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Il figlio di Chucky (2004): we’re a happy family (me, mom and daddy)

Se il Re Leone ci ha insegnato qualcosa è quella roba sul cerchio della vita, dopo aver trovato una compagna ed essersi sposato, ora al nostro assassino in salopette preferito tocca il passo successivo, tutto questo nel nuovo capito della rubrica…  Vieni a giocare con Chucky!

La sposa di Chucky è un vero successo, non solo è il primo film dopo il capostipite della serie a portare a casa un sacco di ex presidenti defunti stampati su carta verde, ma è anche il capitolo che dona da solo nuova linfa a tutta la saga, anche se spudoratamente comico, resta un film così buono da richiedere subito un capitolo successivo, anche perché l’ultima scena del film precedente, era una bella promessa per il futuro che, però, richiede parecchio tempo per concretizzarsi sul serio.

La Universal non pare troppo interessata a portare avanti le bislacche idee di Don Mancini e non si trova nemmeno un regista a cui affidare il tutto, quindi il papà di Chucky decide di fare il grande salto e proprio con “Seed of Chucky” esordisce anche alla regia, il tutto prodotto questa volta dalla più modesta Rogue Pictures e questo spiega come mai buona parte del film sia stato girato in Romania, per contenere i costi di produzione che si attestano, comunque, attorno ai 12 milioni di ex presidenti defunti ritratti su foglietti verdi, non pochissimi anche se il risultato finale, beh… Lascia un po’ a desiderare tutti.
Ecco cosa pensa Chucky dei vostri Babbi Natali appesi fuori dai palazzi.
Jason Flemyng, attore che avete visto da parecchie parti (ha lavorato anche con Romero), qui nel film fa una piccolissima parte, è un Babbo Natale che viene ucciso all’inizio della pellicola. Beh, l’attore è arrivato a dichiarare che di tutta la sua filmografia, l’unico film che vorrebbe cancellare è proprio questo e parliamo di uno che ha recitato anche in “La leggenda degli uomini straordinari” (2003)… No, giusto per darvi un’idea di che aria doveva tirare sul set. I titoli di testa ci danno già un’idea della direzione presa dal film, degli ehm, spermatozoi nuotano verso un feto di plastica, con tanto di scritta “Made in Japan” sul polso, onestamente sembra di stare guardando l’inizio di “Senti chi parla” (1989), in realtà, è più che altro “Senti Chucky che parla”, ma per questa ringraziate la mia Wing-Woman, è lei l’autrice. Non sono mica solo io a fare battutacce in famiglia, eh?
«Maschi, tutti uguali. Solo capaci di fregarci le battute migliori»
Ma dopo questi strambi titoli “Il figlio di Chucky” inizia davvero alla grande, nella prima scena Don Mancini dimostra di saperci davvero fare, se tutto il film fosse rimasto sui livelli dei primi minuti, sarebbe stato una bomba bisogna dirlo! Un’odiosa famigliola borghese, scarta una bambola che scopriamo essere orribile solo dalla reazione sulle loro facce, perché come spettatori, assistiamo a tutta la lunga sequenza dal punto di vista della bambola e sì, se pensate che tutto questo sia un grosso omaggio di Mancini alla scena di apertura di Halloween – La notte delle streghe di John Carpenter, ci avete azzeccato!
«Ma cos’è questa roba? Non potevamo essere uccisi di Michael Myers come tutte le famiglie rispettabili?»
Uno ad uno questa perfida nuova bambola uccide tutti i componenti della famiglia, senza negarsi nemmeno di uccidere la madre (Stephanie Chambers) sotto la doccia, perché Mancini trova anche il tempo per strizzare l’occhio a “Psycho” (1960) di zio Hitchock, che è sempre cosa buona e giusta. Il tutto per risolvere la scena con il classico espediente da film horror del sogno, in realtà questa lunga fantasia omicida è solo l’inconscio del povero ehm, faccia di merda, come si definisce lui stesso, il figlio di Chucky e Tiffany, rapito dal cimitero dov’è nato a portato nella vecchia Inghilterra da un trucido aspirante ventriloquo che sfrutta la sua capacità di parlare per farsi un nome.
Proprio grazie alla scritta “Made in Japan” sul polso (ma le bambole Good Guys non erano fatte a Chicago, come abbiamo visto anche nel secondo film? Don Mancini deve aver momentaneamente perso la memoria), Faccia di merda capisce che i suoi genitori sono niente popò di meno che, Chucky e Tiffany, morti sì alla fine del precedente capitolo, ma resuscitati grazie alla magia del cinema, sì, perché ad Hollywood stanno girando un film sulle loro vite e i loro massacri. Risultato: il ragazzo porta il suo ehm, bel faccino a Los Angeles, volando sulla mappa con tanto di linea rossa in puro stile areoplanino di Indiana Jones ed occhio perché le citazioni cinematografiche sono appena iniziate!
Papà non era uno splendore, ma tu ragazzo sei bruttino forte!
Spedito in una cassa e armato dell’amuleto noto come il Cuore di Damballa, il ragazzo riporta in vita le due bambole inanimate con le fattezze dei suoi genitori, utilizzate nel film e iniziano ad uccidere tutti, a partire dal tecnico degli effetti speciali, se vi sembra che il film sia entrato in piena fase metacinematografica, bravi! Perché lo stesso Don Mancini ha dichiarato di essersi ispirato a “Nightmare nuovo incubo” di Wes Craven per questo film.
L’attrice Jennifer Tilly veste i leopardati panni dell’attrice Jennifer Tilly.
Quindi nel film, Jennifer Tilly non solo doppia in originale la bambola Tiffany, ma interpreta anche la parte dell’attrice Jennifer Tilly, sempre più in carne e in difficoltà a trovare ruoli, la nostra non manca di snocciolare battute al vetriolo contro le colleghe, accusate di essere più famose di lei solo perché più propense ad andare a letto con i registi di turno. Weinstein non ha mai prodotto un film della saga della bambola assassina, vero? No, ok, era solo una verifica la mia, andiamo tranquillamente avanti.
«Capisci Jenny, tu sei la protagonista, io il regista…» , «Troppo metacinematografico Don, davvero troppo»
Da qui entra in scena Redman, che da quanto capisco dal film è un cantante Rap (ne capisco di Rap come di fisica quantistica, anzi forse di meno), che nel suo unico momento comico è riuscito ad affermare di voler fare un film sulla vergine Maria, salvo poi provare ad infilarsi nelle mutande della Tilly per darle la parte. Pare che Don Mancini abbia chiesto a Quentin Tarantino di venir giù ad interpretare il personaggio, solo per ricevere un poderoso «NO» e doversi accontentare del cantante Rap prestato alla parte, pensare che Mancini ha dichiarato di aver scritto il personaggio pensando proprio a Tarantino e chissà perché ha rifiutato con tutte queste lusinghe!
Evidentemente a Tiffany non piace la musica del Wu-Tang Clan.
Quello che, invece, Mancini ha ottenuto, è di avere il mitico regista John Waters, nella parte del paparazzo ficcanaso, Waters a differenza di Tarantino ha accettato di buon grado, in quanto da sempre appassionato di Chucky (storia vera). Ecco, forse con la presenza del regista di cosine come “Pink Flamingos” (1972), “Polyester” (1981), “Grasso è bello” (1988) e “Cry Baby” (1990), di quello che è ancora considerato il padrino di tutto il cinema oltraggioso, al limite del blasfemo e, in generale, del fin troppo abusato termine “Trash” (che io odio, perché non vuol dire nulla, ma viene usato a caso), Mancini potesse legittimare tutto.
«No. No, no no. Questo è davvero troppo anche per me»
Sì, perché se i primi cinque minuti di “Il figlio di Chucky” sono la prova che Mancini quando vuole è un regista capace, gli altri 80 minuti del film sono la dimostrazione che a Don Mancini importa principalmente di fare un gran casino, divertirsi con ogni genere di scemenza che gli passa per la testa e qualche omicidio qua e là.
Infatti, “Seed of Chucky” diventa un discreto casino a partire proprio dal protagonista, il titolo del film annuncia a lettere cubitali che qui vedere “Il figlio di Chucky” che poi, purtroppo, si perde per strada. Questo ragazzino di plastica che di se stesso sa solo di essere orfano, di essere uno sgorbio e di esser giapponese, è un personaggio con cui è facile provare empatia, anche se è brutto come il lunedì mattina al lavoro. L’idea di un personaggio buono che a contatto con la sua vera famiglia, non solo si fa venire un vistoso tick alla palpebra (come lo capisco!), ma diventa progressivamente malvagio, è molto interessante, peccato che Mancini per lui (o lei) abbia altre idee.
«Vorrei vedere voi con due serial killer come genitori!»
Tipo renderlo un personaggio sessualmente confuso che, con tanto di citazione (vi avevo detto che in questo film sarebbero state tante, no?), si fa chiamare sia Glen che Glenda, strizzando l’occhio al film omonimo di Edward D. Wood del 1953. Ma diciamo che l’ormone libero è un po’ la caratteristica di questo capitolo, perché dopo aver momentaneamente perso di vista il personaggio di Glen/Glenda, Mancini decide che Chucky deve figliare a tutti i costi, in modo che tutti insieme, Chucky, Tiffany e il loro figliolo sessualmente confuso, possano prendere possesso dei corpi di Jennifer Tilly, Redman e del figlio nato dall’attrice una volta inseminata con… Beh, diciamo i protagonisti dei titoli di testa del film, gentilmente offerti da Chucky.
Risultato? Mettiamola così: la scena di Chucky alle prese con il suo “Legnetto novità” come avrebbero detto gli Elio e le storie tese, è una di quelle cose che uno non vorrebbe mai dover vedere nella vita. Non aiuta nemmeno che Chucky per avere, diciamo, uno stimolo, snobbi le riviste di signorine in lingerie e si getti direttamente sull’ultimo numero di Fangoria, trovata simpatica, ok, ma se vogliamo anche questa, un minimo metacinematografica, se mi passate la frecciatina.
«Fangoria! La rivista più bella del mondo, oh sì!» (chi dimentica è complice)
“Il figlio di Chucky” alterna comicità di grana, diciamolo pure, piuttosto grossa, ad alcuni omicidi non male, ad esempio, Chucky elimina John Waters con l’acido solforico, ma si diverte anche andare fuori strada Britney Spears (in realtà l’attrice Nadia Dina Ariqat che la interpreta) al grido di «Oops! I did it again».
Bisogna dire che Redman, anche se ucciso malamente, risulta un vuoto pneumatico che divora e assorbe ogni scena di cui è protagonista, va molto meglio con Jennifer Tilly che si prende in giro spesso da sola (le battute sulla sua voce si sprecano), alternandosi sempre alla grande con la sua alter ego di plastica, Tiffany. Il risultato finale è che gli “attori” animati sono molto meglio di quelli in carne ed ossa, anche se l’intreccio non è spesso chiarissimo, tra gemelle e piani fin troppo articolati, il film perde quasi completamente di vista l’unica cosa che il pubblico voleva vedere, il figlio di Chucky.
«Il primo figlio non è piaciuto al pubblico, ne facciamo un altro bambola?»
Rispetto a La sposa di Chucky, poi, Don Mancini dimostra di non avere il passo di Ronny Yu dietro alla macchina da presa, per questo il ritmo è piuttosto ondivago e forse gli unici momenti davvero memorabili sono proprio le citazioni, ad esempio notevole vedere Chucky rifare la scena della porta sfondata a colpi di ascia di “Shining” (1980) con tanto di non frase d’ingresso («Perché non mi vengono in mente frasi ad effetto? Fanculo!»).
E Jack Nicholson… MUTO!
Anche il finale risulta un po’ troppo spezzettato ed in generale la via della semplicità, degli omicidi ben fatti e di un umorismo non in stile “South Park” che aveva pagato ottimi dividendi in La sposa di Chucky, qui viene abbandonato, o forse Mancini non è riuscito a replicare un formato davvero azzeccato.
“Seed of Chucky”, diventa un discreto flop al botteghino e viene anche ricordato come uno dei capitoli più assurdi di tutta la saga, forse un po’ troppo (o troppo poco? Chissà…) anche per la porzione di fan che ama la svolta comica presa da Chucky e beh, famiglia. Eppure, a distanza di anni, resta uno dei film più popolari specialmente nei festival LGBT (storia vera), alla fine il bistratto Glen/Glenda doppiato da Billy Boyd (uno degli Hobbit de “Il signore degli anelli”) ha trovato il suo posto nel mondo, forse era semplicemente troppo presto per lui.
Beh, in fondo loro sono una famiglia tradizionale, no? (Intanto un po’ di musica a tema).
In ogni caso, con entrambi i suoi padri, Don Mancini e Chucky, non abbiamo ancora finito, per proseguire i loro massacri, è necessario un altro cambio di tono, che sarà argomento del prossimo capitolo della rubrica. Ci vediamo qui, tra sette giorni!
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