Vedete, il mondo si divide in due categorie: ci sono le pietre miliari del cinema e gli altri film. Quello di oggi è una pietra miliare. Benvenuti al nuovo capitolo di… Un Mercoledì da Leone!
“Il buono, il brutto, il cattivo”. Non ci sarebbe da aggiungere altro ad un film che è perfetto ed iconico fin dal titolo che la leggenda vuole sia comparso in sogno al co-sceneggiatore Luciano Vincenzoni, piacendo così tanto a Leone da sostituire il ben più quotato fino a quel momento “I due magnifici straccioni” (storia vera).
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Adesso mi è chiaro perché la chiamano “trilogia del dollaro”. |
Qui le versioni differiscono, il co-sceneggiatore Vincenzoni, lo sceneggiatore (non accreditato) Sergio Donati e, ovviamente, Leone mettono su un ideale “Triello” in cui ognuno ha il merito di qualcosa, ma Leone alla fine come Eastwood se ne va con i soldi. Tirando le fila pare che il soggetto di base (tre mascalzoni che corrono dietro ad un tesoro sullo sfondo della Guerra Civile) sia stato quello con cui Vincenzoni ha idealmente “venduto” il film agli Americani, ma Sergio Leone lo ha trovato subito entusiasmante, perché poteva finalmente far valere le ore di studio e tutti i libri collezionato sulla Guerra Civile americana, anche se, a dirla tutta, ad esaltarlo di più erano i tanti ritratti di presidenti defunti su filigrana, con quelli Leone poteva fare il suo film e scegliersi gli attori senza alcuna limitazione.
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L’ossessione di Leone per i treni, trasformata in perfetta ricostruzione storica. |
Per il cast Sergio non ha dubbi: Lee Van Cleef sarà il cattivo Sentenza. L’attore che nel frattempo era diventato grande amico del regista è stato ben felice di accettare la parte, anzi, scherzando sul fatto che in quasi tutti i suoi precedenti Western il suo personaggio terminasse sempre il film morto, Van Cleef era convinto che dopo averlo lasciato vivo in Per qualche dollaro in più, ora Leone volesse completare l’opera. La scena più difficile da girare per Lee Van Cleef in questo film? Lo schiaffo alla prostituta per convincerla a parlare, per sua ammissione due cose Van Cleef non avrebbe fatto mai per questione di principio: prendere a calci un cane e picchiare una donna (storia vera). Eppure, è il più grande cattivo tra tutti i cattivi della settima arte, magia del cinema.
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«Vedete, il mondo si divide in due categorie: chi si rimette il poncho, e chi divorzia per mettersi con Sondra Locke» (Wa wa waaaa… Il buono) |
Per il ruolo del brutto, Leone sa benissimo quello di cui ha bisogno, per il regista Tuco è il personaggio che rappresenta tutte le contraddizioni dell’America, un po’ come sarebbe stato in futuro Cheyenne (prossimamente su queste Bare), ma Gian Maria Volonté (che a Leone è sempre piaciuto sì, ma il giusto) lo avrebbe reso troppo nevrotico, il regista vorrebbe qualcuno di più chapliniano anche se nella sua testa, ci sono sempre I Magnifici Sette e, quindi, anche Charles Bronson andrebbe bene, se solo l’attore non fosse già in Inghilterra a girare un altro titolo da niente, Quella sporca dozzina.
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Alcuni Eli Wallach passano dalla porta, altri dalla finestra (Wa wa waaaa… Il brutto) |
Leone e il suo inglese abbozzato, contro Eli Wallach che non parla italiano. I due si trovano a metà strada comunicando in francese, «Ti voglio nel mio film western italiano» (che non ho idea di come si dica in francese) e per convincerlo non gli fa vedere uno dei suoi film precedenti, no, gli fa vedere solo i titoli di testa di Per qualche dollaro in più, bastano, perché Wallach parte prima per Roma e poi tutti insieme nel deserto spagnolo, prossima tappa: la storia del Cinema!
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Vado, metto i titoli di testa del film e torno (quasi-cit.) |
“Il buono, il brutto, il cattivo” è il film che conoscono anche quelli che in vita loro non hanno mai visto un film (poveretti), ha tutte le caratteristiche dei due western precedenti di Leone, ma spinte al massimo, ampliate tanto da diventare pura epica, è lo Spaghetti-Western definitivo, talmente grande da essere considerato il miglior film della categoria, ma anche (è giustamente!) cinema allo stato puro. Ho avuto modo di vedere tutti i film di Leone anche al cinema dopo aver consumato le vhs per tutta l’infanzia, tutti tranne “C’era una volta il west” (1968), perché era una proiezione con Claudia
Cardinale in sala, quindi, il cinema era pieno di giornalisti. Era il 2006 me lo ricordo perché c’erano i mondiali di uno sport minore che agli Italiani piaciucchia, mio padre ed io avevamo cose ben più importanti da seguire e mentre tutti si tappavano in casa a vedere la partita noi uscivamo per andare al cinema. Le proiezioni erano gratuite e le sale quasi mai piene, tranne per uno spettacolo, per “Il buono, il brutto, il cattivo” la sala era piena come se fosse un film appena uscito (storia vera).
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Come mi riduco io, se resto sdraiato al sole per più di cinque minuti. |
Esperienza unica, perché il film qualche volta in vita mia devo anche averlo visto (giusto un paio), ma sul grande schermo, con persone che sentono quella battute micidiali ridendo di gusto per la prima volta, quello è il posto dove questo film e tutti quelli di Leone dovrebbero stare. Anche se io la prima volta l’ho visto altrove, nello specifico in soggiorno sulla tv di casa un pomeriggio della mia piccolezza, entro nella stanza e mio padre sta facendo solo lui sa cosa, smontando e rimontando cose come da sua abitudine con Leone in tv come sottofondo. Io avevo… Non so… Cinque anni? Sei? «Cos’è?» chiedo, «Il buono, il brutto, il cattivo» mi risponde il signor Cassidy senior impegnato a smontare cose. Mi dimentico tutto (chi sono, dove sono) e resto ipnotizzato in piedi davanti alla tv, la scena è quella del «Ehi tu, lo sai che la tua faccia somiglia a quella di uno che vale duemila dollari?», «Già… Ma tu non somigli a quello che li incassa…». Non so chi sia quel tipo alto, biondo, dietro mezzo sigaro che parla poco, so solo che io non avevo mai visto niente di nemmeno paragonabile in tutta la mia vita: l’intensità degli sguardi nei primi piani, quei volti che sembrano il monte Rushmore con rughe profonde come il Grand Canyon. Avevo già visto dei film, ma questo era un’altra cosa, il biondo spara e stende tutti sullo schermo, a me, invece, becca al cuore (… E Ramòn muto!), ci sono stati, per fortuna, altri momenti di potenza comparabile nella mia vita, ma nessuno così: in quell’istante ho capito che questa cosetta chiamata Cinema era un po’ più di un modo per passare del tempo. Se sono qui a blaterare su questa Bara ancora oggi è perché in quel momento mi sono innamorato del Cinema. Batman è nato in un vicolo dopo una proiezione di Zorro, io nel soggiorno di casa mia con un film di Sergio Leone. Cassidy – Anno uno. Anche il logo rosso qui sotto è nato quel giorno.
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Al lavoro ho un maiale di gomma anti-stress, sapete come si chiama? Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramirez, detto il porco (storia vera e anche cit.) |
Ci sono tre cannonate che scoppiano nei titoli di testa del film e le cannonate saranno fondamentali anche nella storia, ma prima bisogna presentare i tre vertici del triangolo di Leone. Tuco, il brutto (Eli Wallach) entra in scena con un cosciotto di pollo in una mano, un revolver nell’altra e un ringhio che lo rende ancora più brutto, come conferma la scritta a caratteri rossi che compare maestosa sullo schermo.
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Il guaio è che quando uno mi paga gli porto sempre a termine il post (Wa wa waaaa… Il cattivo) |
Quando ci aspettiamo anche la scritta “Il buono”, Leone ci prende per il naso e sposta in avanti l’attesa, inizia a far interagire i personaggi e a farli collaborare tra loro («Il mondo è diviso in due, amico mio: quelli che hanno la corda al collo e quelli che la tagliano»), in modo che la presentazione del Biondo (Clint Eastwood) sia ancora più potente, puro cinema.
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«Hai visto questo quanto è grosso?» , «Si, è quello che devi marcare tu» |
Se la presentazione del trio arriva dai capitoli precedenti della “trilogia del Dollaro”, a risultare ancora migliore è il ritmo, “Il buono, il brutto, il cattivo” è un insieme di scene madri una via l’altra, dove i protagonisti compongono la coppia da “Buddy movie” definitiva, il modello su cui sono stati forgiati tutti i 48 Ore e gli Arma Letale del mondo, due opposti anche a livello fisico, costretti a collaborare per forza, uno conosce il nome del cimitero, l’altro il nome delle tomba in cui scavare, le loro dinamiche si traducono in centro battute, “frasi maschie” e scambi che sono mitici e soprattutto fanno ridere, ma ridere forte, impossibile sceglierne solo uno, dovessi farlo punterei sul poco quotato «Ci ri, rivedremo, id, idi…», «Idiota. É per te». Commedia allo stato puro, ma dovete solo scegliere, i momenti umoristici nel film sono efficaci quanto le parti epiche.
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Biondo e Tuco – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare i buddy movie. |
Forse la parte che viene universalmente considerata meno riuscita (perché per esigenze narrative rallenta doverosamente il ritmo) è la scena del ponte, con i soldati blu da una parte e i grigi confederati dall’altra, attorno ad uno stramaledetto ponte che persino l’ufficiale Nordista di Aldo Giuffré che dovrebbe difenderlo, ormai odia. Alla pari del campo di prigionia di Berkley dove la struggente “Morte di un soldato” di Ennio Morricone è la perfetta colonna sonora, la scena del ponte è un anticipo dei gesti di rivolta che arriveranno nei film successivi di Leone (e in questa rubrica, non vedo l’ora) e una delle volte in cui il cinema ha riassunto meglio quanto la guerra possa essere senza senso, la prima volta che ho visto la scena del ponte, scritta da John Milius per “Apocalypse Now” (1979) ci ho ritrovato dentro gli echi di “Il buono, il brutto, il cattivo” perché Leone era il regista + preferito dei vostri registi preferiti e questo film materiale di studio. Più avanti ci torniamo.
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Fun Fact: Per girare (per la terza volta) questa scena Leone, voleva i due attori ancora più vicini all’esplosione, ma già così Eastwood ha rischiato la decapitazione (storia vera). |
L’occhio benevolo di Sergio Leone con cui guarda i suoi due “Magnifici straccioni” è piuttosto chiaro: Tuco è il punto di vista di noi spettatori sugli eventi, l’uomo normale in mezzo a due icone viventi come Clint Eastwood e Lee Van Cleef (infatti nel duello finale, chi è quello con la
pistola scarica?). Ancora più chiaro è che le simpatie del regista vadano tutte per il Biondo e come un demiurgo interviene per ben due volte a salvarlo attraverso un deus ex machina, il primo rappresentato da un colpo di cannone (come nei titoli di testa del film) che gli evita il cappio vendicativo di Tuco, il secondo con la rivelazione di Bill Carson, un personaggio di cui noi spettatori (attraverso le indagini di Sentenza) sappiamo già tutto, ma che Tuco e il Biondo si vedono piombare tra capo e collo come un vero deus ex machina che mette i due personaggi (quasi) sullo stesso piano, perché il nemico del mio nemico mio amico, oppure ancora meglio «Io dormirò tranquillo perché so che il mio peggior nemico veglia su di me».
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«Sergio ma siamo sicuri con questa?», «Tranquillo Clint, ti preparo per girare impiccalo più in alto» |
Quando Leone torna a propendere per uno dei suoi personaggi, è proprio quando il Biondo trova il suo caratteristico Poncho (ve lo avevo detto che sarebbe tornato) e con lui un cannone, proprio come nei titoli di testa, questo è il momento in cui il personaggio di Clint Eastwood è in pieno controllo della situazione e lo sarà fino alla fine del film, una mossa che John Carpenter ripeterà identica con il suo personaggio più famoso, usando la pallacanestro al posto delle cannonate. In un film in cui le immagini dirette da Leone e la musica di Ennio Morricone sono legate e inscindibili, ci vuole un pezzo musicale gigantesco per sottolineare l’epico finale in arrivo.
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L’importanza della musica al cinema, in un’unica, grandiosa scena. |
Sergio Leone da grande maestro di cinema quale era, sapeva benissimo che quello era il momento chiave del suo film e non trovando in giro per la Spagna un cimitero che fosse identico ai suoi bozzetti, ne fece costruire uno dal suo scenografo, Carlo Simi che era un architetto che Leone fece entrare nel mondo del cinema, ma aveva un problema: era un pochino sordo, quindi non solo ha dovuto tener testa all’ossessione per il dettaglio di Leone, costruendo centinaia di tombe tutte diverse una dall’altra, ma sul set i loro siparietti erano notevoli: «Carlo fammele un po’ più sorte quelle tombe», «Che? Le vuoi più grosse?», «STORTE! Ho detto storte», «E non urlare ti sento!», tutto così.
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«Ok, adesso bisogna solo capire quale di queste è la Bara Volante» |
Livello di dettaglio che non sentiva ragioni, pur di avere un vero scheletro umano dentro la tomba, Leone costrinse tutti a fare i salti mortali, fino a trovare una signora di Madrid, attrice in vita e morta lasciando tra le sue volontà nel testamento di continuare a recitare anche dopo la sua dipartita (storia vera). L’ultima scena lei (meglio, le sue ossa) l’ha girata con Wallach, Van Cleef e Eastwood, diretta da Sergio Leone in un capolavoro, ho visto carriere cinematografiche finire peggio di così!
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Signore, signori, vi presento il Cinema. Quello migliore in assoluto. |
So benissimo perché questo film mi colpì così tanto da bambino: ok, è una pietra miliare della storia del cinema, il che di solito aiuta parecchio. Ma il segreto è proprio nel modo di narrare del Maestro Sergio Leone, uno che con questo film ha portato a livelli paradisiaci la sua capacità di l pensare alle scene, non partendo dalle parole della sceneggiatura, ma già dalle immagini dettagliate con cui avrebbe poi raccontato la storia sul grande schermo. Il cinema di Leone non è mai verboso, i dialoghi mitici e divertenti
sono un aggiunta, il suo enorme talento era utilizzare anche il più infinitesimale dei dettagli per arrivare a raccontare per immagini, facendo cinema grande, enorme, il più grande di tutti.
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Se questa non è una delle inquadrature più leggendarie della storia del cinema, mi mangio il cappello e anche gli stivali! |
Musica e immagini che s’intrecciano in maniera indelebile, in un film pieno di scene madri, anche quella finale è meravigliosa perché riassume tutto: è una battuta che fa ridere, ma allo stesso tempo racconta alla perfezione due grandi protagonisti opposti in tutto, inoltre sfuma in una frase memorabile, perfetta unione di cinema e musica. La finisco qui, prima di andare troppo per le lunghe, non voglio vedervi corrermi dietro urlandomi: «Ehii Cassiiiidy… Lo sai di chi sei figlio
tuuu? Sei il figlio di una grandissima puttaaahaaah ahh! Waaaa waaa waaaa».