Può sembrare una mossa fin troppo facile mettere in calendario un film di Kathryn Bigelow proprio l’8 Marzo, probabilmente lo è, ma trovo che sia giusto scrivere di una che, ancora oggi, non si è liberata dell’etichetta “Kathryn Bigelow dirige come un uomo”, quando è chiaro come la luce del sole che, al massimo, Katrina dirige meglio di molti suoi colleghi con il cromosoma Y e questo film è una delle tante prove.
Trovo incredibile come “Near Dark”, da noi tradotto con il titolo altrettanto figo di “Il buio si avvicina”, non abbia avuto il successo che merita alla sua uscita. “The Loveless” (1982), diretto a quattro mani insieme a Monty Montgomery, ha rappresentato le prove generali per il cinema di Katrina che faceva ancora in tempo a regalare un ruolo fighissimo a Willem Dafoe che, in qualche modo, anticipava anche Walter Hill (scusate se è poco).
Quindi, “Il buio si avvicina” è di fatto il vero esordio dell’allora trentaseienne Kathryn Bigelow. Incredibile che un film dove la parola “Vampiro” non viene pronunciata nemmeno una volta, sia diventato uno dei titoli fondamentali del genere vampiresco, capace di anticipare la mescolanza di genere firmata da Maestri del cinema, tipo John Carpenter, ad esempio, non proprio l’ultimo della pista. “Near Dark” è un clamoroso “piano B”, a cui Padre Tempo in trent’anni ha concesso il posto nella storia del cinema che si merita, io invece, più modestamente ma con lo stesso orgoglio, lo aggiungo alla lista dei Classidy!
Un grosso “piano B” sì, perché la Bigelow il giorno in cui distribuivano la risolutezza, è passata in anticipo e ha svuotato il banchetto, voleva fare un Western che omaggiasse il suo punto di riferimento cinematografico, il grande Sam Peckinpah, ma secondo i produttori nel 1987 a nessuno interessava un’altra storia di gente con il cappello a tesa larga, quindi l’unico modo per racimolare insieme i cinque milioni di ex presidenti defunti, stampati su carta verde del budget, era mescolare la trama con qualcosa più in voga, come l’horror.
Uscito in una manciata di cinema nell’ottobre del 1987, “Il buio si avvicina” non viene capito da nessuno e non riesce a rientrare nemmeno dei soldi della produzione, una Caporetto resa ancora più beffarda dal fatto che pochi mesi prima, Joel Schumacher aveva spaccato i botteghini con un film simile, una storia di vampiri mescolata a romanzo di formazione adolescenziale intitolato Ragazzi perduti, potreste averne sentito parlare come di un classico per almeno un paio di generazioni.
Schumacher poteva contare su giovani attori in rampa di lancio e aveva avuto l’intuizione di giocarsi la figura sensuale del vampiro, in quella terra di mezzo che sta tra l’infanzia e l’adolescenza, Kathryn Bigelow, invece, va tutta in un’altra direzione, provate a paragonare i protagonisti di Lost Boys a Homer (il vampiro eternamente bambino di questo film) e qui si trova già tutta la differenza tra i due film.
No, “Near Dark” ha una lucidità e una chiarezza d’intenti che solo una con un talento cristallino e un approccio risoluto come Kathryn Bigelow poteva già avere, se non fosse per il ruolo letale del Sole (il ragazzo palliduccio che vi scrive li capisce bene i protagonisti di questo film) e un “bacio” sul collo, a questo film manca tutta l’iconografia classica dei vampiri che, però, risultano lo stesso affascinanti e pericolosi, liberi di girovagare come i motociclisti di “The Loveless”, ma molti simili ai surfisti ribelli e fuori dal sistema di Point Break.
La storia è la più vecchia del mondo, vecchia quanto un vampiro, anzi è LA storia, quella che esiste da quanto esiste il cinema, forse prima: un ragazzo incontra una ragazza.
Quel ragazzo qui si chiama Caleb Colton (Adrian Pasdar) nome biblico di chi è predestinato a sfighe mai finite e quando lo conosciamo un po’ di quelle sfighe se le merita pure, visto che è un cafonazzo che cerca di far colpo con le peggio frasi da broccolamento, quelle prese dal manuale “Come farsi schiaffeggiare da una donna”. La ragazza, invece, merita: biondina diafana e più che guardabile di nome Mae (Jenny Wright), una specie di Cenerentola che anzichè dover correre a casa a mezzanotte, deve farlo quando sorge il sole. Nel corri corri, alla fine Caleb con i suoi modi da contadinaccio, un bacio lo porta anche a casa, solo che è un bacio sul collo che gli cambia la vita per sempre.
Per il ragazzo il mondo diventa improvvisamente diviso in due, due metà distinte e molto ben separate, se prima non c’era per lui grossa differenza tra giorno e notte, ora la luce del giorno può ucciderlo e arrostirlo stile barbecue, l’unica opzione che gli resta è abbracciare la notte, perché ormai con il mondo che si muove alla luce del sole, lui non ha più nulla a che spartire. Diventa chiarissimo quanto cerca di tornare a casa dal padre e dalla sorellina Sarah e quasi muore bruciato nel tentativo, ma ancora di più alla stazione degli autobus, dove uno sbirro gli allunga tre dollari per sparire, come se fosse l’ultimo dei drogati. Fine della spocchia per Caleb, un bagno di umiltà di quelli che non si dimenticano.
Sapete come dicono, no? Che quando sposi una ragazza, sposi anche la sua famiglia e quella di Mae è abbastanza particolare, trattandosi della storia più vecchia del mondo, dopo che un ragazzo ha incontrato una ragazza, ora tocca farsi accettare dai suoi ed entrare idealmente nel “clan” che, poi, è quello che interessa davvero raccontare a Kathryn Bigelow.
Molti dei personaggi raccontati al cinema da Katrina, sono attratti e allo stesso tempo provano repulsione per l’ambiente in cui si ritrovano e molto spesso sono vittime di un’ossessione (molte volte di natura amorosa) che sfocia in una dipendenza, dettaglio che non può essere più chiaro di così in questo film. Caleb che ha perso il suo posto nel mondo, dipende completamente da Mae che, infatti, deve nutrirlo facendogli bere il suo sangue dal braccio, in una scena che Kathryn Bigelow sottolinea inquadrando le trivelle per l’estrazione del petrolio, in azione sullo sfondo dietro ai protagonisti, per essere più chiari di così, avrebbe dovuto sostituire per un momento, all’ipnotica colonna sonora elettronica dei Tangerine Dream, un pezzo come “Vampire blues” di zio Neil Young.
La distinzione tra il giorno e la notte per i personaggi del film è nettissima, non può essere altrimenti quando sei un vampiro, ma la scena con cui Caleb si guadagna la fiducia della sua nuova famiglia è puro western e cosa c’è di più western di un assedio? Con i protagonisti barricati dentro e la polizia fuori, tutto scandito a colpi di pallottole e rallenti che dimostrano che Katrina, meglio di tanti altri, ha assimilato la lezione del cinema di Sam Peckinpah. Una scena fantastica, dove la Bigelow fa un lavoro impeccabile, coadiuvata dal direttore della fotografia Adam Greenberg (quello di Terminator), dove a ferire i protagonisti non sono tanto i proiettili, quanto la luce solare che filtra dai buchi delle pallottole, se fossi uno di quei critici cinematografici seri, dovrei dare una boccata alla pipa, sistemarmi gli occhiali e parlarvi di qualcosa tipo compenetrazione tra generi e altre fesserie simili, ma ho già scritto “assedio”, “pallottole” e “vampiri”, davvero non serve altro per godersi un film.
Nel cinema di Kathryn Bigelow la distinzione tra buoni e cattivi non è mai netta, come quella tra il giorno e la notte di “Near Dark”, per la regista la famiglia di vampiri a cui appartiene Mae sono ribelli fuori dal sistema, ma schiavi di una vita che li costringe a stare ad orario peggio di un impiegato pubblico con il cartellino da timbrare. Katrina contamina l’archetipo del vampiro con elementi western, lo fa con la regia che punta all’orizzonte, tutta campi lunghi e grandi spazi, ma soprattutto con i personaggi che sono decisamente il punto di forza di “Il buio si avvicina”.
Per anni il cast del film si è detto pronto a tornare ad interpretare il rispettivo personaggio, non solo per l’alchimia creata tra di loro sul set, ma anche perché la storia, scritta dalla stessa Bigelow e da Eric Red (quello di un’altra cosina notevole come The Hitcher), ha fornito loro anche tutto il passato dei personaggi che nel film non viene minimamente raccontato, ma che possiamo intuire ed è proprio quello con qui Katrina lega a filo doppio il suo film con il genere western.
Jesse e Diamondback, interpretati rispettivamente da due miti (Lance Henriksen e Jenette Goldstein), sono idealmente papà e mamma di questo gruppo di pazzoidi, tra cui spicca Homer (Joshua John Miller) morso da un vampiro quando era ancora bambino ed eternamente destinato a restare tale nel corpo, ma non nelle mente, la versione senza l’ombra di divertimento di quello che diceva Baby Hermann in Chi ha incastrato Roger Rabbit, anzi, un vero dramma per il personaggio, che il film ci racconta con di fatto, una sola riga di dialogo, ma così efficace da giustificare tutti i comportanti di Homer fino ai titoli di coda, scusate se è poco.
Jesse Hooker, in particolare, è il personaggio che più di tutti ci ricorda che questo film è principalmente un western, il suo aspetto e il modo di vestire lo mettono bene in chiaro, al resto ci pensa, anche qui, una singola frase che riassume tutto il passato del personaggio «Mettiamola così, ho combattuto per il Sud. Abbiamo perso». Riesce ad essere l’indiscusso leader di una tale banda di gatti senza collare, praticamente solo con il carisma che, poi, è quello dell’attore che lo interpreta, Lance Henriksen (applausi grazie!) che pare abbia avuto anche qualche disavventura con la polizia locale, quando si è dimenticato di uscire dal personaggio (e di togliersi il costume di scena) rischiando quasi di passare la notte al fresco (storia vera).
Di carisma devi averne a quintali quando attorno a te ci sono personaggi raccomandabili come il mitico Severen, un gentiluomo che si esprime con alcuni dei più coloriti insulti voi abbiate mai sentito, interpretato da un altro mito, il grande Bill Paxton. Come un vero cowboy va in giro con gli speroni che per lui sono un simbolo importante, tanto che ne regala uno a Caleb quando il ragazzo salva le chiappe a tutti durante la scena dell’assedio.
Paxton si mangia il film ogni volta che ne ha l’occasione, solo Lance Henriksen può permettersi di tenerlo a bada e quando è libero di scatenarsi, Paxton lo fa sul serio, come nella scena del massacro del bar, quella che sta ai vampiri di questo film, come la rapina in banca stava alla banda degli ex presidenti di Point Break, la scena in cui Kathryn Bigelow mette in chiaro che i suoi vampiri, sono diretti discendenti dei banditi dei film western.
Sulle note cadenzate e ben ritmate di “Fever” dei The Cramps va in scena un massacro, ma anche uno dei momenti più alti della carriera di Bill Paxton, il suo Severen entra dritto sparato nella classifica dei più fottuti pazzi che si siano mai visti al cinema e con tutto il rispetto per Joe Gilgun che lo interpreta alla grande nella serie televisiva, per me Bill Paxton e il suo Severen, sono il miglior adattamento del Cassidy di Preacher che si sia mai visto fuori dal fumetto di Garth Ennis e Steve Dillon in cui è stato creato. E se ve lo dico io, potete crederci.
L’intuizione di utilizzare buona parte del cast di Aliens – Scontro finale, per i vampiri di Near Dark è arrivata da un altro che a talento e tostaggine è sempre stato bene messo, James Cameron che non era ancora diventato l’ex signor Bigelow (i due sono stati sposati dal 1989 al 1991 ed immagino che a casa non si tirassero i piatti, probabilmente di prendevano direttamente a revolverate nel salotto), ma già si aggirava nella zona delle operazioni e, per fortuna nostra, lo avrebbe fatto almeno per un altro film piuttosto notevole di Katrina che una volta di queste dovrei proprio decidermi a commentare. Ma tra un film e una causa di divorzio, i due hanno trovato il tempo anche di collaborare tutti insieme ad un video musicale che sembra davvero il punto di equilibrio tra Aliens- Scontro finale e “Il buio si avvicina”, se non altro per i nomi coinvolti.
Ma se l’idea del casting assemblato per risparmiare sul già esangue budget è di Cameron, il resto è tutta farina del sacco di Kathryn Bigelow che in quello che, di fatto, era il suo film d’esordio, aveva già chiaro in testa molta della poetica del suo cinema. Molti storcono il naso per il finale del film, da tanti considerato quasi un lieto fine, sicuramente troppo zuccheroso per la media dei film horror con i vampiri.
Invece, secondo me, è assolutamente azzeccato nel suo demolire un altro cliché del genere e poi è estremamente coerente, il più delle volte le storie che iniziano con un ragazzo che incontra una ragazza, terminano con loro che riescono a trovare il modo di stare insieme, come accade qui, ma di lieto io non ci trovo un bel niente, perché “Il buio si avvicina” fa abbracciare la notte e i suoi abitatori anche a noi, grazie a quella divisione non netta tra buoni e cattivi, si finisce per affezionarsi anche a Jesse, Diamondback e Homer che nel finale, insieme a Caleb e Mae sono tutti destinati ad affrontare un’ideale cavalcata verso il tramonto al contrario (che infatti è un’alba) che sarà pure un ribaltamento di fronte per un horror ma resta tipica del genere Western.
Il finale diventa una triplice corsa contro il tempo verso la salvezza oppure la morte, in cui amore e dipendenza dei personaggi la fa da padrone, Homer per inseguire la sua Sarah preferisce le fiamme all’alternativa di essere ancora solo, mentre Jesse e Diamondback muoiono insieme mano (nella mano) sul volante cavalcando verso l’orizzonte come i pistoleri che, in realtà, sono.
Un controllo totale dei generi, tra horror, western e azione che risulta perfettamente bilanciato ed ancora notevole anche a trent’anni dalla sua uscita, il tempo alla fine ha dato ragione a Kathryn Bigelow, quasi nessuno ha saputo mostrare luce e buio, horror e western come ha fatto lei, visto “piani B” venuti fuori ben peggio di così in vita mia.
Sepolto in precedenza venerdì 8 marzo 2019
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