchell contro le macchine” cambia completamente il titolo ma non il senso della trama, l’esordio alla regia di Mike Rianda e Jeff Rowe (anche autori della sceneggiatura), potrebbe tranquillamente essere uno dei migliori film d’animazione del 2021 e più in generale, un ottimo modo per passare 113 minuti. Personalmente ho riso dall’inizio alla fine per le mille mila trovate sparse nel film, godendomi questo spettacolo visivo, una vera gioia per gli occhi.

Hanno dovuto cambiare il titolo perché il carlino ci aveva sbavato sopra.

La storia ruota attorno a Katie (doppiata da Abbi Jacobson) e ai suoi parenti, i Mitchell del titolo, che come ogni famiglia che si rispetti è stramba, animata da dinamiche interne ormai radicate e più disfunzionale del resto degli abitanti del vicinato. Katie sogna di spiccare il volo, la sua passione per il cinema e i cortometraggi casalinghi (molto in stile “Be Kind Rewind” del 2008, bisogna dirlo) le ha aperto le vie dell’università cinematografica laggiù in California, moooooolto lontano dallo scombinato padre, Rick Mitchell (Danny McBride) così uguale a lei da essere completamente diverso, di fatto una sorta di luddista con la fissa per il fai da te e l’odio per quei cosi con cui la sua famiglia spimpola tutto il giorno. Dannati smartphone!

Il piacere di una chiacchierata a cena in famiglia, nell’anno di grazia 2021.

Il viaggio sulla vecchia e scassata giardinetta di famiglia (con cambio manuale) diventa l’occasione per raggiungere la California passando del tempo insieme per l’ultima volta, che potrebbe davvero essere l’ultima visto che per il sollievo di Katie, ci pensa l’apocalisse delle macchine ad interrompere la convivenza forzata, che come tutti i viaggi (dell’eroe) in famiglia al cinema, incomincerà in salita tra inevitabili differenze personali.

Voi prendete il viaggio di una famiglia disfunzionale lungo le strade d’America in stile “Little Miss Sunshine” (2006), mescolatelo con le macchine ribelli di Terminator e sarete sulla buona strada per farvi un’idea del tono di “I Mitchell contro le macchine”, un film che beneficia delle tecniche di animazione che hanno reso Spider-Man – Un nuovo universo quel classico istantaneo che è fin dalla sua uscita e che guarda caso, era anche lui frutto della cura Lord e Miller. Qui gli indizi cominciano ad essere parecchi.

Un viaggio in famiglia, non potrà mica essere la fine del mondo, no?

Idealmente è come se genitori (l’animazione tradizionale in 2D) e figli (quella più moderna in 3D) in “The Mitchells vs the Machines” trovassero il modo di convivere proprio con i protagonisti del film: all’inizio sembra tutto un gran casino controllato, poi nel corso dei minuti non si può più fare a meno di quell’animazione mista che prende il meglio dei due mondi. Un utilizzo quasi metacinematografico che forse sarebbe piaciuto alla stessa Katie, che con il suo piano di attacco ai Robot dell’azienda PAL, disegnato sul suo quaderno degli appunti, di fatto anticipa (utilizzando dei veri e propri storyboard) il finale del film. Una delle mille trovate brillanti di un film che fila via ad un ritmo indiavolato ed impeccabile per 113 minuti e che appena terminato, avresti voglia di ricominciare a vedere anche solo per andare a cercare i tanti riferimenti e le piccole trovate sparse lungo la trama.

Anche Ray Harryhausen ha cominciato così, non mollare ragazza!

Si perché la cura dei dettagli di “The Mitchells vs the Machines” è quella che solo l’animazione ti può garantire, quando devi disegnare ogni singolo fotogramma puoi divertirti a curare tutti i dinosauri del piccolo Aaron Mitchell (Mike Rianda), oppure le disastrose foto di famiglia messe insieme da mamma Linda Mitchell (Maya Rudolph).

“I Mitchell contro le macchine” ha l’ardire di fare come Larry “Legend” Bird alla gara del tiro da tre punti della NBA: entrare nel campo da gioco della Pixar, guardare in faccia tutti i presenti e affermare «Vediamo chi arriva secondo oggi». La famiglia è il tema che gli americani ci propinano in tutte le salse da cinquant’anni o forse più, il viaggio come metafora di cresciuta dei protagonisti poi, resta davvero la specialità di casa Pixar. Mike Rianda e Jeff Rowe con il loro film sono riusciti a tratteggiare personaggi così credibili in cui è davvero facile riconoscersi, per cui le dinamiche familiari e l’inevitabile ricongiungimento, passerà attraverso molti momenti emotivi davvero riusciti ed altri d’azione, in cui collaborare sfruttando le migliori capacità di chi ti sta accanto diventa l’unico modo per uscire dai guai.

Ragazzini in fissa con i dinosauri. Certe cose non cambiano proprio mai.

Le tematiche di fondo sono sempre le stesse, sappiamo già che i Mitchell ne usciranno come una famiglia e delle persone migliori, non vi lamentate non è SPOILER! Tutti i film di questo tipo raccontano sempre la stessa storia. Ma come si dice in questi casi, quello che conta è il viaggio, il modo in cui questa trama viene raccontata, quello si risulta assolutamente brillante.

Bisogna dire che l’elemento fantastico che diventa la sfida per la famiglia Mitchell, risulta essere un metaforone sull’ansia moderna di costante connessione e dipendenza da smartphone e tecnologia varia. Anche qui, di certo niente di nuovo sotto il sole perché a ben guardare, la minaccia arriva da un’azienda che ricorda fin troppo il cattivone (doppiato da Elio di Elio e le storie tese) di “Piovono Polpette 2” (2013), una parodia di Steve Jobs votato al male in un film che non risultava riuscito come il suo predecessore, di cui evidentemente nemmeno Lord e Miller erano troppo soddisfatti, visto che con “The Mitchells vs the Machines” hanno potuto tornare sul luogo del delitto questa volta, con un avversario ben più riuscito.

Non ci sarà bisogna di fare la fila per il nuovo i-Telefono, saranno loro a venire a prendere voi.

Il miliardario a capo della multinazionale ipertecnologica, chiamato di nome Mark (nome scelto assolutamente a caso, seeeee certo) è l’inetto responsabile della ribellione delle macchine in tutto il mondo. Non perdetevi la prova vocale della bravissima Olivia Colman nei panni dello smartphone votato al male PAL, la sua crisi isterica è uno dei cento momenti tutti da ridere del film.

Inutile girarci troppo attorno poi, se i film moderni devono sopravvivere anche grazie alla vendita di pupazzi e materiale ispirato alla pellicola, il cane dei Mitchell è già Leggenda. L’altro giorno per strada ho visto un carlino e ho cominciato a fare «Cane, maiale, pane in cassetta!» (storia vera). Anche perché nel giro di un paio di giorni dopo aver visto il film, “The Mitchells vs the Machines” mi ha già regalato sei o sette tormentoni esilaranti, mi sono dovuto tenere la pancia a causa dalle troppe risate per la scena di Rick che cerca di mandare sui maxi schermi un video di YouTube, ma gli esempi sarebbero davvero tanti, in 113 minuti dovete solo scegliere il vostro momento preferito tra i tanti disponibili, ma per quello ci leggiamo nella sezione commenti.

Ha un occhio che gioca a biliardo e l’altro che segna i punti e punta ad insidiare il regno di Baby Yoda.

Al momento sono indeciso tra l’abilità di prendere una vistosa marchetta, trasformandola in un Kaiju di ragguardevole potenza, oppure la signora Mitchell, che mossa dall’istinto materno come Ellen Ripley, entra in modalità berserker trasformandosi in una super guerriera cazzutissima, sul serio sono in crisi, non saprei davvero quale scegliere.

Quando il prodotto da piazzare è così grosso, che quasi non sta dentro il film.

Quando un film riesce a rielaborare così bene una trama già raccontata un milione di volte, in fondo ha già vinto, quando riesce a farlo generando momenti comici incredibili, mandando a segno scene emotive ben fatte e non ruffiane e quando, nell’impeto generale, riesce anche a giocarsi il secondo (se la memoria non mi tradisce, il primato spetta ancora a “Paranorman” del 2012, anche se in quel caso si trattava di un comprimario) personaggio omosessuale in un film d’animazione americano, senza che questa sia l’unica sua caratterizzazione, ma soltanto un dettaglio aggiuntivo (perché così dovrebbe essere sempre anche nelle realtà), infilato in un film così estremamente curato e strapieno di dettagli, beh per quello che mi riguarda un titolo che riesce a fare tutto questo ha davvero vinto tutto. Al momento per qualunque altro film d’animazione che uscirà da qui fino alla fine dell’anno, per il primato nella categoria, quelli da battere sono i Mitchell.

Tutto così, per 113 minuti. Brutto? Vi assicuro di no.

Detto questo, se avete già visto il film sono sicuro condividerete il mio entusiasmo, a tutti gli altri invece dico buon viaggio e non dimenticate di portare con voi il vostro cacciavite.

Sepolto in precedenza sabato 8 maggio 2021

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