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Il bacio della pantera (1942) vs. Il bacio della pantera (1982): cat people (putting out fire)

Visto che il calendario mi è propizio, mi sembra doveroso festeggiare due compleanni in un “Versus” molto particolare, un confronto più o meno diretto tra entrambe le versioni di “Il bacio della pantera”, il titolo originale ve lo faccio cantare da un signore piuttosto bravino.

Il bacio della pantera (1942)

Se ad Hollywood producessero “biopic” come si deve, la vita di quel dritto di Val Lewton sarebbe pronta per un film: scrittore, poeta, giornalista e successivamente finito per talento e capacità di buttarsi, sul libro paga di David O. Selznick, semplicemente uno dei produttori più influenti di Hollywood, responsabile del successo di film di cui potreste aver sentito parlare come “Via col vento” (1939). A Lewton venne affidata la gestione del reparto B della RKO Pictures, che di colpo sotto la sua gestione si specializzò in horror girati a bassissimo costo, in cui l’atmosfera vinceva sul mostrato, perché quando non hai spiccioli devi tirare fuori la creatività.

Il primo dei tanti film sfornati è un manifesto, il budget non doveva superare i centocinquanta mila fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, il regista scelto per questa impresa al risparmio? Jacques Tourneur forte di parecchia gavetta che con questo film, firmò il primo di una serie di titoli destinati a diventare capisaldi del cinema horror ma non solo.

E Black Panther… MUTO!

La trama è molto più fresca e moderna degli ottant’anni sulle spalle della pellicola, perché racconta la storia di Irena (Simone Simon), disegnatrice di moda di origini serbe che intenta a ritrarre (non a caso) una pantera in gabbia allo zoo, conosce il suo futuro marito Oliver Reed (Kent Smith) che la corteggia malgrado Irena sia l’ultimo anello di una catena che la tiene incatenata probabilmente da sempre. La maledizione affonda le sue radici nella storia del Paese d’origine di Irena, secondo cui re Giovanni di Serbia avrebbe scacciato una tribù in grado di trasformarsi in pantere quando colti dalla passione più sfrenata.

Irena crede fortemente a questa leggenda, ci crede un po’ meno Oliver ma i due si sposano lo stesso, un amore platonico perché la donna non può permettersi nemmeno un bacio, ma il marito è pronto a tutto pur di aiutarla, anche a mandare sua moglie in cura da uno psicologo, il dottor Louis Judd (Tom Conway) ed è qui che la trama si complica, specialmente quando Oliver confiderà la situazione ad una collega di lavoro, Alice Moore (Jane Randolph), insomma tra moglie e marito non mettere la pantera.

Come quando sei alla fermata ad aspettare un bus che non passa mai.

“Cat people”, da noi uscito come “Il bacio della pantera” è un film basato sull’atmosfera, come molti altri di Tourneur, ci sono momenti davvero riusciti come la nuotata nella piscina, in cui le ombre minacciose fanno più paura di qualunque altro pericolo anche solo suggerito. Tourneur fa di necessità – un budget striminzito – virtù, quando Irena comincia a pedinare la sua rivale in amore Alice, il regista fa la storia del genere horror mandando in scena una tecnica che è diventata un caposaldo, avete presente tutti quei momenti in un film dell’orrore in cui la tensione sale, sembra che stia per succedere qualcosa di orribile e poi Puff! Tutto si risolve solo in una prova per le vostre coronarie? Questo stratagemma è noto come il Bus, perché prende il nome proprio dalla scena del Bus su sui Alice sale al volo, salvandosi molto probabilmente dal un’aggressione della pantera, con il rumore delle porte dell’autobus che aprendosi risuonano quasi come il verso del felino, lasciandoci nel dubbio, abbiamo immaginato tutto? Alice era davvero seguita da qualcosa? Ogni volta che i battiti del vostro cuore sono saliti di numero di colpo guardando un horror, sappiate che siete saliti a bordo di un bus guidato da Jacques Tourneur, basterebbe questo a fare del film un Classido!

Ma “Il bacio della pantera” è molto di più, per certi versi è il padre nobile di tutti gli horror in cui i protagonisti maledetti si trasformando in qualcosa di feroce, per altro raccontato da un punto di vista incredibilmente moderno, perché è chiaro che il “metaforone” sia tutto legato alla sessualità femminile, repressa, chiusa in una gabbia. Irena non può lasciarsi andare, non può concedersi la vita, anche un semplice bacio darebbe il via libera alla bestia che si porta dentro, più chiara di così la metafora non potrebbe essere no?

Irretita dagli uomini che la circondano, Irena è un personaggio incatenato da una maledizione che sarà pure una tradizione del suo Paese d’origine, ma per certi versi non è altro che quello che le donne hanno dovuto subire dall’inizio della storia, perché un uomo può ostentare le sue conquiste, ad una donna invece non è concesso, per una donna può esserci giusto la gabbia, quella dove per altro si svolgerà la scena finale del film, dove Irena si sacrificherà al suo destino per certi versi già scritto.

«Le pantere non sanno nuotare… Vero?»

“Cat people” è un film molto più moderno dei suoi ottant’anni, in cui per ovvie ragioni di età, di stile (e di censura del tempo) non può permettersi di raccontare in modo esplicito tutta la sessualità ben presente nella trama ma solo suggerita dalla storia, dimostrazione che l’horror come genere, nella sua storia ha sempre saputo inquadrare e farsi metafora dei fermenti della propria epoca. Ecco perché un altro bacio della pantera, uscito esattamente quarant’anni dopo l’originale in pieni anni ’80, era quasi doveroso.

Il bacio della pantera (1982)

Ironico che Paul Schrader su questa Bara sia un po’ l’uomo dei Versus, infatti la sua versione di “Cat people” è il frutto di una sceneggiatura già esistente firmata da Alan Ormsby, completamente riscritta dal regista che comunque, non è stato accreditato come sceneggiatore (storia vera).

Questo film che quest’anno compie i suoi primi quarant’anni è uno di quei rifacimenti che non vengono mai citati quando si parla di ottimi remake, anche perché pur restando un ottimo film, la disparità di importanza storica con il capostipite del 1942 è abbastanza impietosa per Schrader, che comunque firma un lavoro incredibile.

Miaaaaaaaoooo!

Se Jacques Tourneur poteva suggerire la sessualità della sua storia, ma beccami gallina azzannami pantera se gli era concesso di mostrare qualcosa, Paul Schrader non ha questa limitazione, sono gli anni ’80 bimba! Il che vuol dire sesso, sesso e ancora un po’ di sesso, per un film in cui la colonna sonora composta da Giorgio Moroder, da cui spicca “Cat people” cantata da David Bowie rende alla perfezione non solo lo stile del film, ma la sensualità di fondo, qui decisamente emersa in superficie.

Il torbido è venuto a galla ed è ben rappresentato dalla novità di questa versione, Paul Gallier interpretato dallo sguardo da infoiato di Malcolm McDowell è il fratello della protagonista, anche lui afflitto dalla stessa maledizione e determinato a raggirarla giocando con i limiti della stessa, la trasformazione non avviene tra consanguinei, quindi per tutto il tempo del film Paul cerca di convincere sua sorella Irena a fare sesso con lui, perché un po’ di incesto non vogliamo mettercelo per non farci mancare nulla?

La faccia di chi ha un grosso problema di maledizione per le mani (questa didascalia mi è venuta fuori inutilmente piena di doppi sensi equivoci)

Paul Schrader idealmente vendica Tourneur, mostrando tutto quello che nel 1942 non era possibile, quindi non mancano nudi maschili e femminili, ma anche le scene horror sono cariche di sesso, quando la prostituta viene fatta fuori dalla pantera, la scena di quella coda nera che spunta da sotto il letto, resta un gioiellino di tensione in un film carico di sensualità.

Alla produzione qui niente più Val Lewton per ovvie ragioni anagrafiche, ma la tradizione continua grazie ad un altro nome grosso, se non proprio enorme come quello di Jerry Bruckheimer, che prima di sfondare con “Flashdance” (1983) e Top Gun, puntava tutto sugli autori avendo prodotto già un altro film di Schrader come “American Gigolò” (1980) e uno dei primi film di Michael Mann.

In questa versione del film, Oliver che lavora allo Zoo ha il volto di John Heard, mentre la sua bella collega Alice è la rossa Annette O’Toole, una che ha sempre avuto sensualità da vendere ma che ammettiamolo, malgrado l’essere protagonista della nuova versione della scena della piscina, qui va sotto bevendo dall’idrante nei confronti della nuova Irena, anche perché la Nastassja Kinski di questo film è di una bellezza stordente, inutile girarci attorno.

«Sapete se la ragazza di prima ha avuto risposta sulla faccenda delle pantere nuotatrici?»

Paul Schrader riesce a localizzare l’origine della maledizione in un qualche non luogo che istintivamente, viene da riconoscere come una savana africana, in cui si svolgono un paio delle scene più oniriche (ed espositive) di un film che ha nella classe e nello stile uno dei suoi punti di forza, per certi versi uno di quei titoli che ha contribuito, insieme a Miriam si sveglia a mezzanotte, a portare sensualità e stile (anzi, volendo potrei spingermi a dire proprio glamour) nel genere horror.

Allo stesso tempo se Tourneur non poteva mostrare nulla, Schrader si regale anche qualche braccio staccato di netto e momenti sanguinolenti perfettamente in linea con il film, anche se è ancora una volta il messaggio a tenere banco. Anche questa versione di Irena è una donna che deve tenere a freno la sua sensualità, qui con tentazioni ancora più esposte vista la natura più carica di sensualità della pellicola.

Più sensuali di Nastassja Kinski, al cinema ne abbiamo viste pochine.

Il finale in compenso resta tragico, anzi per certi versi ancora più tragico, se nel 1942 Irena sceglieva di chinare la testa restando legata al ruolo imposto alla donna, trovando la morte in una gabbia, nella versione del 1982 il senso resta più o meno lo stesso, ma siccome questa versione del personaggio ha provato ad osare ancora di più, la sua fine risulta ancora più sofferta, eternamente chiusa nella sua gabbia, per altro da un uomo libero di poterla ammirare in tutta la sua ferale ma ammansita bellezza. Quarant’anni dopo per Irena (e le donne che lei rappresenta) molto e cambiato ma forse non quello che conta davvero, il finale.

Forse per questa ragione il 2022 sarebbe l’anno buono per un’altra versione della storia, a patto di trovare un regista capace, anche se forse una regista sarebbe la giusta e naturale evoluzione per una storia così. Per il nostro “Versus” invece non ci sono vinti, solo vincitori visto che nello scontro tra un film straordinario e fondamentale e il suo ottimo rifacimento, almeno come spettatori vinciamo tutti, auguri ad entrambe le versioni della storia e naturalmente ad Irena.

Sepolto in precedenza martedì 1 marzo 2022

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