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Il giorno degli zombi (1985): benvenuti nel regno della razza zombi

In principio è stata la notte, poi è arrivata l’alba ed ora è il giorno. Il giorno del nuovo capitolo della rubrica… Lui è leggenda!

Il buon successo commerciale di Creepshow concede a George A. Romero di tornare ai suoi mostri prediletti, il momento è proprio quello giusto, d’altra parte La notte dei morti viventi ha incarnato lo spirito di ribellione degli anni ’60, mentre Zombi ha alzato il volume della critica contro il consumismo al massimo dei decibel. Ma negli anni ’80, nel bel mezzo dell’Era Reagan, la Leggenda ha ancora qualcosa da dire e tutto lo spirito critico per farlo. Il risultato finale è magnifico, anche se dei tre film che completano la trilogia originale degli zombie Romeriani, questo è quello che ha incassato di meno, ma dopo trent’anni il suo mito è cresciuto anche grazie al mercato dell’home video e oggi più che mai i suoi effettivi meriti sono tutti lì da vedere.

Personalmente non ho molti dubbi, mai nella vita, “Il giorno degli zombi” è un capolavoro che quasi da solo ha saputo determinare i canoni, anche estetici, di tutti i film a tema zombesco dell’ultimo trentennio, nei 104 minuti di “Day of the Dead” c’è tutta l’iconografia da cui chiunque abbia scritto, diretto o disegnato una storia di zombie dal 1985 ad oggi, ha pescato a piene mani, insomma, da queste parti i film così hanno un nome e un logo, si chiamano Classidy!

L’idea per “Day of the Dead” girava nella testa di George A. Romero (la “A” sta per amore, ve lo ricorderò ad ogni capitolo della rubrica) da parecchio tempo, il suo piano originale era di sfornare quello che per lui sarebbe stato, usando le sue parole “Il via col vento dei film di zombie” (storia vera). La primissima bozza di sceneggiatura scritta dalla Leggenda prevedeva un’idea molto più vasta (e quindi costosa) da portare sul grande schermo: in un futuro prossimo in cui ormai i morti viventi hanno sovrastato per numero gli umani, i sopravvissuti vivono in una gigantesca roccaforte, una città con mura difensive al suo interno divisa in caste, gli scienziati in superficie e i militari nel bunker nel sottosuolo, ovviamente due fazioni opposte per metodo e attitudine destinate a scontrarsi drammaticamente. Dovendo ripiegare su qualcosa di più semplice da dirigere, Romero ha semplificato di molto quell’idea originale, ma senza abbandonarla poi davvero, perché in parte sarebbe tornata nel successivo film zombesco di Romero, “Land of the dead” (di cui non vedo l’ora di scrivere), ma anche nella miniserie a fumetti, pubblicata per la Marvel Comics intitolata Empire of the dead.

L’enorme problema che ha sempre caratterizzato tutta la carriera di Romero, è stata la costante difficoltà nel racimolare il budget necessario a produrre i suoi film, per “Il giorno degli zombi” la musica, purtroppo, non cambia, insieme al produttore di fiducia Richard P. Rubinstein, zio George riesce ad ottenere solo sette milioni di ex presidenti spirati stampati su carta verde, per una pellicola che avrebbe dovuto avere un visto censura “R” (l’equivalente del nostro “Vietato ai minori di 17 anni”), Romero si gioca la controproposta: “Mi date tre milioni, ma piena libertà creativa” (storia vera). Affare fatto ora, però bisogna fare i conti con un budget davvero minimale.

Day DAD of the dead (che poi era il titolo che avevo pensato per questa rubrica, storia vera)

Per farlo Romero gioca in casa, la prima scena anche l’unica in esterno, viene girata in Florida dove zio George si era trasferito da poco, mentre il resto del film a Pittsburgh, città natale del regista, le comparse radunate sul luogo per interpretare la massa di zombie hanno ricevuto come compenso, tenetevi forte: un cappello con su scritto “I was a zombie in Day of the Dead”, una copia del mitico finto giornale che si vede ad inizio film (quello che titola “THE DEAD WALK!” omaggiato anche nel primo Resident Evil) e un dollaro. Non so voi, ma io avrei accettato anche solo per il berretto!

Aveva ragione Egon dei Ghostbusters: La stampa è morta.

Sempre nell’ottica del risparmio, Romero affida gli effetti speciali al suo amico, il mitico Tom Savini e il trucco ad un ragazzo di 22 anni pieno di entusiasmo che si trova al suo primo vero lavoro accanto a due miti, il suo nome è Greg Nicotero, potreste conoscerlo per aver curato il trucco di tutti i vostri film del cuore, oppure perché ancora oggi è conosciuto come uno dei più grandi maghi degli effetti speciali in circolazione ad Hollywood, trent’anni dopo tanti ancora beneficiano delle intuizioni azzeccate di George A. Romero. Nicotero nel film si becca anche il compito di interpretare uno dei militari nella base e la testa animatronica mossa dagli elettrodi del Dottor Logan, è stata ricalcata da Greg sul proprio volto, ma solo dopo aver utilizzato la testa mozzata finta per spaventare sua madre a casa (storia vera).

I titoli di testa e il talento di Greg Nicotero in un’unica soluzione.

Ora, io lo so che lo dico sempre, anche oltre lo sfinimento, ma solo perché ne sono convinto “i primi minuti di un film ne determinano tutto l’andamento” “Il giorno degli zombi” inizia con una scena d’apertura clamorosa e nei primi dieci minuti, determina il canone che tutti i film di zombie per il trentennio successivo hanno seguito fedelmente, in altre parole: una delle più grandi scene iniziali della storia del cinema, scusate se è poco.

In una stanza asettica, con pareti che la fanno sembrare una cella, Sarah (Lori Cardille) si alza e si avvicina all’unico addobbo della stanza, un calendario piegato sulla pagina di ottobre, con i giorni cancellati come farebbe un carcerato. Sentiamo il tema musicale ossessivo di John Harrison di sottofondo, quando dalla parete escono centinaia di braccia di zombie tutte pronte ad afferrare la protagonista che si sveglia di colpo dall’incubo. Boom! È la prima scena del film e Romero ha già riassunto tutta la pellicola.

Se questo non è uno dei più grandi inizi di film di sempre, non esistono i grandi inizi!

Idealmente “Day of the Dead” comincia dov’era terminato Dawn, a bordo di un elicottero, proprio da qui Romero ci mostra ciò che resta del mondo, nella successione tra notte, alba e giorno, gli zombie hanno superato per numero gli umani, il tentativo da parte dei protagonisti di cercare qualcuno ancora vivo nella città abbandonata raggiunta in volo, ottiene solo di far agitare i non morti. A Romero basta un coccodrillo a zonzo per le strade, il già citato giornale con il titolo “THE DEAD WALK!” e tanti zombie, realizzati non più solo dipingendo di grigio i volti delle comparse come nei film precedenti, ma con gli ottimi effetti speciali di Nicotero, per raccontarci un mondo che è morto, il tentativo di fermare l’invasione degli zombie è fallito e gli umani vivono in pochi, sparuti gruppi in bunker in giro per il mondo.

Una volta tornati al bunker sotterranei dove i protagonisti sono rifugiati, “Il giorno degli zombi” diventa un film tutto girato in claustrofobici interni, un dramma fatto di dialoghi in cui la parte horror è tutta relegata nel finale del film. Così facendo Romero diventa il padre nobile di tutti quei registi che un giorno sono scesi dal letto con una manciata di soldi e l’idea di fare un film di zombie, perché costa poco e posso girarlo tutto in interni. Ma di fatto applica ad una classica situazione da film d’assedio, le sue tematiche, la sua poetica e sì, anche il suo nichilismo: Prendi un gruppo di persone, costringile insieme in uno spazio rispetto e loro troveranno il modo di ammazzarsi l’uno con l’altro, perché i film di Romero sono tutti prese di posizione politiche, travestiti da film di genere ma soprattutto i veri mostri, non sono mai quelli che ne hanno l’aspetto, i veri mostri per Romero siamo noi umani con tutte le nostre idiosincrasie.

Mostri operai, venuti a punire il mondo (oppure ad ereditarlo)

“Il giorno degli zombi” è caratterizzato da un costante senso di angoscia, il bunker è una pietra tombale per l’umanità lunga 14 miglia, come viene definita nel film, i costanti incubi da cui è afflitta Sarah ne determinano il passo, la musica elettronica e ossessiva composta da John Harrison è incredibilmente efficace, non solo mantiene alto il senso di minaccia, ma rende al meglio il senso di straniamento che solo la cattività può provocare.

In 104 minuti Romero si concentra sui suoi personaggi, questo dramma si consuma nei tanti primi piani che zio George dedica loro e nei dialoghi, giusto per accentuare il senso di angoscia. Se in Night Romero si scagliava contro il razzismo e in Dawn contro il consumismo, in “Day” il messaggio Romeriano raggiunge l’apice del suo cinismo, per assurdo: se i protagonisti del film avessero trovato il modo di confrontarsi, avrebbero potuto salvarsi tutti, sopravvivere per anni dentro il bunker e forse anche trovare una soluzione all’invasione di zombie, invece rifiutandosi di collaborare il bunker diventa la tomba dell’umanità e questo film il suo epitaffio.

Uno dei migliori personaggi femminili di sempre (e nessuno la cita mai)

Sarah, interpretata da Lori Cardille è il più sottovalutato modello di personaggio femminile tosto ma scritto bene che potrà capitarvi di trovare in un film, per tutto il film agisce sempre con prontezza, anche se i suoi incubi (a cui solo noi spettatori possiamo assistere) ci mostrano tutte le sue insicurezze. Personalmente adoro la scena in cui, quando il suo amante Miguel (Anthony Dileo Jr.) viene morso ad un braccio, lei senza perdere nemmeno un secondo, gli mozza l’arta con il machete e poi cauterizza la ferita (una delle tante trovate che Robert Kirman ha preso in prestito per il suo fumetto The Walking Dead), davanti ai militari resta inflessibile nella sua volontà di prendersi cura di Miguel, ma appena quelli se ne vanno, inizia a tremare. Ogni volta che rivedo la scena penso che in tanti, Romero con la sua capacità di scrittore, mandava ancora a scuola tanti che in carriera hanno raccolto più meriti di lui.

Come scrivere personaggi realistici, giovani aspiranti sceneggiatori, questa è per voi.

A guardarla, Sarah sembrerebbe il baricentro morale del film, ma anche lei ha qualche difetto: la sua ambizione di scienziata è quella di trovare il senso ultimo di tutto, una risposta all’invasione zombie che nel mondo creato da George A. Romero non esiste, tanto che nemmeno lui, il vero demiurgo di questo pianeta popolato dai suoi “Blue collar monsters”, i suoi zombie operai come li chiamava lui, non ha mai fornito una spiegazione sulla loro origine, quindi la ricerca di Sarah potrebbe essere fin troppo filosofica e del tutto inutile.

L’altro personaggio chiave è il dottor Logan (Richard Liberty) il cui nomignolo “Frankenstein” riassume bene il suo approccio e i suoi strani esperimenti sui corpi dei non morti, dissezionati, collegati ad elettrodi e uccisi con un trapano portatile quando troppo molesti da controllare. Davanti al semplice calcolo matematico per cui, ormai al mondo, non ci sono abbastanza umani (e proiettili) per eliminare tutti gli zombie in circolazione, il suo piano sembra l’unico percorribile, provare ad addomesticare gli zombie, rendendoli socialmente accettabili nei comportamenti e controllando la loro brama di carne umana. In pratica trasformarli in Vegani.

«Fidatevi di me cari lettori della Bara Volante, ho un piano!»

Il dottor Logan si comporta con gli zombie, come farebbe un veterinario con gli animali, con tutta l’empatia che manca ai militari nel bunker e, per quanto eccentrico nei modi, gli studi del dottore portano anche a dei risultati notevoli, tutti incarnati nel personaggio simbolo del film, il mitico Bub (Sherman Howard) lo zombie buono, se così vogliamo definirlo. Eppure, nel corso del film, gli studi del dottor Logan in cui tutti riversano la massima speranza, si rivelano solo filastrocche e deliri registrati su nastro da un pazzo, un prometeo circondato da cadaveri che si è spinto troppo in là, spinto da una fame di conoscenza che gli ha dimorato la sanità mentale, infatti sarà proprio lui, che facendo esperimenti sul corpo dei soldati defunti, ad accendere la scintilla che trasformerà in un incendio la già esplosiva convivenza.

Malgrado la sua follia, Bub è la prova che l’intuizione del dottore era giusta, lo zombie conserva tutti i ricordi della sua vita precedente, davanti ad un vecchio rasoio fa il gesto di farsi la barba e quando vede un libro (“Le notti di Salem”, un omaggio di Romero al suo amico Stephen Kinglo apre e lo sfoglia come se ricordasse quando da vivo, poteva leggerlo. Ed è proprio con Bub che Romero da fuoco a tutto il suo anti-militarismo, lo zombie non solo ricorda come caricare una pistola, ma la punta anche contro il perfido capitano Rhodes (Joseph Pilato), facendogli anche il saluto militare, ottenendo in risposta, ben poca gioia da parte del milite.

Bub ha già letto più libri di molta gente che (purtroppo) conosco.

Dare a Bub dei trascorsi da militare, è la presa di posizione forte di un democratico, anzi quasi un hippy come Romero, per lui marciare, salutare i superiori e tutte la routine militare, rende i soldati più vicini agli zombie che agli umani. Arriviamo, quindi, al già citato capitano Rhodes: arrogante, razzista, misogino, un vero schifo d’uomo, protettivo solo nei confronti dei suoi uomini, che altro non sono che una versione organizzata e legalizzata dal loro ruolo militare, dei motociclisti che devastavano il centro commerciale alla fine di Dawn of the dead.

Rhodes e i suoi uomini sono totalmente disprezzabili, Romero non fa nulla per addolcirli, fanno schifo dal minuto uno del film fino al massacro finale (dove non a caso, subiscono uno dopo l’altro, una durissima lezione da parte dei mostri preferiti da Romero), anche l’anti-militarismo della Leggenda è totale, ma per assurdo, proprio i tizi in mimetica, sono anche gli unici ad avere un piano abbastanza pragmatico che, poi, è il frutto di una mentalità interventista: “Ammazziamoli tutti e che Dio li scampi!”. Che però, dati alla mano, sembra davvero l’unica opzione praticabile per gli umani nel film.

Un adorabile bastardo, che però di adorabile non ha proprio niente.

Nel mezzo ci sono il pilota di elicotteri John (Terry Alexander) e l’alcolizzato William (Jarlath Conroy) che rappresentano la classe media, quella che si lamenta dei politici che prendono le decisioni, e si estranea (loro lo fanno nel loro capanno, battezzato ironicamente come il “Ritz”), ma poi, quando è il momento, si rimbocca le maniche dandosi da fare.

«Cosa ne pensi?», «Penso che ho scelto un brutto giorno per smettere di bere»

Tutti questi personaggi rappresentano l’intera società, ognuno di loro ha chiari e scuri, effettivi meriti, ma anche enormi colpe, se, per puro caso, avessero trovato il modo di ingoiare l’orgoglio, guardarsi in faccia e capire limiti e pregi, propri e altrui, avrebbero potuto salvarsi, invece ognuno di loro, pecca di egoismo o di mancanza di empatia, insomma i personaggi che dimenticano le caratteristiche che ci rendono umani, sono destinati a restare sotterrati per sempre nella tomba del bunker.

Per assurdo, con gesto da vero rivoluzionario, l’unico personaggio davvero umano, l’unico che si comporta davvero come tale anche se non lo è di fatto, è proprio Bub. Lo zombie che sbiascica quasi una mezza frase («Hello aunt Alicia») sembra un grosso cagnone fedele che fa giochetti per la gioia del suo padrone, eppure è anche l’unico personaggio che si dispera davvero per la morte di qualcuno e, per altro, dimostra anche un certo senso dell’umorismo, nero quanto volete, ma pur sempre umorismo, quando fa l’ultimo saluto (militare) a Rhodes mentre viene divorato vivo.

For those about to rock zombie (We salute you)

Nel giro di tre film, Romero ci porta a fare spudoratamente il tifo per i suoi amati “Blue collar monsters”, il massacro finale è una mattanza splatter in cui i cattivi vengono brutalmente puniti, grazie ad effetti speciali che hanno tenuto magnificamente la prova del tempo, anche perché tra le viscere di maiale utilizzate da Tom Savini e il trucco di Nicotero, ancora una volta gli effetti speciali analogici, quelli fisici che un attore sul set può toccare, sporcandosi con il sangue finto, si confermano migliore di tutta la CGI moderna.

Il finale è un crescendo riuscitissimo, tutta la lunga scena nelle catacombe al buio, con John che spara con due revolver nemmeno fosse Tex Willer, ogni volta ti fa aggrappare ai braccioli della poltrona e gli zombie sono la forza inarrestabile contro cui l’incapacità umana di essere umani per davvero, non può che andare sotto con perdite e finire divorata, anche da uno zombie vestito da clown (che qui fa il suo esordio e comparirà anche in tutti gli altri film zombeschi della Leggenda), ma anche da uno vestito come Michael Jackson nel video di “Thriller”, uno scherzo di uno dei costumisti che lamentava il fatto che sul set, uno dei suoi colleghi mettesse a rotazione costante il pezzo di Jacko (storia vera).

Adesso avete un altro motivo per aver paura dei Clown.

Il finale dà una certa circolarità alla pellicola che iniziava con un incubo di Sarah e termina nello stesso modo, ma per lo meno Romero concede a qualcuno dei suoi personaggi una salvezza, in qualche modo anche a Bub, perché Greg Nicotero anni dopo, si è ricordato del suo primo datore di lavoro e in un episodio da lui diretto dei Camminamorti (4×15 “Us”) ha inserito una comparsa vestita e truccata come Bub (Storia vera).

«Dopotutto, domani è un altro giorno degli zombi!» (quasi-cit.)

Divertente anche se Romero, non ha mai voluto collaborare con la serie che, secondo lui, trasformava i suoi zombie in una (noiosa, aggiungo io) soap opera, costretti a fare solo da sfondo. Sacrosanto direi, perché “The Walking Dead” fumetto o serie televisiva, è solo il titolo più celebre e anche il più facile da citare, ma anche una delle opere che non sarebbero mai esistite senza il genio di George A. Romero, uno dei tanti piccoli zombie, che si aggira nella massa della cultura popolare degli ultimi trent’anni.

“Day of the Dead”, invece, è ancora il più riconoscibile, il Bub del gruppo, quello più intelligente, da cui tutto è iniziato e a cui, ammettiamolo, si vuole più bene di tutti. Niente male per un film che al botteghino nel 1985 andò anche piuttosto male. Ma si sa come sono gli zombie: lenti e costanti. Trent’anni dopo questo film si è davvero conquistato il posto che merita nella cultura popolare, gli zombie nel 2018 dominano ancora l’immaginario, Romero lo aveva già capito nel 1985.

Tranquillo Bub, anche io quando ascolto l’inno alla gioia ho la stessa reazione.

Ok gente! Piccola pausa natalizia per questa rubrica, ricominciamo a gennaio con un titolo a cui tengo moltissimo, l’unico modo possibile per migliorare un film di Romero? Aggiungerci una scimmia! Intanto, non perdetevi la locandina originale d’epoca di questo film, sulle pagine di IPMP!

Sepolto in precedenza venerdì 21 dicembre 2018

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