Continuiamo ad addentrarci nella selva oscura della “Spooky season”, il mese di ottobre di quest’anno che termina con il numero tre, che mi offre l’occasione per festeggiare il compleanno di un altro grande film di Mario Bava, ma non abbiamo ancora finito, il tassametro corre quindi bentornati alla rubrichetta a tema!
Il 1963 è stato un anno molto impegnato per il regista sanremese, dopo aver inventato il Giallo all’italiana, gettando le basi di questo genere amatissimo con La ragazza che sapeva troppo, Mario Bava ha pensato di inventare un altro genere, l’antologico horror! Ok, gli antologici estivano anche prima su questo non ci piove, però è innegabile che “I tre volti della paura”, noto sui mercati esteri come “Black Sabbath”, sia uno di quelli più riusciti, iconici e indubbiamente amati, come tutta la produzione di Bava, più all’estero che qui da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa, dove il regista è giustamente idolatrato solo dai fanatici del cinema horror e ignorato dal grande pubblico, ed ora, un po’ di musica abbastanza a tema!
Ogni antologico horror che si rispetti deve avere una cornice efficace, buona per fare da collante ai singoli segmenti, quella di “I tre volti della paura” si gioca una carta notevole, la presenza di un mattatore come il leggendario Boris Karloff che in quel periodo stava vivendo un periodo di ritrovava popolarità, malgrado i problemi alla schiena lavorava molto in titoli di culto come I maghi del terrore e Il clan del terrore, trilogia ideale completata proprio con il suo ruolo qui diretto da Bava, sentirlo parlare di vampiri tra di noi, che come tutti vanno al cinema aiuta a calarsi nell’atmosfera dei tre episodi, per un film che va contestualizzato un momento.
Siamo nel 1963, il Giallo all’italiana aveva proprio grazie a Bava fatto il suo esordio, ma il genere imperante era il Gotico, che in Italia chi ha portato? Sempre lui, Mario Bava, la risposta giusta a tutte le domande. “I tre volti della paura” anche per questo è un film spartiacque, oltre ad essere l’ennesima prova del talento del regista sanremese, che con questi tre episodi ha avuto un’influenza sulla cultura popolare notevole, quindi non ho troppi dubbi, da appassionato di antologici horror non posso che dare il benvenuto a questo film tra le fila dei Classidy!
A sessant’anni dalla sua uscita “I tre volti della paura” può ancora fare presa sul pubblico? Certo, anche se certe soluzioni di trama per il pubblico smaliziato di oggi possono risultare già viste, in molti passaggi questi tre episodi hanno ancora una notevole modernità oltre che un’importanza capitale a livello storico, partiamo dal primo.
IL TELEFONO
I titoli di testa di questo segmento attribuiscono la storia aMaupassant, basta una breve ricerca per trovare come autore tale F.G. Snyder, posso dire la mia? Considerando che “Black Sabbath” è stato diretto da Bava utilizzando lo pseudonimo di John Old, è molto probabile che abbia scritto tutto lui a quattro mani con lo sceneggiatore Alberto Bevilacqua, sta di fatto che “Il vecchio Giovanni” ci racconta la storia della bella Rosy (Michèle Mercier), sola a casa e perseguitata dalle telefonate anonime di un maniaco.
Il telefono, la mia croce, diceva il vecchio adagio, per Rosy sicuramente visto che il suo ex fidanzato Frank (Milo Quesada) è evaso, quindi principale indiziato come voce dall’altra parte della cornetta, la stessa che Bava trasforma in un oggetto della paura. Il telefono rosso (non di Batman) ogni volta che suona viene inquadrato in modo implacabile dal regista, unghie sulla lavagna per le nostre orecchie di spettatori, figuriamoci per la povera Rosy. Renderlo di colore rosso è una trovata che sottolinea il talento visivo di Bava, da sempre capace ad essere espressivo usando il colore, perché con il bianco e nero sono bravi tutti!
Rosy impaurita chiede aiuta alla sua “amica” Mary (Lydia Alfonsi) ed è qui che “I tre volti della paura” si rivela più al passo con i tempi di “Black Sabbath”, la versione per il mercato internazionale epurata di diversi minuti, guarda caso tutti quelli che servono a mettere in chiaro il fatto che tra le due donne ci sia un rapporto che va ben oltre la semplice amicizia, il tutto con quel dannato telefono che continua a suonare.
Questo segmento continua nel solco inaugurato proprio da Bava, la voce al telefono, l’assassino con i guanti di pelle nera, tutte trovate di cui il Giallo all’italiana si è alimentato, basta dire che il cinema di Dario Argento non sarebbe mai esistito senza quello di Bava anche per questo, siamo ancora ai semi sparsi in giro, visto che la spallata successiva l’avrebbe data, pensate un po’ chi? Proprio Bava con il fondamentale “Sei donne per l’assassino” (1964) però qui è chiaro che il nostro stia già lavorando in quella direzione rielaborano a suo modo la lezione Hitchcockiana, la lettera inquadrata, di cui noi spettatori conosciamo il contenuto, quello di cui resta all’oscuro la protagonista, è la stessa tecnica usata da zio Hitch per dare al pubblico più informazioni rispetto ai suoi personaggi, da utilizzare per creare la suspence, se ci pensate in La donna che visse due volte succedeva qualcosa di molto simile proprio utilizzando una lettera come espediente narrativo.
I WURDALAK
Altro tiro, altro giro, altro cambio di scenario e di genere, qui siamo nel campo del gotico più puro, tratto questa volta davvero da un racconto di Aleksej Konstantinovič Tolstoj del 1839), l’episodio narra della terribile sorte che incombe su una famiglia vittima di una forma di vampirismo, sdoganando per sempre il mito dei Wurdalak, anche perché prima di ritrovarli nei fumetti di Hellboy, il primo autore nella mia vita che mi ha fatto conoscere questa leggenda è stato chi? Avete capito, bisogna rispondere sempre Mario Bava.
Il segmento ha quasi la struttura della commedia della minaccia, se non fosse che c’è ben poco da ridere per la russa famiglia di protagonisti, qui Boris Karloff presta tutto il suo carisma al ruolo del padre Gorca, partito cinque giorni prima per uccidere un wurdalak turco che terrorizzava la zona, lasciando ai figli il preciso ordine di ucciderlo trafiggendogli il cuore se fosse tornato dopo la mezzanotte del quinto giorno, a quel punto per il vecchio padre sarebbe stato troppo tardi, diventato ormai uno di loro.
Come per “Il telefono”, Bava trova il modo di dilatare il tempo che sembra passare troppo presto o proprio mai, un eterno e minaccioso presente in cui grazie all’uso impeccabile della fotografia, curata da Ubaldo Terzano (storico assistente del regista) e dallo stesso Mario Bava, trasforma questo segmento in un gioiellino di uso espressivo del colore, e siamo solo all’inizio perché nel resto della sua filmografia, il regista ha saputo fare ancora di meglio creando veri momenti iconici del genere horror partendo proprio dall’uso della fotografia.
Per iniziare a parlare di influenza di questo film su tanti artisti, specialmente stranieri, va detto che Rob Zombie nel suo album “The electric warlock acid witch satanic orgy” (2016) ha dedicato un pezzo omonimo a questo segmento.
Se posso aggiungere una nota del tutto personale, nulla mi toglie dalla testa che il prologo di “A Serious Man” (2009) bellissimo e sottovalutato film dei fratelli Coen, non sia un enorme omaggio a “I Wurdalack” messo sui dai fratellini del Minnesota, ci trovo davvero troppe analogie, anche visive perché non sia più che un mio sospetto. Se incontrate Ethan e Joel in coda all’Esselunga chiedeteglielo da parte mia.
LA GOCCIA D’ACQUA
“I tre volti della paura” firmati da Bava vanno in crescendo, anche di popolarità, l’ultimo segmento, tratto da un racconto di Anton Čechov è un classico, il fantasma del morto che si vendica, niente di particolarmente nuovo, ma è la messa in scena a conquistare, la goccia d’acqua del titolo sembra un riferimento alla tortura della goccia cinese, anche perché a livello di logorio per i nervi questo episodio è il riassunto di quello che dovrebbe fare ogni buona storia horror, cuocerti a fuoco lento sulla graticola.
Helen Chester (Jacqueline Pierreux) è addetta alla vestizione dei cadaveri, qui viene chiamata urgentemente per operare sul corpo di una medium deceduta durante una seduta spiritica, con il volto ancora contratto da una smorfia di dolore che sembra un ghigno malefico. Eppure la donna pensa bene di alleggerire il cadavere di un costoso anello. Non si ruba ai morti, potrebbe tornare a reclamare il bottino!
“La goccia d’acqua” è la quinta essenza di quello che ogni racconto dovrebbe fare sempre, paura. Sessant’anni fa Bava ha spiegato al mondo che se azzecchi l’aspetto sinistro del tuo “mostro”, hai fatto metà del lavoro, James Wan, altro baviano duro e puro lo sa bene, pensate alla suora di “The Nun”, la cui unica arma per spaventare è proprio l’aspetto. Il film avrà anche sessant’anni ma questo segmento in particolare ha ancora tutto per spaventare, proprio perché lavora così bene su paure ancestrali.
Normalmente poi in un antologico Horror, la cornice deve essere ad effetto, mitica, deve imprimersi nella mente, quella di “I tre volti della paura” fa molto di più, il finale del film è proprio sulle spalle della cornice in cui Boris Karloff riprende il ruolo di Gorca e ci saluta ripetendo la scena della cavalcata. Fino qui sarebbe tutto abbastanza normale se Bava non avesse deciso di piazzare l’ultima zampata, di colpo allarga l’inquadratura rivelando il trucco, il cavallo è finto, le fresche frasche mosse dai tecnici sul set per dare un’idea di movimento, ad una prima occhiata un alleggerimento, un modo divertente per salutare il pubblico ricordando che il cinema è finzione, ideale per un film che inizia dicendoci che i vampiri potrebbero essere anche seduti in sala al cinema vicino a noi.
Ma ad un’analisi più profonda Bava fa di più, consapevole che i tempi stavano cambiando in “I tre volti della paura” porta in scena una storia di fantasmi classica, un gotico e un Giallo all’Italiana, poi nel finale sceglie di “smontare” proprio il gotico, sollevando il sipario, aprendo la scatola e mostrando il trucco, un po’ come a voler sottolineare che l’epoca del Gotico era finita, quindi dopo tanta paura, perché non andarsene con una simbolica ma liberatoria risata?
In uno strambo Paese a forma di scarpa “I tre volti della paura” non va particolarmente bene, incassa oltre cento milioni di lire, ma viene etichettato presto come un B-Movie, per venire riscoperto giustamente più avanti, ma all’estero? Potrebbe essere il singolo film di Bava con più ammiratori celebri, anche se la sua filmografia è stata omaggiata spesso dai registi americani. Tim Burton ne ha sempre cantato le lodi, gli va riconosciuto il merito di essere stato, all’apice della sua popolarità, forse il regista più amato dal pubblico a far notare al mondo il talento nell’essere espressivo usando il colore del regista sanremese, facendo cadere dal pero anche molti giornalisti italiani, spiazzati dal sentirgli citare un regista italiano sconosciuto (per loro).
Dei Coen vi ho già detto, aggiungete pure anche Raimi e Landis (da dove credete arrivi il modo di muoversi della sua Pinguina?), ma l’elenco dei registi cresciuti nel mito di Mario Bava è lunghissimo, “Black Sabbath” è un film molto più amato all’estero che qui da noi, anche se l’influenza suprema sulla cultura popolare data da questo film arriva proprio dal suo titolo per il mercato internazionale. Nel 1968 una sconosciuta ma promettente band inglese, alla ricerca di un nome per il gruppo che fosse meno anonimo di quello con cui suonava allora, ovvero Earth, pensò bene di adottare il “Sabba nero” del film di John Old come nome ufficiale, si trattava del batterista Bill Ward, del chitarrista Tony Iommi che insieme avevano assoldato un cantante piuttosto pazzo e dalla voce notevole di nome John “Ozzy” Osbourne (storia vera).
Quindi se i Black Sabbath sono identificati tra i gruppi che hanno creato l’Heavy Metal e devono il loro nome a Mario Bava, potremmo applicare la proprietà transitiva e dire che Mario bava ha creato il metallo pesante! Perché tanto lo abbiamo capito, il regista è la risposta giusta a tutte le domande, ad esempio, di chi parleremo domenica prossima? Bravi, di Mario Bava, abbiamo un altro compleanno da festeggiare, non mancate, quindi non mancate!
Sepolto in precedenza domenica 15 ottobre 2023
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