Ci sono registi che pur essendo nomi grossi, se non addirittura enormi, presso il grande pubblico sono famosi per un film e basta pur avendone fatti tanti di livello. Poi c’è il caso di Francis Ford Coppola, famosissimo e amatissimo per essenzialmente tre film (di cui uno, che è una trilogia) che intorno a quelle tre pietre miliari, ne ha piazzate altre, componendo il suo personale Stonehenge.
Quest’anno compiono gli anni due di quelle monumentali pietre, nemmeno poi così tanto di contorno, che sono tra i motivi per cui ho sempre considerato lo zio di Nick Cage uno dei migliori oltre che tra i miei preferiti. Quindi non posso proprio esimermi dal festeggiare il primo dei miei due coetanei, uscito nel 1983 come film di reazione dopo il sanguinoso e immeritato flop al botteghino di un film molto bello come “Un sogno lungo un giorno” (1982).
«Questo film è dedicato alle persone che per prime ne hanno suggerito la realizzazione… La bibliotecaria Jo Ellen Misakian e gli studenti della Lone Star School di Fresno, California.»
Questa la dedica alla fine del film, il punto da cui decido di partire oggi, visto che la genesi del film si è svolta proprio in questo modo, è merito della bibliotecaria Jo Ellen Misakian se il romanzo campione d’incassi “The Outsiders” (1967) scritto da S. E. Hinton è arrivato nelle mani del regista, che ha pensato bene non solo di portarlo sul grande schermo, ma di chiudere il cerchio, offrendo alla scrittrice di apparire nel film nel breve ruolo dell’infermiera (storia vera).
“The Outsiders”, inspiegabilmente trasformato nel chilometrico “I ragazzi della 56ª strada”, forse per un colpo di coda della moda anni ’70 nostrana di dare titoli infinitamente lunghi ai film (ma poi, quando mai parlano di questa fantomatica 56ª strada nella storia? Vabbè), alla sua uscita ha raccolto una buona risposta di pubblico, costato dieci milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, nei soli cinema americani ne portò a casa circa ventisei, lasciando comunque tiepidi i critici che ai tempi, lo etichettarono come troppo classico, eh, si può dire grazie al cazzo in un post dedicato a Coppola? Perdonatemi, non ho mai amato la brillantina ma sono un ex ragazzo di periferia, decisamente più Greasers che Socials, ogni tanto la mia vera natura emerge.
“The Outsiders” è volutamente un film classico, perché classiche sono le fonti d’ispirazione di Coppola, il piano originale, portato a termine alla grande dal regista, era quello di raccontare la ribellione adolescenziale certo, ma anche sottolineare la difficoltà nel diventare adulti quando le figure genitoriali sono assenti, infatti i protagonisti del film cercano ovunque surrogati per colmare questa assenza. Sono “bimbi sperduti” consapevoli che ogni adolescenza convince con la guerra, che si aggrappano a quello che trovano, quindi l’orfano Ponyboy (nulla mi toglie dalla testa che non sia stato fonte d’ispirazione per la canzone di Bruce Springsteen) dentro ad un cinema ammira lo “Spaccone” di Paul Newman, ma torna buona anche la letteratura per cercare di elevarsi dalla loro condizione di “Outsiders”, quindi hanno il loro ruolo chiave anche “Via col Vento” di Margaret Mitchell o la poesia di Robert Frost “Nothing gold can stay”.
Coppola sembra ispirarsi a “Gioventù bruciata” (1955), in particolare per il personaggio di Johnny Cade, ma poi mescola il tutto con quel senso di morte, inevitabile, che aleggia su tutti i giovani protagonisti, che sembra pescare a piene mani da “La morte corre sul fiume” (1955) di Charles Laughton ma anche ad American Graffiti, del suo protetto George Lucas, per fare un ritratto generazionale dell’America degli anni ‘60
“I ragazzi della 56ª strada” è classico nella sua struttura perché classiche sono le sue fonti, infatti cosa è successo al film, in barba ai critici dell’epoca? È diventato a sua volta un classico, anzi diciamola tutta, è diventata proprio un Classido!
La storia è ambientata nella Tulsa dell’anno 1965, la periferia della cittadina è divisa tra la rivalità tra i Greasers, impomatati figli abbandonati a loro stessi della classe operaia, eternamente in lotta con gli odiati Socials, che a seconda degli anni o dei posti hanno cambiato nome: pariolini, cabinotti, paninari, insomma sempre loro, borghesi figli di papà pieni di soldi destinati ad ereditare, se non la terra, almeno i posti di comando della società. Come ci racconta tutto questo Coppola? Usando l’arma che conosce meglio, il cinema.
Io vi sfido (così, per curiosità) a trovarmi un altro film in grado nei primi cinque minuti, quelli fondamentali, a lanciare in faccia al pubblico una tale quantità di nomi e personaggi tutti insieme, con la stessa leggerezza ed eleganza usata dal buon vecchio Francis Ford qui, «Cosa vuoi fare?», «Niente di legale» e si parte. La serata al Drive-In diventa l’occasione per far calare lo spettatore in questo mondo dove gli adulti sono assenti, oltre a portare in scena tutta la “meglio gioventù” che l’anno 1983 poteva mettere a disposizione di Coppola.
Si parte con il carismatico Dallas interpretato da Matt Dillon posseduto dallo spirito di Brando in “Il selvaggio” (1953) che giustamente cosa fa? Le tenta tutte per broccolarsi la “Soc” più bella in circolazione, ed è bella davvero visto che Sherrie “Cherry” Valance è fatta a forma di Diane Lane al suo primo ruolo memorabile. Con grande classe Coppola, dopo aver portato in scena quelli che sembrano ad una prima occhiata essere i novelli Romeo e Giulietta di questa storia, introduce i veri protagonisti, ovvero Ponyboy Curtis (C. Thomas Howell) e il suo compare Johnny Cade (Ralph Macchio prima del karate), due scappati di casa che creato subito un legame, impossibile e non destinato a durare per via della differenza di classi sociali con la ragazza, la prima di tante volte, nel corso del film, in cui Coppola sfila idealmente la sedia da sotto il sedere al suo pubblico, smontandogli le certezze cinematografiche.
L’unico straccio di figura genitoriali per questi ragazzi consiste nell’esempio di un ribelle con cuore come Dallas, contrapposto al tentativo di tenere insieme la banda del fratello maggiore Sodapop Curtis (Rob Lowe) e ancora di più del leader carismatico, ovvero Darrel Curtis, conferma che chiunque abbia messo insieme il cast del film era dotato di preveggenza, perché affidare il ruolo al mai abbastanza compianto Patrick Swayze ha fatto bene a “The Outsiders” anche durante lo scorrere del tempo. Anche rivedendolo oggi è quasi automatico dare fiducia ad uno che ha il volto di un attore amatissimo dal pubblico, poi vabbè, nell’ingresso di casa Cassidy abbiamo il santino di San Patrick Swayze (storia vera), quindi da queste parti siamo casi patologici.
Finito qui? No perché in quella specie di comune dove vivono i protagonisti, tra le fila dei Greaser bazzicano altre facce note come il figlio di quello che Coppola ha condotto al centro del suo cuore di tenebra, ovvero la faccia da schiaffi di Emilio Estevez nei panni di Keith “Two-Bit” Matthews e per qualche minuto, mangiando più cioccolato di quello che ha mai ingurgitato in tutta la sua vita, anche lo Steve Randle interpretato da un Tom Cruise che rivisto oggi qui, sembra la rappresentazione umanoide della massima: non sei brutto, sei solo povero.
«Ci deve essere un posto senza Greaser e Social», una riga di dialogo che sembra una profezia auto avverante che introduce la svolta chiave del film, se i nostri protagonisti sono figli della società, della strada, per cambiare (e crescere) devono abbracciare la natura, ma come sradicarli dalla giungla di cemento dove sono nati e cresciuti? Con uno strappo violento, che anche qui, Coppola dirige con un tocco e un’eleganza da vero Maestro della settima arte, infatti la drammatica scena della fontana vale da sola la visione del film. L’omicidio del Social Bob (Leif Garret) rappresenta l’entrata a gamba tesa della morte nella vita dei protagonisti, sottolineata da rosso del sangue nell’acqua della fontana, ecco perché per mostrare al pubblico quanto il destino di Ponyboy e Johnny ormai sia legato, Coppola li inquadra usando l’amato split diopter shot, marchio di fabbrica di un altro regista della New Hollywood come De Palma, la doppia messa a fuoco che mantiene l’attenzione su entrambi.
L’unica soluzione è una corsa al bar (gestito da Tom Waits) per una consulenza con Dallas e poi via, filare, verso la campagna, dopo la definitiva perdita dell’innocenza, ci vuole un cambio di prospettiva, che ancora una volta trova Coppola narratore per immagini prontissimo.
La parte bucolica di “I ragazzi della 56ª strada” sottolinea come questi figli del cemento, debbano abbracciare la natura, la loro latitanza è costantemente tenuta d’occhio da animaletti di ogni tipo, per una trasformazione che è un passaggio all’età adulta a partire dai simboli che li hanno sempre definiti come Greaser, i vestiti e soprattutto gli impomatati capelli, che diventano ossigenati, color oro come le parole della poesia, quelle «Stay gold» che torneranno in un momento chiave del finale, come ideale passaggio di testimone, il tutto mentre Coppola avvolge i suoi protagonisti nel caldo abbraccio di un tramonto in cinemascope fotografato alla grande da Stephen H. Burum.
La giovinezza degli “Outsiders” di Coppola è costantemente contaminata dall’ombra della morte, per provare a sconfiggerla e “rimanere d’oro” i personaggi si calano nell’illusione dell’arte anche cinematografica, il tutto con Carmine Coppola nella colonna sonora che piazza la sua Stay Gold. Anche se la sfida con la morte passa anche attraverso l’atto di eroismo che decide del destino di tutti, i bambini da salvare dalla scuola in fiamme, riuscite a pensare ad una trovata più classica di questa? I critici cinematografici nel 1983 no.
Per questi ragazzi (della 56ª strada), che si divertono a guardare Topolino e Buster Keaton alla televisione, la divisione sarà sempre netta, come ricorda loro uno dei Social («Voi sarete sempre gli ultimi, noi i privilegiati»), la rissa sotto la pioggia è un altro momento di gran cinema diretto da Coppola, una vittoria tutto sommato di Pirro ma travolgente, come solo le cose durante l’adolescenza possono essere, oltre a ricordare al mondo come dovrebbero essere intesi i Social (anche Cosi), altro che litigare dietro una tastiera al sicuro, hai qualcosa da ridire? Alla vecchia maniera! Piazzale e pugni in faccia ‘azzo…
… Scusate è riemerso il Greaser in me, torno nei ranghi.
Il finale di “The Outsiders” è toccante e anti-eroico, un’invocazione, anche disperata se vogliamo a ”restare d’orati” che non si dimentica, per un film che è un capolavoro di sintesi, ecco più che classico lo definirei proprio così, non ha un filo di grasso di troppo nella narrazione, puoi vederlo nel 1983 o a quarant’anni dalla sua uscita e sarà sempre un archetipo narrativo, eternamente giovane come i suoi protagonisti costretti a diventare grandi di colpo, eppure agli appassionati del libro originale non è che sia proprio piaciuto molto l’adattamento firmato dal regista.
La stessa nonna di Coppola, insegnante di scuola, ha avuto delle difficoltà a mostrare il film alla sua classe dopo aver analizzato il libro, per via di molte parti mancanti sacrificate (secondo me a ragione) dal nipote, motivo principale per cui esiste la “Director’s cut” da 114 minuti, che reintegra qualcosa rispetto alla versione da 91 minuti uscita in sala nel 1983, posso dirlo? Anche se lo avrete già capito, più minuti della regia di Coppola non sono MAI un male, ma lui è il “Padre nobile” (o Padrino? Fate voi) delle versioni allungate e rimaneggiate dei suoi film più famosi, abitudine imparata nel modo peggiore possibile anche dal suo protetto George Lucas, che però ha una base molto pragmatica: a volte queste nuove edizioni sono l’unico modo per monetizzare e permettere a Coppola di girare altri film, spesso più sperimentali, con la sua American Zoetrope, sempre sul filo sottile della bancarotta.
Per via della sua natura classica (di Classido), per aver messo insieme tutti nello stesso film, la “meglio gioventù” di Hollywood prima di tutti e prima che diventassero famosi altrove, “I ragazzi della 56ª strada” è una pietra miliare data un po’ per scontata, fateci caso, quanto altro cinema “adolescente” americano abbiamo avuto dopo questo film? “Footloose” (1984), “Breakfast Club” (1985), I Goonies, “Stand by me” (1986), Ragazzi perduti, li avremmo avuti senza il film di Coppola? La mia idea è abbastanza chiara in merito, sicuramente senza “I ragazzi della 56ª strada” non avremmo avuto il suo ideale e altrettanto bel seguito, ma di quello parleremo la prossima settimana, abbiamo un altro compleanno da festeggiare.
Sepolto in precedenza giovedì 9 novembre 2023
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