Esistono i film perfetti? Quelli che piacciono a tutto il pubblico, indipendentemente da età, estrazione sociale, gusti cinematografici (nomi di automobili e marche di sigaretta)? Quei film che stanno al cinema come i Queen stanno alla musica? Secondo me sì, sarebbe divertente stilare una lista di titoli, per quanto mi riguarda, uno dei primi sarebbe sicuramente “I predatori dell’arca perduta”, 35 anni che infiamma cuori, tira colpi di frusta e recupera al volo Fedora caduti a terra!
Parlare di “Raiders of the Lost Ark” nell’anno dei suoi primi 35 anni da Capolavoro del Cinema (con tutte le C maiuscole), è come parlare di un pezzo di cuore, perché Indy è lassù nell’empireo assoluto dove stanno le più grandi icone cinematografiche di sempre, ma fosse solo quello! “Raiders” è uno di quei film per cui uno potrebbe anche decidere di innamorarsi a vita di quella cosina chiamata “Cinema”, Classido? Potete scommetterci il cappello!
Alla celebrazione per il compleanno di Indy, si unisce anche il mitico Lucius Etruscus, qui sotto trovate il Blogroll completo pieno di tasti e tastini da schiacciare!
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Questo film del cuore che quest’anno compie i suoi primi 35 anni è nato… Alle Hawaii!
Sì, perché Steven Spielberg stava dando il via ad una tradizione che avrebbe portato avanti negli anni a seguire, ovvero quella di farsi una bella vacanza nell’isoletta del surf e delle corone di fiori al collo, aspettando le prime notizie sugli incassi dei suoi film. Il film in questione quella volta era una cosina di cui era produttore, potreste averne sentito parlare: L’impero colpisce ancora.
Insieme alla notizia sull’incasso del primo weekend (una roba che voi ed io non vedremmo nemmeno in dieci vite) viene raggiunto anche dall’amico George Lucas, all’ombra di una palma Steven confessa all’amico la sua idea: gli piacerebbe fare un film su James Bond. A quel punto Lucas frena e sgancia la bomba: “Stai buono Stevie, ho un’idea migliore…”.
L’idea in questione era nata parecchio tempo prima nel testone di George Lucas, ovvero un film che omaggiasse i film di avventura degli anni ’40 e ’50 e i serial della Republic Pictures. L’idea era quella di un archeologo alla ricerca di manufatti storici, fu il regista Philip Kaufman a suggerire all’amico Lucas l’arca dell’alleanza, forte delle ore di ricerca passate sui testi che parlavano della biblica reliquia.
Ma questa era solo una delle due idee che si aggiravano nella capoccia di Lucas, l’altra era di fare una sua grande saga ambientata nello spazio, sullo stile di Flash Gordon. In linea di massima, sapete già quale delle due idee Lucas ha deciso di dirigere… E sapete anche com’è andata a finire.
L’idea dell’archeologo che omaggia i classici piace molto a Spielberg, Lucas fa venire giù il suo uomo magico, Lawrence Kasdan, già responsabile della sceneggiatura de L’Impero, i tre iniziano a snocciolare idee per il film, dopo tre giorni d’isolamento, hanno tracciato a grandi linee tutto quello che vorrebbero inserire nella storia. A quel punto, Ispettore Kasdan, il caso è tuo! E Lawrence si mette al lavoro, tirando giù il tomo con la prima bozza di sceneggiatura intitolata “Raiders of the Lost Ark”… Scritta completamente a mano (storia vera!)
A questo punto della storia entra in scena un elemento fondamentale: l’entusiasmo di Steven Spielberg, sopravvissuto alle difficoltà produttive de Lo Squalo e al clamoroso successo di “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, è convinto dei suoi mezzi, ha le idee chiarissime su cosa vuole per “Raiders”, giustifica i 20 milionazzi con un piano di riprese folle, pochissime settimane di lavorazione malgrado le tante (e complicate, come vedremo) location, eppure Spielberg è convinto di potercela fare e alla fine la Paramount Picture decide di dargli fiducia.
Esattamente come la predizione sugli incassi di Star Wars, Spielberg aveva azzeccato un altro numero, il budget finale sarebbe stato di 22 milioni di presidenti spirati su carta verde, l’incasso? Una robetta, circa 210 di quegli stessi bigliettoni, pareggiando l’incasso de “L’Impero” e contando anche i successivi passaggi in sala (nel 1982 e nel 1983), il numero magico si è assestato sui 385 milioni di Ben Franklin ed Abe Lincoln! Mica male, no?
Spielberg si è ricordato dei produttori, omaggiando il logo della Paramount che nella scena iniziale del film sfuma sulla punta di una montagna quasi della stessa identica forma, una tradizione che Spielberg avrebbe portato avanti in tutti i film della saga di Indy, tutti e tre… Perché i film di Indy sono TRE, veeeeeeeero?
La volete una nerdata a chilometro zero? La Paramount non ha mai confermato, rimanendo sulla versione che il loro celebre logo, sia frutto di un disegno a mano dei fondatori dello studio nel 1914, ma la storia più in voga è che la celebre montagna, sia stata ricalcata sulla forma del Monviso, frutto di un disegno fatto da un emigrante piemontese ad Hollywood nei primi del ‘900, il mistero permane, ma tutti i Piemontesi alzando il naso verso le montagne, vedono il logo della Paramount tutti i giorni… Storia vera!
Trovati i produttori e fissata la tabella di lavorazione, ora bisogna solo trovare il cast, cominciando proprio dal protagonista, allacciate le cinture, parte la rumba dei nomi: Jeff Bridges, nome che torna buono sempre (Carpenter voleva affidargli anche Jena Plissken), Nick Nolte, Peter Coyote (non è parente di Willy), Jack Nicholson che avrebbe interpretato bene la parte “Stracciamutande” di Indy, ma probabilmente avrebbe inseguito i Nazisti con un’ascia. Incassati i “No” di tutti, si passa ai comici, Steve Martin, Bill Murray (che legato mani e piedi al contratto con il Saturday Night Live, rifiuta) e… Chevy Chase (Gulp!), alla fine Spielberg, Lucas e il produttore Frank Marshall, trovano il loro uomo e qui le Hawaii tornano di nuovo di moda, perché l’attore scelto è Tom “Magnum P.I.” Selleck.
Ospite in Italia qualche anno fa, Selleck si stupì del fatto che “Magnum P.I.” fosse una serie ancora così famosa, ma complice le 879867 mila repliche televisive (non mi stupirei di trovarlo ancora oggi nel palinsesto mattutino televisivo) qui da noi tutti ricordano il Detective con la camicia Hawaiana e i baffoni, in patria, invece, Selleck è celebre per la sua fama di attore cinematografico e per aver rifiutato il ruolo di Indiana Jones proprio per via del contratto che lo legava al quella serie tv… Come entrare nella storia dalla parte sbagliata!
Selleck prima di rifiutare, però, fa melina a centrocampo, motivo per cui, esistono le sue foto in costume e le registrazioni della letture del copione, fatte da Tommaso nei panni di Indy e con Sean Young nei panni di Marion Ravenwood. Entrambi sono finiti a spasso: uno è tornato dai Doberman di Higgins, l’altra, vabbè robetta, protagonista femminile in “Blade Runner”, ma questa è un’altra storia, prossimamente su questi schermi.
A questo punto come “L’aereo più pazzo del mondo” si accende la luce a bordo con su scritto “PANICO!”, mancano tre settimane all’inizio delle riprese e ancora manca il protagonista, Lucas si gioca la carta: “Ci sarebbe sempre il mio Han Solo”, Spielberg è entusiasta, ha adorato la prova di Harrison Ford in Star Wars, ma i due non si conoscono, quindi Lucas fa arrivare a Ford la sceneggiatura del film.
Harrison, in compenso, subito dopo L’Impero, era a casina sua e da tre mesi scartava ogni progetto che gli veniva proposto, temendo di restare incastrato in una serie di personaggi fotocopia del capitano del Millennium Falcon, leggendo il copione Ford è entusiasta della storia, ma teme che questo archeologo non faccia per lui, ancora una volta in questa storia, entra in scena l’entusiasmo di Steven Spielberg. Il regista con gli occhiali tondi piomba a casa di Ford, attacca la parlantina a mitraglietta, gesticola, mima colpi di frusta, spettri che escono dall’arca. Dopo anni, laconico come al solito Harrison Ford ancora dichiara: “Prima ho amato la sceneggiatura e, poi, quando l’ho conosciuto ho amato anche Spielberg”. Lo stesso che non ha dichiarato il suo amore nemmeno alla Principessa Leila, questo vi dice di che forza della natura può diventare il buon Stevie.
Proprio la passione è la pietra su cui tutto “I predatori dell’arca perduta” è fondato, ultimamente Quentin Tarantino (e in misura minore il suo compare Robert Rodriguez) hanno sdoganato il concetto di “Grindhouse” portandolo dagli spettacoli dei drive-in al grande pubblico, non mi piace usare questa parola perché spesso viene utilizzata a capocchia, ma proprio con i film di Tarantino si parla sempre di post-modernismo cinematografico, prendere vecchie idee e riciclarle, dando loro nuova vita al cinema. Ci si dimentica, però, che i primi vero post-modernisti sono stati proprio Lucas e Spielberg: il primo ha regalato ad una platea in attesa, una space opera che aveva Flash Gordon come massima ispirazione, Spielberg, invece, cresciuto con i matinée, ha riproposto a tutti quanti noi quelle avventure settimanali, in cui il protagonista restava sempre sospeso nel mezzo del pericolo (Cliffhanger appunto) fino alla settimana successiva.
“I predatori dell’arca perduta” è un’opera incredibilmente citazionista, basata su film di avventura e i serial della Republic Pictures degli anni ’50, alimentata da tutta la cultura cinematografica di Spielberg. Dentro possiamo trovare inquadrature che omaggiano “Ombre rosse” di John Ford, ma anche l’aeroplano di “Orizzonte perduto” di Frank Capra, oppure la carrellata aerea durante la scena finale nel magazzino (appena appena iconica, giusto un filo!) che ricorda molto la prima scena di “Quarto Potere” di Welles.
Il personaggio di Indy, come detto, nasce da un’idea di George Lucas, la prima ispirazione arriva dal personaggio di Nevada Smith interpretato da Steve McQueen, Lucas, però, cambia nome (e stato) trasformandolo in Indiana Smith, in omaggio al suo cane Indiana, un Alaskan Malamute che aveva già ispirato Lucas per il personaggio di Chewbacca in Guerre Stellari. Una volta passato nelle mani di Spielberg, il nome proprio non gli piace, suona troppo male, a quel punto Lucas passa ufficialmente il testimone dicendo: “Il film è tuo, fanne ciò che vuoi con il personaggio” e il nome è diventato quello che conoscete tutti.
Anche il look del personaggio è a suo modo un omaggio ai serial della Republic, la gag del protagonista che prima perde e poi recupera il cappello (presente in tutti i film della serie) arriva proprio da lì, il leggendario Fedora di Indy, invece, è stato portato sul set dalla costumista del film e per dargli un aspetto più consumato e vissuto, a turno si sono seduti tutti sopra, compreso Harrison Ford (storia vera!), che ha contribuito al look del suo personaggio non solo con le terga, ma anche con il suo coltello svizzero. Alla ricerca dell’oggetto giusto per rovinare un po’ la giacca di pelle nuova di pacca, Ford ha tirato fuori dalla tasca il fidato coltello per prestarlo alla costumista (storia vera, secondo estratto!).
Le striscianti bestiole vengono portate da mezzo mondo pur di riempire il set come richiesto da Spielberg, dopo i primi test, però, il regista trovava la scena troppo poco affollata, i 2000 serpenti non erano sufficienti. Steven fa una conta, tre, sei, nove, moltiplica per due, con il resto di quattro… Mi servono altri 7000 serpenti! Dove cacchio li troviamo 7000 serpenti Steven? Insomma, razziando zoo, e collezioni private vengono portati altri 5000 serpenti, Spielberg dà un occhiata al girato e dice: “Altri serpenti! Di più di più!”.
Risultato: tutta la troupe inizia a tagliare tubi di gomma da buttare a sbuffo in mezzo ai serpenti per dare un’idea di affollamento, il set diventa un casino micidiale, un attrezzista viene morso ad un dito da un pitone, non velenoso, ma che non ne voleva saperne di staccarsi. La moglie di Stanley Kubrick, in visita al set si chiede se tutto questo possa in qualche modo turbare i poveri piccoli striscianti, risultato: fa rallentare le riprese per via della visita della protezione animali, che certifica che sì, non ci sono pericoli, anche perché Harrison Ford recitava spesso dietro ad un vetro, che lo separava dai serpenti, se guardate bene s’intravede nel riflesso del fulmine alle spalle di Ford.
A contribuire al ritardo della produzione oltre che alla signora, ci pensa lo stesso Stanley Kubrick. Il set del pozzo delle anime è stato costruito su quello dell’Overlook Hotel del film Shining che continuava a ritardare la conclusione per via dell’arcinota pignoleria registica di Kubrick… Malgrado tutto Spielberg e Kubrick sono sempre stati molto amici (storia vera), quando Spielberg parla di Kubrick, è un po’ come quando Magic Johnson parla di Michael Jordan, con l’incanto negli occhi.
Ma il dettagliato piano di riprese di Spielberg è stato messo a durissima prova nel set Tunisino. Sulla tabella di marcia erano previste sei settimane di riprese, nella stessa location che Lucas aveva già selezionato per la sua Tatooine, le settimane di lavoro sono state sforbiciate a quattro, non solo per recuperare il ritardo accumulato (Grazie Stanley!), anche perché i 45 gradi di media rendevano difficile anche pensare, figuriamoci dirigere un film, ma la vera ragione per cui il film e il piano di lavorazione è stato modificato è un altro: la maledizione di Montezuma!
Quella per cui se sbagli a bere l’acqua (o peggio metti il ghiaccio nella tua bibita) ti trasformi in un imperatore, sì, ma della tazza del cesso, causa cagozzo fulminante! Troupe e attori sono falcidiati, l’unico che si salva è Spielberg, che per quattro settimane si nutre solo di orrendi spaghettini in lattina già pronti che si era portato da casa (sempre il più avanti di tutti!).
Alcune delle complicate scene vengono riviste per fare fronte al caldo, ma una in particolare prevedeva un complesso combattimento tra Indiana Jones armato di frusta e il tizio con la scimitarra, Ford si prepara per giorni la coreografia, poi Montezuma ha la meglio, di piroettare non c’è verso, a meno di finire come John Rhys-Davies, che ha riempito le mutande per seguire le indicazioni di Spielberg (storia vera… Storia. Purtroppo. Vera!). Ford dimostrando di essersi calato nel ruolo suggerisce: “E se gli sparassi e basta a questo tizio?”. Risultato: una delle migliori scene di tutto il film, che unisce umorismo, azione e avventura nella stessa scena. A volte la storia del cinema passa anche per l’intestino!
“I predatori dell’arca perduta” è un film con un ritmo sincopato, non ci sono MAI momenti di pausa, Lawrence Kasdan supera se stesso, la sua capacità di miscelare gli elementi del film fa di lui un chimico più che uno sceneggiatore, il film rimbalzando tra momenti comici, scene d’azione, parti avventurose, romantiche e perché no, horror, resta una corsa a perdifiato che non stanca mai nemmeno dopo 35 anni di visioni costanti e ogni volta ti fa sospendere l’incredulità quel tanto da credere che quello dell’archeologo, sia il miglior mestiere del mondo… Su le mani tutti quelli che volevano scovare reperti per vivere da grandi? Non fate i timidi su, come se non vi conoscessi.
Per non parlare dei dialoghi, potrei mandarvi a memoria enormi porzioni del film, un altro dei (tanti) primati (non nel senso delle scimmie, anche se in questo film c’è anche una scimmia!!) di questa pellicola è l’onore di contenere anche una delle mie frasi preferite di sempre, quella che utilizzo (e per ovvie ragioni, utilizzerà sempre più spesso) nella mia vita: «Non sono gli anni, amore, sono i chilometri.
Perché “Raiders” è così, lo puoi vedere a sei, a sedici o a sessant’anni e ogni volta di manda in brodo di giuggiole, anche solo per il tema musicale di John Williams, quel mitico Para-Papa! Para paaaaa! Che mi fa sempre venir voglia d’infilarmi il Fedora e saltare da un divano all’altro come facevo da bambino dopo ogni visione di questo film, per quanto riguarda i temi musicali composti da Williams che hanno fatto la storia del cinema, a cosa siamo, Uno, Due, Tre… Oh, insomma! Ho perso il conto!
L’impatto sulla cultura popolare di questo film è incalcolabile. Abbiamo avuto parodie, omaggi, citazioni, ognuno ha la sua preferita, persino Tom Selleck in un episodio dell’ultima stagione di “Magnum P.I.” è tornato a vestire i panni di Indy per una piccola parodia, la mia preferita resta quella dei Simpson che vede Bart rifare la scena di apertura di Raiders (con tanto di cappello da recuperare) per mettere le mani sul vasetto delle monete di Homer.
A pensarci, quasi una trovata meta cinematografica, quando Indy urla a Marion di chiudere gli occhi e non guardare, forse lo diceva anche a me. Anche questo è parte del coinvolgimento di “Raiders”, un film con cui siamo cresciuti tutti, che conosco a memoria come credo tanti di voi, altrimenti non ci sarebbero state le sommosse popolare per l’orrido ri-doppiaggio del maledetto Pino Insegno (Buuuuu!! Buuuuuuu!!!!).
Esistono i film perfetti? Non lo so, ma dribblando massi rotanti, caldo torrido e la maledizione di Montezuma, Spielberg, come il suo protagonista, ha mandato a segno uno di quei film che per citare Indy: «Dovrebbe stare in un museo!»
Se i film perfetti esistono, allora vuol dire che sono fatti tutti come “I Predatori dell’arca perduta” un capolavoro del cinema ed uno dei miei (e vostri) film preferiti da 35 anni… Ma è talmente perfetto che posso sbilanciarmi, anche dei prossimi 35 anni!
Vero, non sono gli anni che contano, ma i chilometri, quindi cosa dobbiamo contare, i chilometri di VHS di questo film consumati negli anni? I chilometri di frusta fatta schioccare? I chilometri all’ora di sangue pompato dal mio cuore che batte quando parte il tema di John Williams? Non sono gli anni sono i chilometri e allora grazie per tutti i chilometri fatti insieme “Raiders”, auguri di buon compleanno! PA-PA-RAPPA-PA-PA-PAAAAAA! PA-PA-RAPPA-PA-PA-RA-PAAAA-PAAAA!