Trovo che non ci sia niente di meglio quando qualcosa di
programmato sulla lunga distanza, dimostra di funzionare come se tutto fosse
stato pensato e pianificato fin dall’inizio, come se le svolte e i cambiamenti
in corsa fossero tutte parti di un grande disegno, inoltre ve lo avevo detto in
tempi non sospetti, George A. Romero (la “A” sta per amore) sarebbe tornato,
perché su questa Bara sarà sempre uno dei prediletti.
La notte dei morti viventi è stata una rivoluzione, un modo di reinventare l’acciaio che ha
trasformato la tradizione dello zombie di Haiti, in una metafora semovente dei
nostri (brutti) tempi moderni, un monito tornato in vita per inchiodare i vivi
alle loro responsabilità. Se George “Amore” Romero é riuscito a fare questo é stato per via del suo manifesto amore per i suoi “Blu-Collar Monster”, i suoi mostri
operai, per cui non ha mai nascosto di patteggiare apertamente nei suoi film,
perché come ha dichiarato lo stesso Romero nel numero 3 di “Film Comment”:
«Lugosi ha sempre vissuto in un castello mentre gli zombi andavano fuori a
raccogliere lo zucchero di canna».
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Quanto mi manca zio George, voi non avete idea. |
Eppure per tutta la sua carriera, Romero ha dovuto
combattere per portare i suoi mostri operai e le sue storie al cinema, un
autore che nel tempo libero non guardava quasi mai film Horror, era diventato
non solo il papà degli zombie, ma uno dei massimi rappresentati di un genere
che può essere sovversivo come solo Romero nei suoi momenti migliori sapeva
essere. Ma ogni volta che Romero ha firmato film più personali, il pubblico
continuava ad invocare un altro “… Of the Dead” diretto da lui, ma in compenso
Hollywood non gli ha mai steso i tappeti rossi.
I progetti che Romero non è riuscito a trasformare in
film per mancanza di fondi in carriera sono stati anche troppi, nessuno come lui ha creato così tanta iconografia e
raccolto così poco in termini di prestigio e perché no, anche soldi, come
avrebbe meritato. Non dimenticherò mai il fatto che il giorno in cui Romero ci
ha lasciati, non un solo canale televisivo Italiano ha mandato in onda uno dei
suoi film per ricordarlo, non uno, un’onta che ancora brucia.
Per questo Romero nel corso della sua carriera ha tentato
altre strade, come ad esempio quella dei fumetti, per
provare a raccontare le sue storie, libero dai vincoli di budget imposti,
sappiamo tutti che in testa aveva un secondo e più grande Land che purtroppo non vedremo mai, oppure che Day è riuscito a diventare una pietra miliare lo stesso, ma avrebbe
dovuto essere un film con ambizioni ben più ampie e più di un morto vivente
intelligente, non il solo Bub.
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La notte in cui tutto è cominciato. |
Con il suo romanzo “I morti viventi”, George A. Romero ha
cercato di tirare le fila, utilizzando le parole per produrre quell’opera
definitiva sui suoi amati mostri operai, quella che il mondo del cinema non gli ha mai permesso di sfornare. Un romanzo che ha avuto una gestazione lunga e
travagliata, nato originariamente come libro ad episodi, con un nuovo capitolo
disponibile sull’allpra neonato (e presto defunto) sito personale di Romero, quando il
regista di Pittsburgh aveva intravisto nella rete, quella nuova frontiera della
libertà creativa che un vecchio figlio dei fiori come lui ha sempre cercato.
Per certi versi un’altra illusione di libertà come la città fortezza di Land oppure il bunker di Day.
Nella sua primissima incarnazione questo romanzo si
intitolava “Dead of the Dead”, che poi era il sottotitolo del suo non
propriamente esaltante, ma divertente fumetto pubblicato per la DC Comics, ovvero “Toe Tag”. Purtroppo sappiamo come è andata la storia, Romero questo libro purtroppo non è mai
riuscito a completarlo, quindi con un’ironia che ad uno come zio George credo
non sarebbe sfuggita, la storia è stata beh, riportata in vita da uno che come
noi, Romero lo ha ammirato per tutta la sua carriera. Daniel Kraus è un
“romeriano” di ferro che in carriera ha lavorato spesso con Guillermo del Toro,
anche alla novelization del suo La forma dell’acqua e che qui, ha fatto davvero un lavoro enorme.
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Daniel Kraus con una copia di “Trollhunters”, scritto insieme a Guillermo del Toro nel 2015. |
Daniel Kraus ha ripreso le pagine scritte di pugno da Romero
per “I morti viventi” (circa un terzo del lungo libro più un’infinità di
appunti), ha ripescato gli unici tre capitoli esistenti di “Dead of the Dead” e
soprattutto, si è riguardato tutti i film andando a delineare una direzione
all’evoluzione degli zombie Romeriani, secondo Kraus, indipendentemente dalla
data di uscita, i primi film della saga dei morti viventi di Romero sono La notte dei morti viventi seguito a
ruota dalle cronache, mentre La Terra dei morti viventi e Il giorno degli zombi sono i capitoli
conclusivi. Avendo in testa questa direzione, Kraus ha completato brillantemente
quella che per Romero avrebbe potuto essere la parola definitiva sui suoi amati
mostri.
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Kraus uno di noi. |
Il libro infatti ci riporta alla prima resurrezione, un
“John Doe” (un cadavere non identificato) che torna in vita è nuovamente il
momento esatto in cui tutte le regole del vivere civile crollano, perché quando
anche i morti non restano più tali, niente nell’ordine naturale può restare come prima. Da qui parte una lunga epopea di personaggi che per certi versi ricorda
un po’ L’ombra dello scorpione
dell’amico Stephen King (che Romero a lungo ha desiderato portare al cinema, storia vera),
con archivisti, soldatesse imbarcate su una porta aerei americana e
personaggi variopinti sparsi in giro per il globo, punti di vista disparati
sulla fine dell’umanità, l’ultimo vagito del mondo come lo conosciamo, pronto
ad essere divorato dai morti viventi.
In un’opera del genere diventa difficile riconoscere
quale singola frase sia stata scritta di pugno da zio George, ma è innegabile
che il lavoro sia Romeriano al 100%, ci sono continue (e non urticanti)
strizzate d’occhio alla vita e alle opere di Romero, ad esempio la citazione al
film “Un uomo tranquillo” (1952) di John Ford ha quasi minato la mia posa da
duro durissimo che il mio personaggio mi impone, consapevole del fatto che
ascoltare la colonna sonora di quel film è stata l’ultima richiesta di Romero, prima di lasciare questa valle di lacrime.
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George avrebbe apprezzato. |
Leggere “I morti viventi” durante una pandemia globale
poi, diventa l’ennesima conferma del genio di Romero, un’altra prova del fatto che
nessuno come lui, con il suo disilluso cinismo, era in grado di anticipare il
presente, proprio perché aveva capito così bene la natura umana. La
pianificazione a lungo termine di Romero, che traspare anche in questo romanzo diventa quasi un manifesto programmatico, in cui ogni elemento trova il suo posto.
Ad esempio la trovata, che molti puristi sicuramente
avrebbero trovato discutibile, quella degli animali zombie, un tema che Romero aveva
trattato solo nel fumetto “Toe Tag”, qui viene ampliata e diventa una prova a
supporto della tesi Romeriana per cui gli zombie per il regista di Pittsburgh, non sono mai stati il vero male, se di pandemia si tratta, quel virus può
essere solo la razza umana, incapace di vivere in modo armonico con il resto
delle forme di vita del pianeta. Gli zombie per Romero non sono la pestilenza,
al massimo sono il vaccino arrivato per risolvere il vero problema.
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Il fumetto scritto da Romero per la Distinta Concorrenza. |
In seicento e qualcosa pagine Romero ribadisce la sua
appartenenza, con gesto di estrema coerenza questo libro sottolinea la parabola
di crescita dei “Blue Collar Monster” Romeriani, offrendo ancora una volta
elementi che potrebbero quasi essere considerati prove schiaccianti, solo un
grande autore come Romero poteva portarci tutti a rinnegare l’umanità e le sue
colpe, facendoci quasi sperare in un mondo di morti viventi.
Sono sicuro che una Leggenda come George A. Romero
troverà ancora il modo di tornare in qualche modo, magari anche su questa Bara
che nemmeno esisterebbe senza la grandezza del suo lascito, anche perché il
mondo e l’umana razza continuano a fornirci prove del fatto che la tesi
Romeriana era più che condivisibile, ma mentre aspettiamo altre prove e il
ritorno di zio George, questo libro è un ottimo modo per ricordare uno dei più
grandi, un genio che non è stato celebrato in vita abbastanza, forse perché sapeva
“tenerci spaventati” come amava scrivere accanto sui suoi autografi («Stay
scared») e perché parlava di quello che non volevamo sentir parlare mai, non la
morte, ma la mancanza di umano rispetto per la vita.
Per un altro po’ di amore per George “amore” invece, vi
ricordo lo speciale della Bara Volante.