Ci siamo quasi, la profezia di Laura Palmer, quella con cui la bionda concludeva la seconda stagione («Ci rivedremo tra 25 anni») tra pochi giorni sarà realtà. Ma prima di acchiappare un’altra tazza di caffè e tagliarci una fetta abbondante di torta mi sembra giusto fare un doveroso ripasso di quella che ancora oggi è considerata la capostipite di tutte le serie tv di qualità, è il momento di raccontarvi come Twin Peaks abbia cambiato un po’ anche me. Sottofondo musicale fornito da Badalamenti in arrivo!
1990, un paesello nebbioso del Piemonte che per certi versi somiglia molto a Twin Peaks, ma senza la doppia cascata. Il piccolo e occhialuto me stesso di allora, era pronto ad affrontare il gioco più popolare durante le ore di intervallo scolastico noto come “Giocare a Twin Peaks”.
«Ci vediamo tra 25 anni, una Domenica magari, tenetevi liberi» |
Io sicuramente non ero stato, anche perché avevo visto sì è no dieci minuti della prima puntata della serie, a menare le danze del gioco era un mio compagno di classe particolarmente invasato con il programma tv. Oh! Tenete conto che davvero era stata trasmessa solo la prima puntata, quindi non sapevamo niente dei futuri sviluppi, avevamo solo questa specie di dittator… Ehm, cagacazz… Ehm… Compagno di scuola che ci assegnava i ruolo da impersonare per “Giocare a Twin Peaks”.
«Sono interpretato da Chiii? Cassidy? Mai sentito nominare» |
Ci tengo a rassicurarvi, la storia del “Giocare a Twin Peaks” passa presto di moda per varie ragioni: brutto tempo durante l’ora dell’intervallo, genitori che non concedevano ai bambini di guardare la serie tv, ma soprattutto l’imminente avvento di una miniserie televisiva che quella sì, VERAMENTE adatta ad un pubblico di bambini, s’intitolava “IT” ed era tratta da un romanzo di Stephen King, ma questa è un’altra storia (vera) di cui parleremo a breve.
Potrei stare a guardarlo per ore… |
Come tutte le storie interessanti (quindi non questa), ci vuole una donna, oddio donna, ragazzina, visto che allora avevamo circa quindici anni e in un’uscita di quelle belle impacciate (ah, l’adolescenza! Quanta sfiga!) a me scappa che sto guardando “Twin Peaks”, non faccio in tempo ad aggiungere altro che la ragazzetta mi stacca subito un: «Bella! Non l’ho mai vista, ma so che alla fine l’assassino era…». Imparo dolorosamente il concetto di SPOILER, per la nuda cronaca non è mai seguita una seconda uscita, perché chiamarlo appuntamento mi sembra pure eccessivo.
«Non capisco quello che dici Cassidy! Spiegati meglio!» |
La serie nasce dal lavoro di David Lynch e Mark Frost che dopo vari tentativi di collaborare insieme con progetti tutti matti (“One Saliva Bubble” bocciato perché considerato simile a Una poltrona per due o una biopic sulla vita segreta di Marilyn Monroe che sarà comunque fondamentale per la serie), i due trovano il canale televisivo ABC ben disposto verso progetti sperimentali e bizzarri, il che vuol dire che stavano alla canna del gas e con degli ascolti ridicoli, in pratica l’unica occasione possibile per osare davvero.
«Tu prendi quelle alla crema, io quelle al cioccolato» , “«Affare fatto» |
Grazie alle musiche soffuse ed ipnotiche di Angelo Badalamenti, Twin Peaks sembra una cittadina fuori dal tempo, una versione anni ’50 degli anni ’90, in cui ballano (nani) tavole calde, una passione sfrenata per il caffè e la torta di ciliegie, ma anche giganti, gufi, signore con portano ceppi di legno in braccio e, soprattutto, lo spaventoso BOB, interpretato da Frank Silva, attrezzista sul set della serie con ZERO esperienza di recitazione, finito nell’inquadratura (riflesso in uno specchio) per caso e apprezzato così tanto da Lynch da creare intorno alla sua faccia inquietante uno degli spauracchi più riusciti della storia dell’immaginario (storia vera!).
Ringraziate che nel 1990 non esistevano i televisori 3D. |
Al pari di “Velluto blu” (1986), David Lynch ci mostra il torbido che si nasconde dietro la facciata pulitina e perfettina di una cittadina da cartolina, il tutto non facilmente collocabile all’interno di un genere preciso, l’atmosfera sovrannaturale e inquietante ha qualcosa di tanti horror, ma allo stesso tempo Lynch è bravissimo a cambiare di passo seminando qua e là pennellate grottesche, volutamente kitsch (basta guardare l’abbigliamento, le capigliature o bende sugli occhi a sbuffo) se non gag ripetute ed efficacissime, offrendo un ritratto melodrammatico su cui si muovono personaggi che sembrano quasi una parodia dei classici protagonisti della soap opera degli anni ’80.
La soap opera dentro la soap opera, della tv dentro la tv… Mi viene mal di testa! |
Ma è l’umorismo quello che mi ha conquistato, David Lynch si diverte proprio a giocare con il formato e con lo spettatore, ad esempio Dale Cooper è tranquillamente seduto al tavolo di un locale a dialogare e dietro di lui, un quartetto vocale, tutto paglietta in testa e giacche a righe canta il tema musicale di Badalamenti facendo LORO la colonna sonora della scena, oppure a Shelley e Bobby in auto basta cambiare stazione radio per passare dal tema musicale più sinistro a quello allegrotto (sempre composto da Badalamenti) per cambiare subito l’atmosfera. Grazie a trovate come queste ho imparato ad amare sul serio quel geniale pazzoide di David Lynch.
Chiedo scusa signora del ceppo, non volevo esprimere giudizi. |
I primi otto episodi sono meravigliosi, psichedelici e uno migliore dell’altro, compreso il “cliffhanger” finale che t’incolla letteralmente allo schermo. Ancora oggi, tutti dovrebbero vedersi quella prima meravigliosa stagione, i problemi sono iniziati quando ABC ha preteso che David Lynch e Mark Frost rivelassero l’identità dell’assassino di Laura Palmer, secondo Frost un errore letale, perché quello era il mistero principale da cui si ramificavano tutti gli altri e così è stato, visto che le sotto trame della seconda stagione non hanno lo stesso mordente e non funziona nemmeno così tanto il personaggio di Windom Earle, assassino con dei conti in sospeso con Dale Cooper interpretato da un comunque ottimo Kenneth Welsh.
«Fuggite! Andrà avanti a blaterare per ore!» |
Dopo vari cambi di programmazione durante il palinsesto, compreso uno spostamento dal giovedì al sabato sera, per trasmettere in prima serata Codice Magnum (storia vera) i sempre meno (ma sempre più rumorosi) fan della serie hanno martellato di lettere, di pezzi degli scacchi e di ciocchi di legno la redazione di ABC. Nel tentativo di una conferma per la stagione numero tre, David Lynch che aveva lasciato quasi tutto nella mani del suo compare, torna indietro come Han Solo per dirigere il finale di stagione che da solo è una vera opera d’arte, non riesco a definirlo con toni meno entusiastici.
Dritto sparato tra i migliori personaggi del piccolo schermo di sempre! |
Cooper, con il suo spaccato umorismo, la sua apertura mentale nei confronti del misticismo, è di fatto il modello su cui è stato costruito Fox Mulder di X-Files, inoltre è un personaggio che è stato su Kyle MacLachlan, di lui Lynch ha sempre apprezzato la capacità di risultare sinistro e un attimo dopo esplodere in un sorrisone da bambino felice, la passione per il Tibet del personaggio, invece, è farina del sacco di Lynch che si è appassionato alla causa Tibetana dopo aver incontrato il Dalai Lama (storia vera).
Qualcuno ha detto Fox Mulder? Anche se qui sembra più Dana Scully (bah più o meno). |
Ma Dale Cooper in un attimo spazza via il tipico clichè dell’agente dell’FBI con la puzza sotto il naso, qual è la dinamica tipica di film e serie tv vista fin troppe volte? Quella per cui gli agenti dell’EFFEBIAI vedono i poliziotti locali come degli zotici trattandoli di conseguenza, basta vedere come Dale tratta il suo collega l’agente Albert Rosenfield (il grande Miguel Ferrer) per capire che Cooper è di un’altra pasta, lui si innamora di Twin Peaks e si integra subito con gli abitanti, stringendo amicizia con lo sceriffo Harry S. Truman (sì, come il Presidente della bomba, però interpretato da Michael Ontkean) e si lascia anche tentare dalla bellezze locali, Audrey Horne (Sherilyn Fenn) prima e Annie Blackburn (Heather Graham) poi.
Tanto posso scrivere qualunque così qui sotto, nessuno mi sta guardando lo so. |
Me fatemi dire SPOILER giusto per sicurezza prima di riprendere il gioco… Sempre senza rivelare nulla, il finale de “I segreti di Twin Peaks” è in linea con la tematica di tanti altri film di David Lynch, che spesso parlano di personaggi che perdono la loro purezza, quindi in questo senso è una fine tronca, che ti lascia stordito, ma a mente fredda ha una sua logica, almeno fino ad ora. Vedremo come con la terza stagione Lynch porterà avanti il discorso, mi aspetto di tutto e sono sicuro non basterà perché quando c’è di mezzo il regista con il ciuffo, non si può davvero essere preparati sul serio. FINE SPOILER, non vi ho rovinato la visione, vero?
Mi mettono ansia anche in foto quelle tende. |
Aggiungo solo un’ultima riflessione, qualche giorno fa Lynch ha dichiarato che “Inland Empire” è stato il suo ultimo film (ok, che non mi è piaciuto tanto David, ma non fare così, dai!), si potrebbe fare una lunghissima riflessione sulle sue parole, per ora posso dire che sono d’accordo con il regista: il cinema ha da tempo perso la voglia di osare. Quindi spero che la terza stagione di Twin Peaks sarà una bomba, anche solo perché oggi come oggi, i soldi, gli attori e la voglia di osare con soggetti anche radicali, si trovano più sul piccolo schermo che su quello grande, un’inversione di tendenza che è stata iniziata proprio da David Lynch con “I segreti di Twin Peaks”, questo ritorno potrebbe essere la quadratura del cerchio, in fondo lo sapevano già: quella gomma che ti piaceva tanto sta tornando di moda.