Perché avere un solo fanatico di Walter Hill, quando nello
stesso post puoi averne ben due? Date il benvenuto a Don Max, uno dei più grandi appassionati
del cinema del nostro Gualtiero che abbia avuto la fortuna di conoscere. Insieme a lui oggi va in onda, il capitolo a sorpresa della rubrica… King of the hill!
Forse molta Hollywood non sarebbe la stessa se non fosse
passato di lì Walter Hill, un autore e un nome legato al cinema ma anche al
piccolo schermo. Sul finire degli anni ’80 il Maestro decise di prendere in
mano “Tales of The Crypt”, già serie a fumetti degli anni ’50, per portarla in
tv. “Tales from the Crypt” sta agli anni ’90 come “Ai Confini della realtà” sta
ai primi anni ’60, dietro a questo progetto tanti nomi (da William Friedkin a
Kirk Douglas, passando per Tobe Hooper e Joel Silver) ma soprattutto tanti
“brutti ceffi”… vi basti pensare che a produrla furono niente meno che Richard
Donner, Robert Zemeckis e, naturalmente, Walter Hill. Dietro alla serie
antologica l’ambizioso obiettivo di creare un prodotto commerciale a forti
tinte horror e dall’umorismo nerissimo che unisse i temi della violenza, a
quello del sesso e più in generale alla quota Walter Hilliana di zizze. Roba
che magari oggi diamo per scontato ma che negli anni ’90, o più in generale
nelle serie tv medie degli anni ’90, tanto scontata non era.
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“Specchio specchio delle mie malefiche brame, chi è il più spaventoso guardiano di cripta del reame? Ah ma sono io!” |
È Walter Hill a dirigere il primo episodio della saga, “The man
who was death” (episodio 1×01), l’autore e maestro in meno di trenta minuti
tira fuori una bomba a mano con tutti i temi cari al regista: c’è la violenza;
c’è il bar che fa da collegamento al Saloon; ci sono i cattivi, il motociclista
viene presentato con delle parole che ricordano quelle dei motociclisti del
film Ancora 48 ore; c’è tutta una
parte ambientata in un nightclub con zinne e culi da paura, che ricorda
vagamente l’uso della fotografia di Strade di fuoco. Walter Hill insomma. Ma prima di parlare dell’episodio sarebbe
ingiusto non introdurre il narratore onnisciente più interessante degli ultimi
30 anni: il Guardiano della Cripta, in inglese “Crypt Keeper”, un tipo
schifosamente morto manovrato dal burattinaio Van Snowden. Di ogni episodio
l’intro e la chiusura sono sue, ha sempre spaccato lo schermo… a parte quella
volta in cui Arnold Schwarzenegger gli rubò la scena, ma Arnoldo in fondo ruberebbe la scena a chiunque.
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L’introduzione al primo episodio, con tanto di adorabile omaggio ai fumetti. |
“The man who was death” ha come protagonista un campagnolo
che lavora per la prigione di Stato. Il nostro anti-eroe è niente meno che un
boia e fa tutto un discorso su quanto sia tosto il suo lavoro, su quanto sia
bella l’elettricità, ma… Walter Hill è un dio che dà e che toglie a suo
piacimento e quando passa una legge a favore dell’abolizione della pena di
morte, il protagonista si ritrova senza
lavoro. Il mondo gli toglie quello che ama, non si sente più il “King of the
Hill”, allora si adatta e fa di necessità virtù. Decide di partecipare a una
serie di processi e, punendo tutti coloro i quali la legge assolve, si
trasforma in giudice, boia e giuria. Li punisce secondo i suoi modi e non ho
detto che i suoi modi siano giusti. Nel suo essere un personaggio negativo,
sicuramente politicamente scorretto e spiccio nel risolvere le questioni più
spinose, il nostro risulta anche simpatico e in un momento riesce a metterti i
brividi. È al bar e se ne esce con questa massima “secondo me se facessero
un programma con le morti in diretta dei detenuti mandati sulla sedia
elettrica, quel programma verrebbe visto da tutta l’America”. Di fronte al
suo umorismo nero non ho potuto far altro che applaudire e qua c’è tutta la
magia del cinema di Hill. Da notare la musica del sempre Hilliano Ry Codder e
il plot twist finale (un po’ telefonato).
per “Cutting cards” e per Deadline.
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Quando si dice, giocare con il morto. |
“Cutting cards” (episodio 2×03), è del 1990, pochi mesi dopo
quella bomba a mano di Johnny il bello
Walter Hill richiama a sé uno degli attori che avevano recitato nel film: Lance
Henriksen, qui nella parte di Reno, il giocatore d’azzardo vestito da cowboy.
L’episodio è un western metropolitano, con Hill che in una delle inquadrature
iniziali si sofferma sugli stivali lucidi del protagonista seguito subito dopo
dalla sua entrata in un casinò. Non c’è la sabbia, ma un sacco di asfalto, non
ci saranno cavalli ma troppe macchine imbottigliate nel traffico, eppure
l’atmosfera è quella di un western dove la a sala giochi funge da moderno
saloon e la musica composta da James Horner aiuta e rafforza la puntata donandole delle sonorità noir. Al casinò
Reno incontra Sam, interpretato da Kevin Tighe (Ancora 48 Ore; “Geronimo”), sua vecchia conoscenza e scommettitore
incallito come lui. Entrambi sono dei personaggi che vivono in mondi tutti
loro, Reno ha vinto 10.000 dollari da Sam? Allora Sam vince una Cadillac da
Reno. Si completano, ma non lo capiscono. Una notte, quella che vediamo
nell’episodio, decidono di sistemare tutti i loro attriti nell’unico modo che
conoscono: scommettere. Cominciano con la roulette russa, ma non è abbastanza,
e finiscono con quello che viene definito “Chop Poker”. È un gioco pazzo e
maschio fino al midollo. L’episodio è recitato divinamente e viene portato
sulle spalle tutto da Tighe e Henriksen con le loro sfide sanguinolente al
punto giusto e ricche di umorismo nero, specialmente nel finale.
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L’ultimo racconto firmato dal nostro Gualtiero. |
In “Deadline” (episodio 3×12, 1991) invece, il protagonista
dell’episodio, Charles McKanzie (Richard Jordan), parla direttamente al
pubblico sfondando la quarta parete. L’uomo, attraverso un monologo girato in
un lungo primo piano, si presenta come un vincente e dice di essere un reporter
che farebbe di tutto per uno scoop. Sembra un tipo diretto, ma parla al
passato, subito dopo infatti Walter Hill ci mostra gli eventi avvenuti qualche
giorno prima.
scontento della vita. Richard Jordan che qui interpreta un uomo sul tramonto
della sua vita sarebbe morto solo un anno dopo, la cosa fa riflettere se ci
pensate. Charles scontento della vita vede un raggio di sole entrare nel buio
bar, il raggio di sole è la bellissima Vicky un fiore misterioso che va a
sedersi da sola, lontana da tutto e tutti.
Il reporter le si accoda e le dice la battuta più vecchia
del mondo «So, what’s a pretty lady like you doing in here» e giustamente lei
lo guarda come per dire «Ma lo hai detto veramente?». Vicky è interpretata da
Marg Helgenberger, la Catherine Willows di CSI, e l’attrice non è mai stata
così sexy come nell’episodio in questione… che gli fai alle donne Walter?
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La battutaccia da abbordaggio più vecchia del mondo. |
All’inizio non sembra troppo interessata ma fanno amicizia e
finiscono a letto. Charles grazie alla f…orza di Vicky riprende il coraggio
perduto e cerca di rimettere la vita sui binari, deve trovare lo scoop e
comincia a cercarlo come un segugio, ma lo scoop non arriva. Al lavoro viene bistrattato
dai superiori perché convinti di aver di fronte un dinosauro pronto
all’estinzione, ma il nostro non si dà per vinto e una sera, seduto comodamente
in una tavola calda, assiste alla violenza di un uomo su una donna. Il titolare
del ristorante (Jon Polito) geloso della compagna infedele le mette le mani sul
collo e la strangola. Il reporter prende carta e penna e intervista il
carnefice in lacrime, eppure la donna ancora non è morta… L’episodio è senza
dubbio il più debole dei tre diretti da Gualtiero e rispetto agli standard
della serie tv ha poco sangue, ma un’atmosfera davvero opprimente.
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“Mi sento stretto, come se fossi chiuso in una cripta”, “Hai provato ad allentare il nodo della cravatta?” |
“I racconti della cripta” ha dato modo a tanti registi di
esprimere il proprio talento o a riconfermare le proprie capacità e gli episodi
diretti da Hill, portano tutta la sua filosofia di vita e il suo modo di essere,
dal grande al piccolo schermo. “Tales of the Crypt” quindi non è stata
semplicemente una parentesi nella vita del regista di Long Beach, è stata una
palestra che ha dimostrato ancora una volta la solidità di Walter Hill nella
regia e nella produzioni delle sue opere anche televisive, con trame ricche di
personaggi Peckinpahiani sul tramonto della vita che lottano ogni giorno per
affermarsi nel bene e soprattutto nel male. Il tutto condito di umorismo e
cinismo.
devo a Creepshow di George A. Romero
l’amore per questo formato, alimentato negli anni dalle repliche di “Ai Confini
della realtà” e tutte le sue imitazioni più o meno famose. Quello che “I
racconti della cripta” aveva in più rispetto alle altre serie dello stesso tipo
era proprio il “Crypt Keeper”, il guardiano della cripta dei fumetti della EC
Comics, che ha avuto in “Uncle Creepy” (da noi adattato in “Zio Tibia”) il suo
più celebre imitatore.
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Bella bara, una volta di queste dovremmo fare cambio. |
Ho sempre seguito la serie a spizzichi e bocconi in base alle
repliche televisive, devo ringraziare Don Max se sono riuscito a vedere gli
episodi diretti da Walter Hill, che sono serviti a confermarmi una cosa che
sapevo già: nessuno ha saputo spianare la strada agli altri che dopo di lui
l’avrebbero seguita, più di quanto abbia fatto Walter Hill.
stato uno dei pochi film di Romero ad incassare al botteghino, seguito da
capitoli spesso non all’altezza, “I racconti della cripta” è stata in giro per
il piccolo schermo per la bellezza di sette stagioni, spostando un pochino più
in là il limite del mostrabile sul piccolo schermo. Non è un caso che negli
stati uniti, dopo la bella sigla composta da Danny Elfman, si poteva vedere il logo
della HBO, il canale che prima di perdersi tra draghi e troni, è stato quello
che davvero ha portato temi adulti nelle case degli americani.
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“Che gran bel pezzo di figliol… Ah! Non è come sembra, leggevo gli articoli attorno alle foto!” |
Tra i tanti meriti mai riconosciuti davvero al nostro
Gualtiero, sicuramente quello di aver diretto dei film che sono diventati dei
modelli di riferimento per il genere a cui appartenevano, che fosse il pit fight, oppure il buddy cop movie, solo per fare due
esempi. L’unico genere che forse mancava davvero alla sua filmografia era
l’horror, ma anche qui Walter Hill con “I racconti della cripta” ha scovato
un’altra pista portando innovazione anche sul piccolo schermo.
televisiva dei fumetti della EC Comics e di serie come “The Haunt of Fear” e “The
Vault of Horror”, che ben si sposano con la poetica di Walter Hill, fatta
spesso di distinzioni per niente nette tra buoni e cattivi, ecco perché “The
man who was death” si gioca il faccione di William Sadler nella parte di un
protagonista che sembra uscito direttamente dalle pagine dei fumetti: convinto
della sua etica e con la schiena dritta, ma allo stesso tempo razzista (fa
battute sul fatto che dopo la sedia elettrica, tutti siano un po’ “neri”) e
sessista, tanto che nel finale resta fregato proprio per colpa di una donna,
seguendo la tradizione della EC Comics per cui personaggi così sgradevoli alla
fine, trovano quello che si meritano.
affidare il ruolo del protagonista a William Sadler, con la promessa che
l’attore avrebbe recitato esattamente come fatto durante il provino (Storia
vera). I due sarebbero tornati a lavorare insieme in I trasgressori, quindi proprio male non devono essersi trovati.
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Una coppia che fa scintille! |
“Cutting cards” invece è un capolavoro di tensione, una barzelletta
di puro umorismo nero che non può che finire male per i due protagonisti. Lance
Henriksen buca lo schermo ad ogni inquadratura anche con i baffetti e conciato
come il cowboy delle sigarette, mentre Kevin Tighe è il suo degno sfidante in
questo duello western, tra uomini opposti e seriamente intenzionati a non
mollare, proprio come da tradizione dei film di Gualtiero.
ogni nuovo CLICK! Mentre la sfida a “Chop Poker” è quel tipo di umorismo nero
che potrebbe piacere al “Crypt Keeper”, oppure a uno che ha un blog che si
chiama la Bara Volante. Quella gente strana lì, avete capito no? Loschi figuri.
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“Un colpo solo? Un colpo solo, un colpo solo!” (Quasi-cit.) |
Ha ragione Don Max quando dice che “Deadline” non è
sicuramente il migliore dei tre episodi, e nemmeno quello con il ritmo più
serrato (specialmente visto a breve distanza da “Cutting cards”) ma è un noir
puro, con tanto di femme fatale che sconvolge la vita del protagonista. Quando si
tratta di portarci tra strade bagnate della pioggia e illuminate dai neon, bar
che sembrano saloon ma anche il centro del mondo dei protagonisti, nessuno è
più a suo agio di Walter Hill.
cerca di far entrare il suo cinema grande, spesso più grande della vita che rappresenta,
dentro uno schermo troppo piccolo, al massimo è una perla da aggiungere alla
sua già scintillante filmografia. Il fatto che poi Gualtiero sia anche
appassionato di fumetti (ne ha anche scritti alcuni pienamente nel suo stile) non fa che confermarmi un’altra cosa che
già sapevo di lui: ci sarà un motivo se è da sempre uno dei miei preferiti no?
in puro stile Jack e Reggie, e vi invito a passare a trovarlo sulla sua del
Faccialibro: 21st Century Schizoid Don.