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Il fratello più furbo di Sherlock Holmes (1975): artificio intellettuale

Lo conoscete, ma oggi è qui per dar manforte con un capitolo speciale a sorpresa, quindi lascio la parola a Giocher per il suo contributo, buona lettura!

Sarà ormai mezzo millennio orsono, un individuo di spropositata intelligenza eiedetica quanta sfrontata ingenuità, comprese e cercò di divulgare alle masse l’esistenza del Multiverso, brulicante di vita, lassú tra le stelle; le quali a suo dire NON erano INFINITE, ma solo innumerabili agli uomini. Il conflitto di Proprietà Intellettuale, per il poderoso anticipo con la Disney dei nostri giorni, e per quisquille dogmatiche con quella dei suoi, gli bruciò anzitempo una sfolgorante carriera.

«Nessuno si aspetta l’inquisizione spagnola!» (cit.)

Di poco inferiori alle remote fiamme del firmamento, quant’altrettanto d’ardua computazione, sono da annoverarsi le trasposizioni audiovisive tratte, ispirate, desunte, traslate, asportate, travisate (Benedetto Sfrangiazucchina, SCELGO TE), deformate; prese di peso, di sguincio, di passaggio, da lontano; liberamente o direttamente, sarcasticamente o vigliaccamente, argutamente o filosoficamente, fedelmente o anacronisticamente, consapevolmente o inspiegabilmente (qui è dove alludo a quella serie con la sosia incapace di Britney Spears), a torto o a ragione, in salute e in povertà, dal primo Personaggio Letterario a fagocitarsi il suo Autore, intero con tutto il Cavalierato al Valore, grazie al Fandom. Però ai tempi di Poste & Telegrafi.

«Siamo incastrati in una di QUELLE premesse, non possiamo nemmeno metterci comodi»

Sir Arthur Conan Doyle è un altro non passato alla storia per la furbizia. Dai quintali di ghinee con la facciona della regina nubile impressa a fronte buttati dietro ad elfi e fatine photoshoppate molto ante litteram; al suo referenziatissimo autista, anarchico francese oltranzista ricercato da tutte le polizie d’Europa per aver inventato le rapine in banca con fuga motorizzata al grido tatuato sul petto di “In Ogni Caso, Nessun Rimorso“, tutto a insaputa dello scozzese; fino ai trattati di Spiritismo Rivelato di forma, contenuti e convinzioni imbarazzanti per il Mago Othelma (molto ma molto meno lucide di quelle che avevano rovinato il fraticello da Nola), all’essersi dimostrato quasi subito insofferente al suo Mr. Holmes del 221/b della Via dei Fornai; sono solo alcuni dei più famosi esempi del suo “uso delle celluline grigie” nella vita di tutti i giorni.

Eppure Sherlock, che vanta più titoli a suo nome di chiunque nell’immaginario – e spin-off, prequel, retcon, reboot, whatif molto prima di tutti – ha fondato un genere, il giallo; un archetipo, l’investigatore; uno stile, la Logica Deduttiva Multidisciplinare, incentrati esclusivamente sull’Intelletto che trionfa sulla Furbizia. Come un Supereroe dei fumetti o un Mostro della Universal, o un Eroico Pistolero del West ma molto di più, perché semplicemente superiore per disciplina mentale, intuito, sensibilità, capacità elaborativa ed erudizione. Un intellettuale dissociato semiautistico insopportabile tossico e ipercritico: non è pazzesco che fosse il modello più spacciato a grandi e piccini del mondo libero fino a neanche mezzo secolo fa?

«Oh oh, mi sa che qui in tanti ci sono cresciuti leggendolo. Bei tempi»

Jerome “Gene Wilder” Silberman, noto a posteri e contemporanei per spettacolare talento interpretativo, irresistibile candore ed espressiva genuina comica apparenza, aveva lo stesso problema dei due sovracitati esseri umani. 

Artista completo, all’Antica, prima che Autore, Attore ed Atleta (tutte maiuscole), erudito, sensibile quanto emotivamente fragile e trasparente; mentre tentava invano di non rendere spontaneamente Bertoldo il suo Brecht off Brodway, ebbe l’ottima ventura d’incappare in un esemplare piú bilanciato tra talento e creatività, piú terra-terra, sempre all’usta di far quattrini. Un Luigi XIV della commedia, capace di irradiare Concetti Buffi e Idee Scompiscianti con la Sola Presenza.

«Questo Giocher non scherza, ma non mi lamenterò più delle infinite premesse di Cassidy»

Me li figuro proprio esatti & chiari, Mel e Gene, impegnati inconsapevoli a replicare nella vita reale una scena da un loro successo precedente. New York nel 1974: esterno giorno, un parco, una panchina. Mel che convince sornione Gene ancora indeciso e frastornato dai recenti trionfi hollywoodlandiani, a darsi al Cinema completamente, fregandosene di Arte, Impegno, Cultura, Spessore… Di pensare alla Grana. Al Momentum!! Garantito che non avrà tralasciato nemmeno vantaggi fiscali e conti in punta di lapis sulla carta dell’hotdog per produzione e casting. Ovviamente, ha ragione: non si può sprecare…

Non mi pongo l’ardire di domandarVi la fiducia, chiedete a Chapty se non volete credermi: il miglior modo di mettere a frutto i tuoi sudati risparmiucci al botteghino dei cinematografi, consiste nel prendere quello che il pubblico ha già pagato di più e volentieri e dargliene Ancora & Uguale.

Dalle facce,alle parole, dai costumi alle situazioni, passando per struttura, durata, finale. Oggidì similmente ad allora. Quindi prendere il meglio che la Corte di Brooks poteva offrire per i ruoli a copione autografo e sovvertire, fiero del motto anarchico “tanto poi c’è il gabbio“, ogni regola dello sceneggiato tipico del consulente investigativo londinese noto e amato dall’Universo, sembra a tutti gli effetti un’idea furba.

Per la sua Opera Prima Gene Wilder ci mette il nome ovunque: regia, sceneggiatura, ruolo principale, canzonette, responsabile del protocollo antincendio, trovarobe, coreografie (BUGIA: per quelle c’è il fidatissimo e futuro regista Alan Johnson, stunt coordinator per le scene di scherma (questo è VERO), catering set, luci, fonico di presa diretta, (PER DIANA a una certa ci mette proprio le proprie chiappe!); il commercialista di Mel mette l’apparecchio ortodontico alla figlia e un brillocco alla segretaria, Marty Feldman ci mette un occhio e il sorriso, Madeleine Khan grazie e mandibola, Dom DeLuise la voce e il panzone da paisà.

Il suo compagno di tennis Gene Hackman manca il ruolo della vita per interpretare l’arcinemico Moriarty, ma si trova un devastante Leo McKern per sostituirlo indimenticabilmente. La rinuncia al ruolo di Supervillan Iconico a questa tornata, lo porterà ad accettare a costo dello scalpo totale quello per un’altra Nemesi abbastanza conosciuta, a velocità Kriptoniano Lanciato, 3 anni dopo. 

Dom, anche lui preso di peso (ah-ah) dalla Factory di Brooks.

Il Multiverso Sherlockolmiano, strappato anzitempo alle mani del suo ideatore, non ha mai brillato per aderenza al canone, a partire dall’iconografia del personaggio, che per esempio, nella sua versione cartacea originaria, non ha il caratteristico cappello, la pipa ricurva di schiuma ed altre amenità emozionali aggiunte via via dagli ammiratori interessati.

Ogni anfratto narrativo già esistente dilatato e sfruttato, ogni brano dei racconti o della scarsa manciata di romanzi stiracchiati oltre il lecito. Tutti, anche i figuranti, citati, rubati, copiati, riutilizzati altrove – ad un punto tale che persino la ‘back story’ di un personaggio minore del celeberrimo “Uno Studio in Rosso”, 4 strazianti paginette ambientate nel deserto dello Utah, diventerà parola per parola la Fatale Origin Story del Macellatore di Dei, prima illustrata nelle tavole del Possente Thor e poi addosso a Bale.

«Qualcuno ci aiuti, siamo incastrati nelle citazioni ultra nerd!»

L’unico congiunto consanguineo noto è un figuro ancora piú problematico e ancora più dotato, apparentemente, di Sherlock: Mycroft. Un Phileas Fogg col quoziente intellettivo di Einstein. Il fratello maggiore ha tutte le connotazioni che servono a Wilder per creare il suo personaggio, prendendo il resto dal protagonista di Conan Doyle che tutto l’Universo conosce. Sigerson Holmes, fantomatico minore dei due più Famosi, infatti, altri non è che l’inconscio di Sherlock a nudo e con gli occhioni cerulei. 

Un Holmes con una soluzione al sette per cento di follia.

Dietro la Maschera Proverbialmente Imperturbabile, è palese che il nevrotico, cocamorfinomane, mezzospiantato titolare di una startup di consulenze forensi a partita Iva domicilio fiscale in coworking, che ha abbandonato studi accademici promettenti nell’heavy League – una storia che per grazia degli dei ci è stata raccontata da Chris Columbus e Barry Levinson, che colsero l’occasione per inventarsi Harry, Ron, Hermione, Hogworths e rivoluzionare gli effetti digitali, tutto in unico filmino per ragazzi uscito qualche decennio prima de “La pietra Filosofale”- non può che vivere male-male-male, in fondo all’ego appuntito come il naso, la carriera prestigiosa, la posizione tra i Pari d’Inghilterra e la flemmaticissima routine di lusso del fratellone al Servizio Segreto di Sua Maestà. Un Enorme, Irrisolto Complesso di inferiorità col completo di tweed: È PERFETTO (cit.)

Ne scaturisce una caratterizzazione figlia del fiscalista Leo Bloom, con qualche fiamma di egomania del Doc FrankestINE e la mitologica prestanza di Waco Kid, ma estremamente stratificata, complessa, comica e per chi scrive superiore alle sue precedenti. 

«Vuoi dire anche meglio di Willy Wonka

Sistemato il protagonista causa di trama e titolo a tripla mandata con due semplici pennellate, il resto è tutto in discesa. Per ulteriore sparagno di fatica si chiamano un paio di veri Holmes & Watson alle comparsate di rito d’inizio, metà e fine pellicola – nel senso che i due attori facevano già quei personaggi a teatro e in tivvú, e continueranno a farlo anche dopo con mestiere. Praticamente si son portati il cosplaying da casa. Madaline Kahan, per la sua classica Dame en Distresse attizza MacGuffin, prende Taffetà Frankenstein e SwanzstukaShtuPp del West, le fonde e mette sul palco un’istitutrice privata anche vedette dei varietà notturni, bipolare dentro e fuori; raggiungendo vette di quella femminilità cialtrona, tanto cara a Mel Brooks, raramente eguagliate. 

«Voi maschi siete tutti uguali! Sette, otto, in fretta, in fretta e poi di corsa dagli amici a parlare e a vantarsi… Ah no scusate, film sbagliato»

Per tutto l’Universo Noto, o quantomeno il nostro Sistema Solare, Marty Feldman È e sarà sempre Ygor di Young Frankestein, ma se lo chiedete a me e alle donne della mia vita, invece, il personaggio in cui lo vedrò in automatico ogni volta è quello dell’eiedetico archivista di Scotland Yard di questo film. Spalla? Quale spalla? (semicit.) il Sergente Orville Stanley Sacker è busto, torso e soprattutto gambe da Hulkbuster di tutto l’impianto satirico raffinatissimo e letterario dei fulminanti novantuno minuti di girato. Perfida Vendetta di tutti i Lestrade del mondo, candido nella sua logica innocenza da lettore arguto di troppi gialletti, s’incarica del caso, di far da balia al Pazzo di casa Holmes, recuperare la refurtiva, registrare ogni singola parola, funger da dinamo umana per un droide schermidore, fare da guida turistica di Londra e da decriptatore di codici indecifrabili, meglio e prima di un Turing qualsiasi (possibile che ce l’abbia ancora con te, Benedetto Sfrangiazucchina? Elementare, direi…) 

«Io sono la gomma e tu la colla!» (cit.)

Ora permettetemi di trasfigurare il capintesta di questa produzione in R.K. Maroon della Maroon Cartoni che si rivolge a Voi e a tutto il pubblico di Eddie Valiant: “Vi piace Feldman? L’ho avuto in prestito da Brooks… Ho avuto lui e mezzo cast di Frankestein. La cosa migliore é che lavorano per un pugno di noccioline.” Ma quello che sta a cuore a R.K./Wilder è il suo Coniglio/Moriarty: le carote sono per lui.

«Il caffè lo dovrai prendere nero, la crema se la ciuccia Acme adesso» (cit.)

Già perché se tutti i personaggi principali di questa presa in giro senza alcun riguardo sono “fuori canone” rispetto all’Universo Espanso conandoyliano, ma paralleli e contemporanei ad un’avventura classica del detective, il Professor J. Moriarty, matematico e imperatore del crimine ben oltre l’antonomasia, DOVREBBE essere proprio LUI. QUELLO. L’astutissima mente calcolatrice dietro l’oscura trama macchiavellica di questa occasione, per risolvere la quale addirittura Sherlock avrebbe bisogno dell’aiuto di Sigerson, quello piú furbo… 

Leo McKern per tutto l’Universo Noto, o quantomeno il nostro Sistema Solare È e sarà sempre un monaco spretato reietto, farneticante e mistico, ricalcato sulla figura storica del primo tizio molto poco furbo che citavo all’inizio di questa recensione (e che curiosamente da crudo era una faccia e una figura con l’Ygor di Feldman, malgrado le effigi eroiche in Campo de’Fiori): l’Imperius di LadyHawke

«Io avevo a che fare con Rutger Hauer, con te ci spazzo il pavimento!»

Ed è QUI dove Gene Wilder va fuori di testa (cit.) e dona al proscenio della Storia una caratterizzazione del personaggio ed una direzione d’attore da kaiju di Categoria 5 “il piú grande e cattivo mai visto” (ricit.). L’acuto lettore di Conan Doyle, l’arguto interprete di tante Maschere Comiche di eroi, spalma tutto di Mel come un Salvador Dalí in cerca della trance che gli permette di fiondarsi nell’Empireo coi Maestri. Ogni secondo di pellicola dedicata a Moriarty è puro Blake Edwards in psichedelica Brooksiana, che arriva a svettare verso la Commedia dell’Arte piú Alta nei duetti con DeLuise.

Proprio la Colossale Mente dietro L’ispecteur Clouseau de la Suretè e le sue parodie demenziali elegantissime ed arabescate dei topos di genere investigativo, sono i titanici paragoni con cui Gene va a misurarsi a testa bassa e alla pari, ma non le sole. Sono trascorse solo poche centinaia di giorni dall’uscita di Young Frankestein e Blazing Saddles, quando questa gemma minore ma fondamentale della Demenzialità arriva nelle sale; e il risultato non é quello architettato. Troppo poco tempo trascorso negli occhi e nei cuori dello spettatore pagante e della critica attenta, per non apparire palese e manifesto come il fratellino minore e bastardo di due Capolavori Assoluti e Inarrivabili.

Scene d’azione vittoriane ne abbiamo? Certo!

Ma essendo scritto da un Genio sotto l’egida di un Luminare, è destinato a dare frutti nel tempo restando comunque ineguagliato e soprattutto seminale per acume, qualità di trovate e affollamento di baggianate satiriche. Chi Vi ha tediato fin’ora si considera due tacche sotto il nostro Anfitrione che gentilmente mi ospita, nell’indice di gradimento e frequentazione coi musicarelli, ma se mi mettete una qualsiasi delle parti cantate e ballate di questo film ve le rifaccio Tutte, col CONTROCANTO nelle parti a tre.

Costumi e scenografie storiche sono maniacali (un tratto che Mr. Jerome Silberman curiosamente condivideva con tutti i suoi personaggi), gli attrezzi di scena diventano addirittura macro protagonisti in una delle sequenze di inseguimento in notturna piú belle di Sempre e in alcune da museo del cinema con Il Professor Moriarty, piantando dritte & feconde ideuzze meravigliose nelle teste di un trio che ne avrebbe colto ogni sfumatura e inquadratura, raccogliendone il testimone e scrivendo dilí a poco la storia del Genere Parodia, firmando in calce con le cubitali Z.A.Z.

Un cinque alto gigante per Gene!

Altri semi piantati da questo film svilupparono e fiorirono rig-orgogliosi della loro origine con piú calma, ma per niente lontani dalla talea primigenia. Thom Eberhardt tredici anni dopo, ne prenderà l’idea, l’impianto, la verve e soprattutto Jack Carter in persona, per una rilettura meravigliosa del personaggio. Cogliendo perfettamente l’ottica psicologica di Wilder, in “Senza Indizio” affiancherà al suo Sherlock Holmes farlocco e fantoccio, alcolizzato attore fallito al soldo di Watson vero genio, con risultati satirici cosmici, Ben Kingsley; che più tardi ricalcherà idea e personaggio che furono di Michael Cane per Il suo Mandarino, falso arcinemico della vera trasposizione moderna del detective di Sir. Arthur: Robert Downey Jr.

Quello stesso Ben Kingsley, per altro, che diverrà il simbolo della sua nazione in diaspora nell’orrore di gente alla pira per questioni dogmatiche, in una delle rarissime opere dell’uomo che è stata all’altezza nel descriverla. Di un’altra pellicola di questo gruppo ristrettissimo è parte integrante Mel Brooks e ne sarò parte anch’io, nel descriverVela col cuore in mano, al prossimo appuntamento.

«Mi stai dicendo che ci tocca un altro papiro di Giocher?», «Metto su dell’altro tè»

Sempre con nel cuore questo film, ma senza pagare neanche una libbra di carne o un shekel di diritti, nell’ultima decade del Secondo Millennio Leo Gullotta Vi ha impiastricciato ogni Natale prendendovi idea, impianto, verve e soprattutto il Cavalier Condorelli in persona, per uno spot che nella versione originaria prevedeva persino lo stesso frack da gran soirée di Sigerson Holmes. E rimanendo nel nostro Multiverso stivaloidale fradicio di Mediterraneo, saranno ormai una dozzina d’anni fa, l’ultimo seme messo a dimora da quel Gran Genio di Gene, è sbocciato all’improvviso gigantesco in mezzo alla sala dove stavo guardando Spectre.

Sam Mendes ha infatti preso da “Il fratello piú furbo di Sherlock Holmes ” l’idea, l’impianto, la verve e soprattutto James Bond in persona, per una origin-story del parente minore infantilmente cattivo e vendicativo – tanto da utilizzare LA STESSA Foto e la stessa scena di disvelamento dell’oscuro segreto familiare girata da Wilder e Feldman. Ancora rido.

Tana per Sam Mendes che cita impunemente!

Mentre temo che chi si sbellica genuino per i parossismi di malvagità compulsiva involontaria del Doc Evil di Austin Powers, potrebbe rimanere intristito nel constatare quanto siano in debito cicciobastardo con ogni  sequenza del Professor Moriarty scritta e diretta magistralmente qui, ma non giungano a sfiorargli le stringhe delle oxford church’s. 

«Hai avuto un’idea per risolvere il mistero?», «No, trattengo uno starnuto, sai le piume sotto al naso»

Non è numerabile, all’uomo, l’infinità di frutti che possono rigogliere anche all’ombra di opere colossali, ma è il pubblico purtroppo ad aver decretato anzitempo la pira per il Gene Wilder Autore Goliardico e Regista Intelligente, che da allora noh ha piú brillato nello stesso modo anche nel lavoro col sodale marito della Grande Anna Maria Italiano.

È però IL film che io ritengo superiore alle incensatissime – e percaritadiddio con tutti i meriti del MEltiverso!! – pellicole di Brooks dello stesso ambito parodico praticamente in tutto, e ho lottato come un pazzo per non imitare il Proprietario della Bara, descrivendoVi scene e scene capolavoro in ogni dettaglio: non faccio testo perché a me le opere surgive di quello scozzese che parlava agli sbrilluccichi (ma senza roba) hanno rovinato la vita. O forse dipende dal fatto che io ho davvero un fratello più furbo, anzi un Mycroft, che adora questo film ancora più di me e oggi che compie Quarant’anni ancora si sente male dalle risate per novanta minuti come quando mettevamo la cassetta a ripetizione che ne aveva sei. 

AUGURI Sir ALLOCCO!

SIGLA

Come and do the Kangaroo Hop. Hop!

Sepolto in precedenza venerdì 7 aprile 2023

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