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Il giustiziere della notte (2018): grigio svogliato e pigro

Che fatica gente, cioè non che avessi aspettative per l’uscita
del remake di un classico come Il giustiziere della notte, in uscita nell’anno di grazia 2018, nel bel mezzo dell’Era
del buonismo cinematografico a tutti i costi. Però è una sofferenza per un
appassionato di cinema di genere come me, dover stare qui a parlare male di un
film scritto da Joe Carnahan, diretto da Eli Roth ed interpretato da Bruce
Willis.

Capitemi: è il classico titolo che vorresti veder funzionare
più che altro per quello che rappresenta, anche solo per non doversi ritrovare
ad essere parte del coro di persone che hanno demolito questo film, perché dài,
andiamo, un film con Bruce Willis che spara alla gente non può essere vero
cinema, no? Ecco, è proprio questo il problema perché alla fine questo “Il
giustiziere della notte” non è un brutto film, fa delle cose (poche) giuste e
ne sbaglia altre (tante), ma non è brutto, è svogliato, il che, forse, è ancora
peggio.
La storia produttiva di questo remake è lunga ed articolata,
il progetto era nell’aria da un pezzo, nella parte di Paul Kersey ci sarebbe dovuto
essere Sylvester Stallone (storia vera), ma la svolta vera è stata l’entrata in
scena di Joe Carnahan, nome che magari vi potrebbe dire poco, perché è famoso
giusto per il film sulla A-Team del 2010 e quella figata di “The Grey” (2011).
L’idea di Carnahan (che questo film avrebbe dovuto dirigerlo) era di avere Liam
Neeson come protagonista, ma alla fine Liam il suo bel quantitativo di
cattivone li ha uccisi lo stesso,
mentre Carnahan ha dovuto abbandonare la regia ed ora è là fuori che cerca
fondi per girare i suoi film, qualche volta ci riesce, ma la sua carriera non ha mai fatto il botto.

“Cerchiamo Joe Carnahan” , “Non è in casa, è uscito in cerca della sua carriera”.

Un remake di Death Wish sarebbe stata una scelta coerente per Carnahan, parliamo di uno che
avrebbe voluto dirigere un film su Daredevil,
ambientato negli anni ’70 con atmosfere alla “Taxi Driver” (1976), perché è
proprio al cinema di quel decennio che Joe si ispira, anche dalla sceneggiatura
è chiaro che l’idea era proprio quella, portare Paul Kersey nel nostro 2018.

Sapete cosa vi dico? Sarebbe stata una grande idea, perché, dai,
andiamo non facciamo i santarellini: la gente è incazzata, disillusione per la
politica e qualunquismo vanno mano nella mano, io ancora non ho ben capito chi
ha vinto le elezioni in questo strambo Paese a forma di scarpa, cioè quello
purtroppo l’ho capito, non ho capito bene chi ci governa, ma in ogni caso i
voti a casa li hanno portati parlando di sicurezza e cavalcando questa
polveriera emotiva che serpeggia tra le persone. Insomma, il 2018 non è tanto
diverso dagli anni ’70 su cui quel conservatore di Michael Winner, sganciò il
suo baffuto giustiziere fatto a forma di Charles Bronson, sollevando anche
polemiche, facendo discutere.
In questo senso, la scelta di Eli Roth era perfetta, anche
lui il cinema di genere degli anni ’70 lo conosce bene, certo, il ragazzo ha una
predilezione per l’horror con tanta emoglobina e gli Home Invasion, ma nel 2005 con “Hostel” (che piaccia o meno) ha riportato il sangue nei film dell’orrore che uscivano in sala ed
erano sempre più timidi, mettersi alla prova con il capolavoro interpretato da
Charles Bronson sarebbe potuto essere un nuovo banco di prova. Che, poi, a dirla
tutta, anche il nostro Bronson non era proprio un pischello quando ha
interpretato Paul Kersey, ma è riuscito comunque a ridare slancio alla sua
carriera, un po’ come avrebbe potuto fare Bruce Willis oggi. Insomma, perché non
fare tutti insieme un gran film capace di far discutere, incassare, rilanciare
carriere e toccare nervi scoperti? No, troppo difficile, facciamo una roba svogliata
che poi magari qualcuno si offende.

“Vado lì e lo ammazzo?” , “No Bruce, vai lì e gli chiedi gentilmente di smetterla di fare il criminale”.

Ribadisco il concetto: questo nuovo giustiziere della notte
non è brutto, ma caratterizzato da una svogliatezza generale che trapela ovunque, certo un paio di sparatorie azzeccate ci sono anche, Bruce Willis, quando
imbraccia il mitra, mette su il muso da Bulldog e falcia i cattivi continua a
funzionare, non si esce dalla sala con la voglia d’inseguire nella notte
attori, sceneggiatore e regista in cerca di vendetta, quello no, ma per certi
versi forse avrei preferito.

In questa versione della storia Paul Kersey non è più un architetto,
ma un dottore, dettaglio che funziona visto che garantisce al personaggio le
abilità necessarie per cucirsi da solo le ferite, cosa che fa davvero in una
scena armato di Attack, pistola spara punti e colla vinilica. No, non è vero la
colla vinilica non la usa, ma il resto sì.

Il giorno che avrò un Bulldog lo chiamerò Bruce.

Ah! Ho detto proprio Paul Kersey, proprio come il
personaggio del film del 1974, ennesima conferma che Joe Carnahan ha preso come
modello di riferimento il film di Michele Vincitore e non il romanzo di Brian
Garfield, peccato che poi il film faccia un errore tremendo, dimostrando di
aver capito poco o niente del film con Charles Bronson.

Il Paul Kersey di Bruce Willis è il classico tipo pacato e
tranquillo, dettaglio che viene sottolineato tre volte con il pennarellone a
punta grossa, inserendo all’inizio del film una serie di scene che servono
proprio a sottolineare quando Bruce qui sia uno che non risponde alle
provocazioni, non litiga alle partite di calcio della figlia Jordan (Camila
Morrone) ed è tutto dedito al suo lavoro e a sua moglie Lucy (Elisabeth Shue,
sempre un piacere rivederla).

Tranquilla Elisabeth, la tua parte nel film è veloce, una roba Shue Shue.

Quando dei tizi irrompono in casa sua, uccidono sua
moglie e mandano in coma sua figlia, il film si guarda bene dal mostrare la
violenza, scordatevi proprio che in un film del 2018 si parli anche solo per
errore di stup[NON DIRE QUELLA PAROLA CASSIDY!] ah scusate, non lo faccio più. Vi
dico che la morte della donna avviene fuori scena, si sente solo il rumore
degli spari, una roba che fa venir voglia di pensare: Eli Roth? Ti senti bene?
Sei ancora tu?

Ma il problema ENORME è un altro. Nell’originale Death Wish, Charles Bronson capiva
presto che gli aggressori della sua famiglia non sarebbero mai stati puniti, il
suo passaggio da obiettore di coscienza a freddo giustiziere con frasi ad effetto pronta che tutti ricordano a causa
dei vari seguiti, passa attraverso un
primo omicidio travagliato che lascia Kersey sconvolto a vomitare abbracciato
alla tazza del cesso. Venendo a mancare la morte e la punizione catartica degli
uomini che gli hanno distrutto la vita, Winner riusciva a mandare a segno un film
molto più ambiguo, in grado di far riflettere lo spettatore sulle sue posizioni
rispetto al farsi giustizia da soli.
Si può fare qualcosa che lasci il pubblico turbato nel 2018?
Ma che scherziamo?! Ecco perché il Paul Kersey di Bruce Willis, i bastardi che
hanno ucciso sua moglie e mandato in coma sua figlia non solo li trova, ma
riesce anche ad ucciderli, con uno di loro riesce anche a togliersi lo sfizio
di torturarlo un pochino, in quella che è l’unica scena con sangue di tutto il
film che mi fa tornare in voga la domanda: Eli? Sei sicuro di sentirti bene?
No sul serio, cosa ti è capitato?

“Tu lo hai visto Hostel? Lo vuoi rivedere?”.

Insomma, a questo nuovo “Il giustiziere della notte” manca
ogni sfumatura torbida, è un classico revenge movie in cui si prendono
totalmente le parti di Bruce Willis e si spera per tutto il tempo che faccia
fuori nel modo più doloroso possibile quei bastardi, a guardarlo così sembra
più uno dei tanti seguiti dell’originale (il quattro o il cinque) solo molto più svogliato, perché tutto è fatto
con il minimo sindacale di sbattimento, sembra la sagra della scelta facilona.

Al funerale della moglie il suocero gli fa un mezzo discorso
sulle responsabilità di un uomo, il tutto mentre spara con il fucile ad un paio
di bracconieri, giusto per dare quel tocco da western che c’era nel film
originale e che, quindi, non può mancare, ma senza tutta la riflessione sulla
società moderna che poi annoiamo il pubblico.

Alla sua prima sortita notturna Paul non vomita, ma si
ferisce ad una mano con il carrello della pistola, arma che trova a casa sua un
po’ per caso, così, perché almeno non perdiamo tempo a scrivere questo
passaggio. Dopodiché come aggiorniamo la storia al 2018? Facile, video tutorial
su Youtube! Come si smonta una Glock? Video sul “TuTubo”, come si rende
illeggibile un hard disc pieno di dati? Altro video sul TuTubo. Vuoi diventare
un giustiziere notturno e dimezzare il livello di criminalità della tua città? Ti
basta una connessione internet e un bel training montage, con magari in
sottofondo un bel bezzo rock, cosa scegliamo? Gli AC/DC vanno bene? Certo, li conoscono
tutti, quindi sotto con “Back in black”.

Cercava un tutorial in rete per aggiustare il lavandino, ha trovato gli AC\DC.

Ma poi io dico, di tutti i pezzi degli AC/DC, proprio “Back
in black” devi usare? Ma perché Paul Kersey gira di notte (con le anime perse) indossando
un cappuccio nero calcato sulla capoccia? Ma con tutta la discografia del
gruppo australiano a disposizione perché proprio la scelta più banale? Potevano
usare qualunque cosa, “War machine”, “If You Want Blood You’ve Got It”, persino Big Gun sarebbe stata
più adatta!

Per assurdo, anche il nome di battaglia che Paul Kersey si
guadagna sul campo ha ben poca fantasia, nel doppiaggio italiano viene chiamato
“Il mietitore” (ma sempre per via del cappuccio nero? Bah!), quindi riassumendo:
il personaggio non è guidato dal “Death Wish” del titolo originale americano,
ma non viene nemmeno chiamato “Giustiziere” come nel film del 1974 rendendo di fatto
inutile anche il titolo italiano… Insomma: un trionfo su tutta la linea!

“Io sono il Tristo Mietitore!” , “Pare che sia il signor La Morte, venuto per la mietitura” (Cit.)

Nella sagra della scelta precotta, a chi affidiamo il ruolo
dello sbirro sulle piste del “Mietitore”? Facile: facciamo venire giù Dean
Norris, uno che ha fatto davvero la gavetta recitando piccole parti in tutte le
serie e tutti i film che riuscite a ricordare, ma la riconoscibilità presso il grande pubblico l’ha conquistata
grazie al ruolo di Hank Schrader, lo sbirro ossessionato dal catturare Heisenberg
in “Breaking Bad”. Metti Norris in questo ruolo e non devi nemmeno sbatterti a
scrivere il suo personaggio, tanto il pubblico già lo conosce… Facile, no? Vi
prego non chiedetemi di commentare l’ultimo dialogo tra Norris e Willis, lo
sceriffo e il vigilante che nell’originale aveva un retrogusto western, mentre
qui preferirei non dirvi di che sa. Niente di buono, comunque.

“Questa è la puntata dove il mio personaggio Hank, si mette a collezionare minerali”.

A dirla tutta persino la realizzazione di Chicago è
svogliata! Visto che il film è ambientato nella “Città del vento” ogni tre per
due vengono fuori dialoghi che prevedono Michael Jordan e i Chicago Bulls, ora
essendo cresciuto nel mito di MJ apprezzo anche vedere Bruce che dice roba tipo
Lebron è bravo e potrebbe diventare il più grande, ma MJ aveva più stile e
prendeva il volo, però questioni di cuore a parte, è davvero la sagra della
banalità gratuita. Anzi ora che ci penso… La figlia del protagonista si chiama
Jordan, no, dai, però!

Il film, per essere proprio sicuro di non offendere
nessuno degli spettatori (vuoi mettere che poi magari non si mettono in fila
per vedere il film?) caccia giù per la gola alla trama un discorsetto sul
controllo delle armi che puzza di mossa paraculo da lontano un chilometro. Negli Stati Uniti puoi infilare nel carrello della spesa un fucile mitragliatore e
portartelo a casa insieme alle uova e ai cereali, la scena di Bruce Willis che
va nel negozio di armi e viene accolto da una biondona popputa e invasata con
le armi d’assalto è imbarazzante per quanto cerca di risultare satirica senza
riuscirci, il che è assurdo, perché Eli Roth aveva già dimostrato di poter
gestire stoccate al vetriolo sulle idiosincrasie del suo Paese, ricordate la
gag del “Fucile per i negri” (Cit.) di “Cabin Fever” (2002). Eli, terza ed ultima
chiamata per te. A casa tutto bene? Sei sicuro di non avere niente che ti turba?
Ti senti bene?

“Pim! Bang! Pam!” … Ok niente, Eli è andato. Ciao Eli è stato un piacere.

Anzi, visto che parliamo di lui diciamo proprio tutto: “Il
giustiziere della notte” è il lavoro più pettinato e formalmente curato mai
diretto da Eli Roth, la MGM per non sbagliare si è assicurata di contornarlo di
specialisti con un curriculum chilometrico, come Mark Goldblatt il montatore
preferito di James Cameron, per questo il film è molto ben fatto, ma nella filmografia
di Roth, anzichè sembrare una dimostrazione di maturità, somiglia di più al
bimbo pestifero a cui i genitori scolpiscono la riga nei capelli e fasciato
dentro il maglioncino bello viene portato a cena della nonna, mentre lui zitto
e buono mangia tutto masticando con la bocca chiusa. Eli ti prego, non ti ho
mai considerato un fenomeno, ma mi sei sempre stato simpatico, chiamami?
Scrivimi? Lasciami un commento sotto questo post non ce la faccio a vederti
così!

La parte più dolorosa per il finale (e credetemi non è
facile scriverlo) il film sbaglia quasi tutto ma Bruce Willis è una roccia, un
mastino che si carica sulle spalle tutta la pellicola? Purtroppo, nemmeno
quello. Vi lascio il tempo per il vostro coro di disappunto.

Forza e coraggio Cass, tocca affrontare la questione Bruce.

Sarà che ormai è troppo abituato a recitare in filmacci dove
compare due minuti sullo schermo e si fa pagare per mettere nome e faccione in
locandina, ma per restare su un paragone cestistico (visto che lui tira dentro
MJ mi lascio tentare) sembra un giocatore a cui manca il ritmo partita, fisicamente
sta una favola, sembra lo zio che non vedevi da un po’ e che ritrovi dimagrito
perché ora fa tanto sport, ma l’enfasi che ci mette è davvero poca, quando
dovrebbe farti capire il dolore del personaggio, recita con il pilota
automatico, per assurdo se lo stesso ruolo fosse stato affidato allo
sprecatissimo Vincent D’Onofrio che qui interpreta il fratello di Kersey
(premio speciale per personaggio più interessante e drammaticamente non
esplorato in un film che verrà dimenticato tra quattro minuti) sarebbe stato
più adatto, sicuramente avrebbe dato al personaggio qualcosa in più di così,
anche perché dare di più del niente è anche abbastanza facile.

“Scusi è già passato il 42 barrato?” , “Secondo te stavo qua se era già passato”.

La somma di tutte queste parti è un film che servirà a tutti
quei critici seri, quelli che fumano la pipa e bevono il Brandy davanti al
caminetto di casa, per ribadire quanto i film di genere siano robetta da
considerarsi minore, ma questa era una scommessa persa in partenza, godetevi il
vostro cicchetto serale, per questa volta vi è andata bene. Ho pollice e indice
puntati contro di voi.

Click, BANG! (Non capiti più che mi tocca parlare male di un film con Bruce, ok?)
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