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Il meraviglioso abito color gelato alla panna (1998): i cinque caballeros

Damas y caballeros, il venerdì è finalmente arrivato e per
affrontarlo al meglio, spero che abbiate indossato il vostro vestito più bello,
perché oggi tocca al nuovo capitolo della rubrica… Above and beyond!

Un giorno, qualcuno molto più quotato del vostro amichevole
Cassidy di quartiere, riuscirà per davvero a spiegare l’assoluta unicità di un
regista come Stuart Gordon, di mio posso solo suggerire a questo futuro
illuminato, un titolo per la sua opera che io immagino sotto forma di libro:
“Perché il mondo dovrebbe volere tanto bene a Stuart Gordon Vol. 1”, teniamoci
la porta aperta per un possibile seguito.

Le storie vivono di vita propria, seguono percorsi strani e
arrivano al pubblico dopo vari rimaneggiamenti, come un abito di sartoria
sistemato sulle maniche o sui gomiti, sono piuttosto certo che questo film lo
abbiamo visto in nove, devo ringraziare Don Max per la dritta giusta,
altrimenti avrei lasciato un buco imperdonabile nella rubrica, ma, più in
generale, mi sarei perso un film tutto matto, uno dei pochi tra i tanti che
vedo in grado di restarmi davvero in testa e poi, ammettiamolo: chi non vorrebbe
vedere un film che s’intitola “Il meraviglioso abito color gelato alla panna”?

No sul serio, trovate un titolo più figo di questo forza, voglio sentirlo!

Perché il mondo dovrebbe voler bene a uno come Stuart
Gordon, qualche spunto per il futuro biografico del regista di Chicago. Per
prima cosa perché il nostro Stuardo ha sempre affrontato i generi senza ombra
di puzza sotto il naso, con una gioia di raccontare storie e fare film che ha
anticipato il «Because we love making movies!», motto di battaglia che Tarantino
fa urlare in coro su tutti sui suoi set (storia vera).

Un tipo riservato il nostro Stuart, stessa faccia, stessi
occhialoni, stessa moglie per una vita intera e ben poche apparizioni ed
interviste, un tipo estremamente pratico, uno che amava fare film e tanto
bastava, proprio per questo trovo affascinante il modo in cui uno diventato
celebre per Body Horror Lovecraftiani, abbia avuto così tante collaborazioni
con la casa di produzione più lontana al mondo da questa tipologia di storia,
ovvero la Disney.

“Disney? Mickey el raton? Esto es loco!”

Quello che rende unico Stuart Gordon è il modo in cui
passando da B-Movie a produzioni costose prodotte dalla casa del Topo, sia sempre riuscito non solo a restare coerente con
le sue tematiche e la sua idea di cinema, ma soprattutto a non beccarsi accuse
di essersi “svenduto”, forse la sua capacità di passare sempre così sotto
traccia, gli ha permesso di restare sempre aderente alla sua poetica anche
nelle sortite fuori dal cinema Horror
o di fantascienza e vi assicuro che
più lontano da questi due generi, il nostro Stuart non è mai stato quando ha
diretto “The Wonderful Ice Cream Suit”, anche se, a ben guardare, il regista di
Chicago seppur con un film così apparentemente distante dalla sue corde,
risultava la scelta migliore dietro la macchina da presa, ma per capirlo, tocca
fare un passo indietro.

Come abbiamo visto, anche in questa rubrica, Gordon con la
fantascienza ci andava a nozze, non so voi, se penso alla fantascienza, uno
dei primi nomi che mi vengono in mente è quello di Ray Bradbury che non ha
certo bisogno di presentazioni, scrittore geniale che tutto il mondo conosce
per “Fahrenheit 451” (1953), ma giochiamo insieme al gioco dei sei gradi di
separazione, pronti?

Complice un (irripetibile) periodo di sperimentazione alla
casa del Topo, Bradbury è stato l’unico in grado di convincere la Disney a
produrre uno dei pochissimi film horror della sua vastissima filmografia, l’ottimo
e purtroppo dimenticato Qualcosa di sinistro sta per accadere. Però Bradbury nella sua lunga bibliografia ha
firmato anche il racconto intitolato “The Wonderful Ice Cream Suit” (1972), la
storia di un anziano alle prese con un bellissimo completo magico, in grado di
realizzare i sogni di chi lo indossa.

“Lo sai qual è la differenza tra me e te? Che io
vestito cosi, sono uno schianto” (cit.)

Questa storia ha avuto numerosi tentativi di adattamento,
molti dei quali andati a segno prima di tutto a teatro, ad esempio uno dei
primi ruoli teatrali di F. Murray Abraham è stato proprio un adattamento del
racconto di Bradbury (storia vera).

Quindi, quando Bradbury ha pensato di adattare lui stesso la
sua storia, in una sceneggiatura per il cinema, è abbastanza normale che i
primi a cui sia stata sottoposta furono proprio i tizi della Disney che, nel
frattempo, avevano una casa di produzione dedicata a tutte quelle storie
strambe, troppo forti per i bambini, ma potenzialmente perfette per i ragazzini
più grandi, la stessa Touchstone Pictures che anche grazie a Stuart Gordon
aveva portato a casa carrettate di
fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti. State cominciano a vedere
lo schema? Ultimo grado di separazione in arrivo.

Stuart Gordon arrivava proprio dal teatro e nella sua lunga gavetta aveva diretto anche un
adattamento di “The Wonderful Ice Cream Suit”… BOOM! Abbiamo il nostro uomo e
devo dirvi che [Cassidy inspira forte]
Il meraviglioso abito color gelato alla panna [Cassidy espira forte] è la somma di due autori liberi di esprimersi
al meglio, in un film che grazie alla spinta della Touchstone Pictures è stato
presentato anche al Sundance, ma per via della capacità di Gordon di muoversi
liberamente in quella zona grigia che sta tra la fama presso il grande pubblico
e le accuse di essere solo un regista in grado di fare il “compitino” è
poco altro, il suo film ha una vitalità, una creatività e una certa joy de
vivre, che è proprio il frutto di due autori liberi di raccontare la loro storia
in quasi totale libertà, non è un caso se Bradbury tra tutti i film tratti
dalle sue opere, ha sempre dichiarato questo come il suo preferito (storia
vera). Stuart Gordon 1, Francois Truffaut 0.

“Oddio ha citato Truffaut!”, “Un giorno Cassidy dovrà rendere conto agli dei del cinema per questo”

Con “Il meraviglioso abito color gelato alla panna”, Stuart
Gordon ha la possibilità di raccontarci ancora quell’umanità grottesca che ha
sempre saputo mostrare così bene nei suoi film, certo, il registro qui è più
volutamente comico e meno satirico del solito, anzi, si potrebbe dire che il
regista di Chicago guarda ai suoi protagonisti quasi con occhio benevolo, ma anche
qui l’umanità è raccontata in tutte le sue declinazioni più assurde, perché nel
passaggio da carta a grande schermo, i protagonisti passano dall’essere un solo
anziano, a ben cinque “latinos” che (sopra)vivono di espedienti, un film di
Monicelli con un elemento fantastico nella trama.

I titoli di testa con un’animazione realizzata con la
sabbia, ci portano subito in questa atmosfera “latina”, più che Coco, direi proprio I tre caballeros, anche se i caballeros qui sono cinque. Il primo
è Martinez (il fedelissimo di Gordon, Clifton Collins Jr.) un ragazzotto innamorato della bella vicina con cui non riesce
a scambiare mezza parola che in un’esilarante fuga a piedi dal padrone di casa
in cerca del suo affitto, s’imbatte in Gomez (altro giro, altro fedelissimo
ovvero Joe Mantegna con stuzzicadenti simbolo cinematografico di spavalda “ignoranza”), l’uomo ha un
piano, comprare un bellissimo vestito color gelato alla panna con cui è sicuro
farà un figurone, ma essendo spiantato e senza abbastanza soldi, s’inventa la
“mandrakata”.

Un vestito per tutti, tutti per un vestito (li ricordavo diversi i moschettieri)

Armato di metro e bilancia, cerca tutti quelli che hanno la
sua stessa corporatura, venti dollari a testa per comprare un vestito da
dividere e usare a turni ben precisi, l’aspirante sciupafemmine Dominguez (Esai
Morales) è già della partita, così come l’intellettuale Villanazul (Gregory
Sierra) problema: l’unico con il fisico giusto e i soldi mancanti necessari per
completare il piano è il lurido (ma lurido sul serio) Vamanos, uno che non si
fa un bagno dal 1988 ed è interpretato da un irriconoscibile Edward James Olmos.

Anche l’uomo spaventoso di “Mulholland Drive” scapperebbe davanti a lui.

Il bello di “Il meraviglioso abito color gelato alla panna”
è proprio questo spunto brillante che raduna una banda di protagonisti
che sono gli ultimi degli ultimi, perdenti nati con un sogno di gloria
rappresentato da un vestito che scintilla come Automan, così agognato e incredibile
da illuminare tutti quelli che lo guardano come il contenuto della valigetta di
“Un bacio e una pistola” (1955) o quella di “Pulp Fiction” (1994) che, poi,
tanto era una citazione al film di Bob Aldrich.

Era dai tempi del tanto blasonato “Tony Manero” (2008) che
non vedevo dei “latini” andare così in fissa per un vestito bianco, solo che “Il
meraviglioso abito color gelato alla panna” sostituisce all’impostazione seria e
drammatica del film di Pablo Larraín, trovate folli e un’atmosfera da cartone animato
che Gordon utilizza per scavare nelle grottesche abitudini dell’animo umano,
proprio come il citato film, ma senza i quintali di pesantezza.

Anche vestito e ripulito Edward James Olmos risulta sempre stropicciato.

Il bello di un film così è scoprire dove la storia vuole
andare a parare, i nostri scapestrati eroi non sognano poi troppo in grande, ma
da spettatori l’attesa di vedere come utilizzeranno l’agognato abito diventa
spasmodica ed ognuno lo farà a suo modo. Gomez, ad esempio, è quello con il
piano più a lungo termine, quasi sensato per uno che Joe Mantegna interpreta
con il simbolo universale di ignoranza cinematografica, ovvero lo stuzzicadenti
sempre in bocca.

Martinez proverà a fare colpo sulla sua bella, arrivando a
capire perché non gli abbia mai riservato nemmeno uno sguardo, ma il più spassoso
ed esplosivo resta Dominguez. Trattandosi di un film finanziato
(indirettamente) dalla Disney, Stuart Gordon s’inventa una trovata brillante:
sostituire il ballo al sesso… D’altra parte sono due tipi di frustrazioni che
si esprimono una orizzontalmente e l’altra verticalmente, no? Quindi, lo
sciupafemmine con il suo abito nuovo, “balla” con metà delle donne del
quartiere, se non proprio di tutta la città. Sulle note della trascinante “Muevete”,
Gordon manda a segno un numero da musical vero e proprio, che finirete per
cantavi per ore dopo la visione del film e che sembra gridare fortissimo: La La Land levati, ma levati proprio.

E Damien Chazelle… MUTO!

Un altro momento caratteristico è quando i nostri caballeros
devono trovare il modo di infilare Vamanos nel vestito senza ridurlo ad uno
straccio lurido. Tra il bagno con tosatura forzata, fino all’uso spregiudicato
che l’uomo una volta ripulito fa dell’abito, “Il meraviglioso abito color
gelato alla panna” diventa un grosso cartone animato, in equilibrio tra il
folle, il comico e il grottesco. Si ride per le trovate sopra le righe e si
resta incollati allo schermo anche solo per capire fino a dove si potrò
spingere questa storia tutta matta.

“Il meraviglioso abito color gelato alla panna” si gioca la
carta dell’apologia dell’amicizia, un film piccolo, creativo, coloratissimo
malgrado l’abito al centro della storia, sia di un bianco candido in grado di
illuminare lo schermo. Di tutti i film rivisti in questa rubrica dedicata a
Stuart Gordon, questo era l’unico che non avevo mai visto e devo dire che sono
contento di averlo scoperto, perché quando sei troppo strano anche per la
Disney, vuol dire che sei qualcuno e questa mi sembra la metafora migliore di
tutta la carriera (irripetibile) di Stuart Gordon, un giorno tutto il mondo gli
vorrà bene, anche se sarà più facile che succeda quello che trovare una copia
di questo film, non che per gli altri di Gordon sia più facile, eh?

Los tres cinco caballeros.

Con questo capitolo vi ho strapazzati per benino, sono
piuttosto sicuro che nessuno si sarebbe aspettato questo film oggi, prossima
settimana, invece, si passerà ad uno strapazzamento di tipo più canonico per le
abitudini di Gordon, portatevi pinne, fucile ed occhiali, ci sarà un po’ da
nuotare.

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