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Il fornaio (2024): mani fatte per impastare le facce a suon di pugni

Che bello fare il pane in casa eh? La farina ovunque, il lievito madre, l’impasto da girare e voltare. No, gente che merda fare il pane in casa, persino la Wing-woman che è “La donna che sussurra ai panificati” si rompe le ovaie a farlo, ci limitiamo al pane per gli hamburger al massimo.

Anche se qui la questione è ben più grave, è arrivato seriamente il momento di parlare di Ron Perlman: dalla fine di “Sons of Anarchy” alle apparizioni sempre più sporadiche nei film del suo amico Guillermo del Toro, il nostro Ron Ron ha ancora quella maledetta necessità che affligge tutti quanti noi, mettere il pane in tavola.

Per altro, trovo singolare che il nostro amico, si sia buttato spudoratamente sui progetti alimentari, proprio ora che ho smesso (per fortuna!) di frequentare assiduamente il mio veterinario, cioè non per me, ma per le belve di casa (anche se…), vista la somiglianza tra i due e complice il fatto che nessuno abbia mai visto Perlman e il mio veterinario insieme nella stessa stanza, non so, ma io continuo a vederci un legame.

«No Cassidy, non puoi portare il cane a fare il vaccino, smetti di chiamare!»

Fateci caso, Malkovich era più avanti nello sviluppo, il grande attore che ogni tanto accettava la particina in un piccolo film ma brillava lo stesso, prima di raggiungere la fase: «Toh John Malkovich, è il quarto film in cui lo ritrovo questo mese». Stessa cosa per Perlman, che con questo titolo si gioca un B-Movie alla moda, che non inventa nulla, guardi la (brutta) locandina e hai già capito tutta la trama, ora io ve la riassumo così potete fare il controllo se sta tutta nel poster, ok?

«Non serve tanto lievito nel pane, basta questo vedi? Anche meno»

Pappi (sob!) è un fornaio che si è ritirato con i suoi panetti, non ha più legami con famiglia e umani, solo carboidrati. Purtroppo, quel rompicoglioni che ha messo al mondo, Peter (Joel David Moore), ha pensato bene di impelagarsi con una partita di droga su cui ha messo le mani e che i legittimi proprietari vorrebbero indietro, sapendo di aver fatto l’errore della vita (nel senso di: che metterà fine alla sua), molla a Nonno Pappi la figliola, la piccola Delphi (Emma Ho) che non parla perché con un padre così, comunicherebbe solo a parolacce.

Nel mezzo infilateci un altro paio di attori in cerca di assegno, gente di lusso come Harvey Keitel ed Elias Koteas, nei panni del boss criminale e della sua spalla numero uno e lo scenario dovreste averlo intuito, Léon ma con legame di parentela che pialla ogni possibile turbamento oppure beh, il film che di solito farebbe Liam Neeson. Oh! Io ve lo avevo detto che era tutto come da programma no? Poi non lamentatevi con me.

«Quanto ti manca alla pensione?», «Troppo, però mi faccio il pane in casa da solo come passatempo»

Il regista Jonathan Sobol se la gioca tutta di mestiere, nel suo passato “Guida alla morte per principianti” (2010) o il film di rapina con con Kurt Russell, intitolato “The Art of the Steal” (2013), mentre qui ha davvero solo due o tre facce note, due spiccioli di budget e quindi deve impastare il suo film con questi elementi, così è se vi pare e se non vi pare è così lo stesso, tanto poi ci pensa la rete a strascico di Prime Video a passare tutti questi titoli di vendetta per un soldo alla dozzina. Anzi un po’ di più visto che sta a noleggio.

In questo Ron Perlman non deve nemmeno recitare, anche perché non ha voglia di farlo, si vede e gioca a suo vantaggio. Non è chiaro se lo scazzo sfoggiato sia metodo Stanislavskij o un riflesso dello stato della sua carriera, quando deve minacciare qualcuno più giovane e sboccato, vince a mani basse, gli basta il carisma da vecchio leone (citofonare Linda Hamilton per conferma) per portare a casa la scena, al resto ci pensa la “grossezza”, anche percepita, perché alla fine Ron Ron è anche più “basso” di me, quindi o considerate grosso anche me oppure dovrei iniziare a fare cinema. O il pane, ma non mi piace proprio sporcare tutto di farina.

«Quanto lievito ci hai messo? Troppo, questo devi metterci. Basta»

In una delle poche scene d’azione fisiche, Jonathan Sobol se la gioca tutta di inquadrature strette su Perlman che si muove poco, per dare un’idea di convulso combattimento a breve distanza, basta, nient’altro da segnalare, se non un pelo di tristezza per l’andazzo da grande vecchio dell’azione, imboccato da uno che era nato come “Mostro” cinematografico. Capisco che le ore in sala trucco pesavano, però la carriera di Perlman era unica a suo modo nello scenario contemporaneo, spero almeno che con questa canonica scelta, si paghi più di una pensione a beh, pane e acqua.

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