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Il gladiatore (2000): il film che ha convinto tutti ad iscriversi in palestra (tranne Russell Crowe)

Il mio mondo è strano, io vorrei solo poter continuare a sfornare post dedicati ai film di Tony, lo Scott giusto, ma purtroppo ho già scritto di tutta la sua produzione (ciao Tony, manchi un sacco) e invece mi tocca affrontare titoli dell’altro fratello, quello anagraficamente maggiore ma minore per tutto il resto, il regista più amato a detta di chi commenta su “Infernet”, così tanto amato che ogni suo nuovo film in sala si traduce in un flop al botteghino, altrimenti Ridley, l’altro Scott, non avrebbe bisogno di resuscitare un suo titolo di culto nel tentativo disperato di tirare su due spicci al botteghino.

Sì perché è innegabile che “Il gladiatore” sia un film di culto, questo non vuol dire che sia anche un bel film, non lo è, però di culto senza ombra di dubbio, basta dire che io, storicamente etichettato come l’odiatore seriale di Ridley Scott che NON sono (ho le prove) ho visto e rivisto questo film un quantitativo esagerato di volte, l’unico in famiglia a vederlo più di me? Mio padre, il signor Cassidy Senior che ha consumato la VHS, tanto che ho dovuto regalargli il DVD, quello con la versione estesa da 170 minuti, il montaggio che contiene la fondamentale scena aggiuntiva, quella del rinoceronte in brutta CGI, un extra con cui proprio non potevamo non vivere, non so come abbiamo fatto tutti quegli anni a farci bastare la versione cinematografica da 155 minuti, senza il rinoceronte brutto.

Per i dettagli sulla fissa di Ridley per i rinoceronti, vi rimando QUI.

Troppo polemico? Gente, questa faccenda mi manda ai pazzi, filmografia contro filmografia, i film venuti fuori male a Tony Scott quanti sono? Uno? Parliamone. Quelli che fanno pietà nella filmografia di Ridley, lo Scott sbagliato e anche piuttosto borbottone? Eh gente qui il numero sale vorticosamente, gli esempi sarebbero tanti, siate oggettivi essù. Però Tony è stato etichettato come quello dei film di genere, Ridley invece è l’artista, poco importa poi se i suoi film più famosi sono uno slasher nello spazio, un film di fantascienza, un proto-Western e questo… Un Peplum. Non so voi ma a me sembrano tutti film di genere.

Il problema è che Ridley Scott in rete è un nome che pare intoccabile per motivi del tutto soggettivi, non c’è una valutazione oggettiva dei suoi lavori, siamo nel campo del “famoso per essere stato famoso”, lo dico sempre che Blade Runner è amato (come è giusto che sia) sì, ma per i motivi sbagliati, i fedele del Dio Ridley non ascoltano ragioni, barricandosi dietro ad un amore sperticato, che non mi permetterò mai di mettere in discussione, ma totalmente soggettivo per lavori come beh, “Il gladiatore”.

Lo chiamano Ispanico, ma non avrebbe dovuto essere Iberico?

Sono ventiquattro anni che mi guardo bene dallo scrivere di questo film, perché in rete ne ho disquisito infinitamente, l’imminente seguito (una storia nata già morta che farà soldi, forse, per l’effetto malinconia) è l’occasione per me per mantenere la parola data, avevo promesso che un giorno avrei scritto un post su questo film intitolato “il film che ha convinto tutti ad iscriversi in palestra (tranne Russell Crowe)”, un Cassidy mantiene sempre la parola data.

Cosa vi devo dire io esattamente del film più sopravvalutato della storia del cinema? La mia è una battaglia persona, se nemmeno confrontando le filmografie dei due fratelli molti sono disposti a contare quanti film scarsi, se non proprio davvero orrendi ha firmato Ridley in più rispetto a Tony io cosa posso dirvi? Nulla, se non il mio parere perché tanto anche la storia produttiva di questo film di culto è ultra nota, quello che posso sottolineare è come “Il gladiatore” abbia salvato il cul(t)o a Ridley, l’altro Scott.

Messi da parte i suoi due capolavori comprovati, per la precisione il film numero due e tre della sua filmografia, per anni Ridley ha girato in tondo collezionando scarsi risultati di critica e pubblico diventati titoli di culto ma dimenticati dai più come “Legend” (1985) e il mio preferito. Fino alla grande botta di culo, il primo titolo che ha salvato l’osso del collo a Ridley, quello per cui il nostro ha scippato la regia alla sceneggiatrice, mi riferisco a Thelma & Louise, su cui ho già largamente disquisito (più volte), altro titolo amato per i motivi sbagliato, ma poi? Un’infilata di titoli che i fan(atici) di Ridley non hanno mai visto o semplicemente ignorano: “1492 – La conquista del paradiso” (1992), “L’Albatross – Oltre la tempesta” (1996) e “Soldato Jane” (1997). Zero su tre, auch!

Magri e famelici. L’opposto di chiunque dopo le feste di Natale.

L’altro colpo di culo della carriera dell’altro Scott è appunto “Il gladiatore”, la sceneggiatura di David Franzoni ispirata a “Those About to Die” di Daniel P. Mannix a Ridley Scott non piaceva, forse perché sarà stato anche storicamente accurato il lottatore che avrebbe strangolato l’imperatore Commodo, ma come lo vendi un rude eroe di nome Narcisso al pubblico? Essù!

Scott fece riscrivere tutto al suo futuro fidato compagno di merende John Logan, che con idee brillanti e originalissime diede gran spessore alla trama de “Il glad… No, in realtà ha solo fatto morire la famiglia del protagonista per motivarlo, trasformando tutto in un film di vendetta in costume, al resto ci ha pensato Ridley Scott in modalità barocco e rococò come forse non è più stato in carriera, alla faccia di chi ancora sostiene che quello che faceva cinema laccato in famiglia fosse Tony, tzè!

Un uomo chiamato Cavallo incontro un uomo chiamato Russell

L’origine, o la scusa dietro alla quale si è barricato Ridley, il paraculo di casa Scott è stata l’ispirazione arrivata da “Pollice verso”, dipinto del 1872 del francese Jean-Léon Gérôme e qui oh, pensate un po’, quello stronzo odiatore seriale di Cassidy dà ragione a Ridley, perché se “Il gladiatore” si distingue è proprio per il suo aspetto laccato, quei suoi costumi senza la minima accuratezza storica (per quella tornate a bussare a casa dello Spartacus di Kubrick, regista a cui un tempo Ridley veniva associato e che proprio nel 2000 si è distaccato completamente), pieni di carri con le lame retrattili, balestre fuori contesto e armature color oro che però beccami gallina se non sono soluzioni fatte per colpire l’immaginario, e qui mi tocca aprire un capitolo del libro che trovo ancora più ridicolo di chi ancora si rifiuta di riconoscere Tony come quello figo di casa Scott.

Lo dico sempre, lo sosterrò fino allo sfinimento, il cinema non ha il dovere di essere realistico, deve avere una coerenza interna, vi potreste sentire presi in giro se ad un certo punto Massimo Decimo Meridio decollasse e iniziasse a volare come la fatina Capanellino, quello sì, ma le accuse di poca se non nessuna accuratezza storica per “Il gladiatore” servono solo a qualcuno per togliere la polvere dalla laurea in storia o per far scrivere oggi articoli acchiappa click. “Il gladiatore” altro non è un uno di quei vecchi “Sandaloni” come li chiamavamo in uno strambo Paese a forma di scarpa un tempo, laccato e pieno di momenti capaci di imprimersi a fuoco nell’immaginario collettivo, come dire, pronto a riceverli come un catcher del Baseball. Accusarlo di non essere storicamente accurato è una perdita di tempo come lo era per i nostrani Peplum o più della metà dei film prodotti nella storia del cinema, non è quello il problema di “Gladiator”, certo, il tipo che passa in jeans e cappellino da baseball in bella vista in una scena, di certo non ha aiutato.

In compenso il Colosseo è posticcio, ma sono comunque ventiquattro anni che i TG parlano di Crowe che torna a Roma. Nel 2000 non ci è mai stato.

“Il gladiatore” è piaciuto ad una platea maschile appassionata di vecchi “Sandaloni” che tutti questi problemi da cinefili snob non se li è mai fatti, ma è diventato un culto grazie a tutta quella porzione di maschietti che, in una frase come «Forza e onore», come dire, s’impettisce. Aggiungiamo poi una certa Romanità che gente, è un fattore, e capirete che tra appassionati de “a magica” e quelli con la paralisi al braccino destro, che tengono tutto dritto e rigido quando si salutano, questo film ha fatto una gran presa. Quanti amici formati a ghisa e proteine conoscete che hanno nel generale Massimo Decimo Meridio il loro idolo? Io che ho sempre preferito il ben più fragile (e pazzo) William Wallace non mi sono mai scaldato più di tanto per Russell Crowe, per quello ci hanno pensato altri.

Altra faccenda da non sottovalutare, quella ormonale, noi stiamo qui a fare la filosofia ma tanto, tantissimo pubblico va in sala per guardare gnocche e manzi, e il Russell Crowe del 2000 era fregno (notare l’uso del vocabolario romanesco, ho studiato) quel tanto che bastava da vivere ancora oggi di fregnitudine riflessa. Parliamoci chiaro, Connie Nielsen con la sua Augusta Lucilla, mangia gli spaghetti in testa a metà del cast del film, protagonista compreso, Oliver Reed che non è riuscito ad arrivare vivo alla fine delle riprese (tanto da aver bisogno di un controfigura in CGI, un po’ migliore del rinoceronte) era comunque portatore sano di carisma esattamente come Richard Harris che riesce a caricare il suo personaggio di tutto il tormento necessario, anche se il migliore in campo resta Joaquin Phoenix, per le mani un personaggio ingratissimo come il cattivo tutto da odiare Commodo, ma chiaramente quello interpretato con l’enfasi giusta, tanta che ci sono voluti in quantitativo esagerato di anni perché il grande pubblico capisse che il loro attore preferito Joker Joaquin, fosse proprio lo stesso de “Il gladiatore”.

Gioacchino Fenice ci piace? Ci piace? Pollice alto!

Non sto dicendo che Russell Crowe qui non sia carismatico, ma ha per le mani il tipo di ruolo in grado di farti sbancare che per il resto della carriera NON ha minimamente perseguito, lui che sognava di essere Marlon Brando era mille volte più bravo in “Master & Commander” che qui, trovo da sempre ironico il fatto che centinaia di persone, solitamente propense a fare di tutta l’erba un fascio (leggete tra le righe) siano corse ad iscriversi in palestra e a farsi tatuare le “frasi maschie” del personaggio, quando a Russell Crowe interessava solo metter su panza e diventare davvero come il suo eroe Marlon. Va bene che il neozelandese gode ancora oggi di gnocchitudine riflessa, ma personalmente ho iniziato ad apprezzarlo di più quando si è rilassato, lui e la circonferenza del suo girovita.

Un ruolo per congelarsi per sempre nella memoria (anche ormonale) del pubblico.

“Il gladiatore” è un filmetto laccatissimo, dove persino un tecnico come Ridley Scott ha aperto ad un montaggio frettoloso, a tratti grossolano e modaiolo tutto velocità velocità velocità, quello che pensate, molti attribuiscono – sbagliando – al fratello minore in realtà maggiore, anche se va detto che ogni scena di questo film è pensata per risultare patinata, una in particolare, il grano accarezzato con la mano è uscita da questo film per diventare patrimonio delle pubblicità della pasta di tutto il mondo e anche qui, i due fratelli hanno iniziato entrambi girato spot pubblicitari ma solo per uno dei due la faccenda viene ricordata come denigratoria. Visto che vi piace Massimo Decimo Meridio spero apprezzerete la mia testardaggine nel continuare a prendere a testate gli stessi muri (di gomma) cinefili.

Carboidrati e Russell, una storia d’amore (e di pasta)

Spogliato di tutto questo culto per Ridley resta un film di vendetta con un protagonista vestito da gladiatore invece che da, che ne so, Corvo? Anche qui le musiche hanno giocato il loro enorme peso, sono piuttosto convinto che la creatività, anzi lo dico meglio, la varietà che caratterizzava le composizioni di Hans Zimmer sia finita con “Il gladiatore”, il suo lavoro qui è splendido e spesso migliore una buona parte delle scene, ma dopo questo film il suo suono si è sempre più omologato fino all’era dei cinecomics che ha ampliato il problema, però se questo film è l’ultimo grande culto, il colpo di coda della popolarità di Ridley, lo si deve anche alle musiche.

Ora, io potrei anche andare avanti un’altra oretta, perché smontare le scene poco proprio credibili (tipo protagonisti abbandonati a bordo arena perché bisogna dare attenzione al protagonista) o quelle entrare nell’immaginario collettivo sia un esercizio sterile, molti continueranno a considerare “Il gladiatore” erroneamente il più bel film della storia, quando è chiaro che non lo sia, per altri invece il classico esempio perfetto quando si parla di film sopravvalutato, di sicuro per la seconda volta in carriera Ridley ha avuto più culo che anima ad imbarcarsi in questo progetto, di cui ancora campa di credito e rendita, ma se esiste un soggetto che non ha il minimo senso resuscitare per un seguito è proprio “Il gladiatore”, ma di questo parleremo – ahimè – a breve, ora vedremo se l’effetto malinconia servirà almeno all’altro fratello Scott per evitarsi l’ennesimo flop al botteghino. Per male che vada, saranno felici i gestori delle palestre.

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