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Il mio nemico (1985): guerra, pace e bromance secondo Wolfgang Petersen

Immagino che abbiate più o meno fatto tutti le scuole medie no? Quindi avrete avuto un’antologia per l’ora di Italiano, nella mia era presente anche un classico della fantascienza, “La sentinella” (1954) di Fredric Brown.
Il protagonista di quel breve racconto è un soldato impegnato in una guerra interplanetaria su un pianeta alieno ostile, contro l’unica altra razza intelligente dello spazio. Il freddo, il fango della trincea, la gravità doppia rispetto al suo pianeta natale e la luce di quella strana stella che illumina tutto, l’eterna distinzione in classi tra la fanteria e quelli dell’aviazione con le loro navi tirate a lucido, fino all’incontro con il nemico, sparagli Piero sparagli ancora e dopo un colpo di laser, sparagli ancora, salvo poi concludere il racconto alla grande, al protagonista basta un’occhiata al nemico ucciso per considerarlo una creatura schifosa, solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante e poi, niente squame. Nel 1954 Fredric Brown ci regala il più classico dei «M. Night Shyamalan lèvati, ma lèvati proprio» sedici anni prima della nascita del regista di origini indiane. Quando ai tempi il vostro giovane Cassidy di quartiere lesse in classe questo racconto, la sua reazione fu chiara e netta: «Ma questo è ‘Il mio nemico’ di Wolfgang Petersen» (storia vera).
Il corpo insegnanti della Scuola Petersen per giovani cinefili di genere.
Già, Wolfgang Petersen che ci ha lasciato qualche settimana fa in un silenzio quasi fastidioso, considerando quanto vengano incensati registi che in carriera, hanno creato molta meno iconografia del tedesco, uno che sapeva gestire anche i budget medio alti, che con l’attore giusto era una sicurezza nel suo mandare a segno film con cui siamo cresciuti in tanti, a partire dal celeberrimo La storia infinita che mi ha sempre convinto che Petersen, fosse una sorta di Richard Donner teutonico, non per paragonare i due tipi di talento, quanto per averci a suo modo fatto da balia con i suoi film proprio come Dick Donner e di aver tirato su una generazione di teledipendenti con metodi beh, più teutonici. Quanti non si sono mai ripresi da Artax nelle paludi della tristezza? Ecco, quel tipo di approccio intendo, calorose e amorevoli pacche date a mano aperta sul coppino di una generazione, formativi segni d’affetto cinematografico, in un’epoca dove forse, ci preoccupavamo un po’ meno che le storie fossero avvolte nel pluriball, per non urtare nessuno.Ecco perché per ricordare Wolfgang Petersen inizio da qui, spero di portare altri suoi titoli su questa Bara ma trovo sia giusto partire da “Il mio nemico” perché i tempi matti targati 2022, fanno di questo film di culto un titolo ancora attualissimo, liberamente adattato per il grande schermo a partire dal pluripremiato romanzo breve “Mio caro nemico” (1979) di Barry Longyear. Un film voluto da Petersen dopo l’enorme successo di La storia infinita, quindi per certi versi un titolo molto sentito, se non proprio quello della vita per il regista di origini tedesche e come spesso accade con il secondo film dopo quello della consacrazione, mega-flop con il botto, al netto di una spesa di circa quaranta milioni di fogli verdi con sopra facce di lucertole aliene ex presidenti defunti, il film al botteghino ha raccolto risate, conquistandosi il suo pubblico a colpi di repliche e passaggi televisivi.

«Dammi una Fanta», «Fanta che? Vuoi della fantascienza da bere?» (cit.)
Un buon film di formazione per quello che mi riguarda, perché nella pancia di “Il mio nemico” ci sono dentro almeno un paio di classici bellici, declinati in chiave fantascientifica, non è chiaro se fossero anche i modelli di riferimento per Barry Longyear, ma è impossibile non pensare a “Duello nel Pacifico” (1968) di quel drittone di John Boorman, dove durante la seconda guerra mondiale, il pilota yankee Lee Marvin si ritrovava a convivere con quello giapponese Toshirō Mifune, precipitati sullo stesso isolotto, divisi da problemi linguistici e schieramenti opposti, solo per scoprirsi più simili di quello che potevano immaginare. Un soggetto base che in “Il mio nemico” si mescola con un altro titolo in qualche modo equiparabile, ovvero “Furyo” (1983) di Nagisa Ōshima con il soldato David Bowie e una sotto trama omosessuale che oh! Comunque va messa in conto anche per il film di Petersen, ma come avrebbe detto Anders Celsius, andiamo per gradi.Nel tardo ventunesimo secolo, infiamma la guerra tra umani, barricati in un avamposto spaziale che loro chiamano casa e i terribili alieni Drac, una specie rettiloide, ermafrodita, che ha messo le loro squamose e viscide zampacce su tutti i territori che interessavano agli umani. Pronti via Wolfgang Petersen sottolinea tutto questo mostrando cadaveri umani svolazzare a gravità zero, prima che gli eroici piloti umani decollino a dare la caccia a quelle schifose lucertole: America Terra FUCK YEAH!

«La macchina Tuck Pendelton Willis E. Davidge zero difetti!» (quasi-cit.)
Il più ganzo dei “Top Gun” ganzi è Willis E. Davidge quello che normalmente definiremmo un razzista ma che in guerra, viene considerato solo molto motivato ad abbattere i maledetti Drac, ad interpretarlo è uno che a quel punto della sua carriera aveva già accumulato parecchie ore di volo, ovvero Dennis Quaid, qui alla prese con uno dei titoli con cui è diventato una faccia nota e rassicurante nelle infanzie di tanti di noi.Rallentato da un co-pilota evidentemente distratto dall’appuntamento con la tipa che lo aspetta in serata (sul serio, lo presentano così), Davidge viene abbattuto, ma non prima di riuscire a colpire la navetta Drac, per la serie: se vado giù tu vieni con me bastardo! Precipitato su un pianeta ostile, Wolfgang Petersen non perde l’occasione di mostrarci quanto lo sia per davvero, concentrandosi su sabbie mobili letali (una fissa per il regista dopo Artax!) dalla quale spuntano letali tentacoli in grado di divorare vive anche quelle equivoche tartarughe dal guscio indistruttibile e dalla testa a forma di, vabbè la lascio valutare a voi la forma, non voglio influenzarvi.

«Sta facendo allusioni quel tuo stupido simile della Bara Volante per caso?»
Su questo pianeta dove se non ti uccide la fame, il freddo, le bestie mortali in circolazione, possono farlo le estemporanee piogge di meteoriti che colpiscono con puntualità, Davidge si ritrova solo con il pilota Drac abbattuto, avvistato nudo, in un trionfo di squame a farsi il bagno in una pozza. Il tentativo di ucciderlo da parte dello yankee dell’umano si risolve in una sua cattura, legato e affamato, viene nutrito dall’alieno che gli fa mangiare un vermone dalla forma, vabbè la lascio valutare a voi la forma, non voglio influenzarvi.
«Uhm lo sai che sei carino caro il mio nemico?»
Il Drac ha un nome improbabile che l’umano decide si pronuncia una cosa tipo Jerry, visto che il pianeta è più motivato ad uccidere entrambi della rispettiva voglia di ammazzarsi tra nemici, Davidge e Jerry diventano quasi amici, nel senso che questo è uno dei pochi film dove le differenze linguistiche hanno un peso, dove lo scorrere del tempo è determinato dalla crescita della barba di Dennis Quaid e dove l’odio tra nemici in guerra, viene pian piano soppiantato da un “Bromance” di quello che tende un po’ a scappare di mano, ok si tratta a tutti gli effetti di amicizia virile, da questo punto di vista il film di Wolfgang Petersen è inattaccabile, anche se poi i due protagonisti si ritrovano in situazioni “ambigue” su cui “Il mio nemico” a volte scherza e il più delle volte, basa la forza del suo messaggio.Sotto le squame di Jerry, dietro a quel trucco fighissimo fatto di denti strani e tempie pulsanti, ci sta un altro eroe dell’infanzia come Louis Gossett Jr. che al pari di Petersen è destinato a prendersi più spazio su questa Bara. Jerry con quel suo modo di pronunciare strano il nome Davidge, quella risata che pare un colpo di tosse e il suo libro del Talman, che somiglia parecchio all’umano Corano è brutto da vedere quanto tenero nei comportamenti, poi una brutta faccia è meglio che non vederne nessuna e morire da soli su un pianeta ostile no?

«Comunque mi stai antipatico», «Ha parlato mister simpatica»
Il film di Wolfgang Petersen non tira via la mano su quanto possa essere dura la convivenza tra ex soldati addestrati ad odiare il nemico, ma anche tra due testoni intergalattici come Jerry e Davidge, che finiscono a convivere per cause di forza maggiore («Jerry vecchio mio, dove saresti senza di me?», «In mio casa»), in quell’equilibrio sottile che sta tra, ti ammezzerei con le mie mani però ho bisogno di te se voglio salvarmi la pelle. Trovare un rifugio fatto con i solidi gusci della tartarughe o insultare le rispettive divinità (tra cui Mickey Mouse, per un tragico errore di comprensione, qui elevato al rango divino) è la routine in questa sorta di “Casa Vianello” spaziale, dove a tener banco è proprio l’approccio da zio bonario ma con le mani pesantissime di Wolfgang Petersen.
«Sempre io e te, tu ed io. Va che son stufa eh?» (cit.)
Già perché l’educazione Petersiana prevede mettere una generazione di spettatori davanti al fatto compito che la guerra rende delle bestie ben peggiori degli squamosi Drac chiunque, se noi pensiamo di loro che siano dei bastardi invasori per altro inguardabile, facendo propria la lezione di Fredric Brown, non è detto che loro ci stimino. Ma allo stesso tempo, davanti al freddo, alla fame e ai meteoriti siamo tutti uguali, per certi versi insignificanti per altri importantissimi, resi tali dai nostri affetti o dagli alberi genealogici che ci hanno generato a cui Jerry tiene tantissimo. Quando sparisce l’ideologia bellica, la politica, la religione e vengono a cadere le distanze dettate dal mirino di un’arma, da una tastiera e uno schermo, il mio nemico potrebbe essere un povero stronzo proprio come me, con amici, parenti una casa a cui tornare e per assurdo, uno di quegli amici potrei essere proprio io se solo la smettessi di odiare per partito preso. Caramelloso? Forse, ma raccontato a suon di sganassoni parcheggiati sui nostri coppini da Petersen.
Altro giro, altro tema, altra randa di educativi schiaffoni da parte della nostra balia teutonica: e se gli effetti a lungo termine della solitudine si facessero sentire? “Il mio nemico” non è un film che oggi potremmo definire “Queer”, non c’è ombra di sesso tra i due protagonisti, eppure quando Davidge torna e trova Jerry incinto, la sua prima reazione è ridersela dicendo: «Non guardare me eh?»
Amare vuol dire non dover mai dire mi ARGHTHAGAT (in lingua Drac suonava meglio)
I Drac sono così, magari sono in coda alla posta e ZAC! Si ritrovano incita, incinti, non so nemmeno che pronome usare, insomma con il pancione, capite da soli che una coppia di uomini (perché d’istinto Dennis Quaid e Louis Gossett Jr. mi viene da riconoscerli come tali) con un bimbo in arrivo portano il film su tematiche dove il “Bromance” è scappato di mano e gli effetti dell’educazione Petersiana sono chiari, quando il film ormai ti ha acchiappato come una delle amate (amate?) sabbie mobili del regista e qui che iniziano a volare i coppini formativi veri.Jerry ci lascia, non prima di aver partito il piccolo Zamis che in quanto Drac, cresce più velocemente dei bambini umani, Davidge si ritrova zio, mammo, papà e insegnante di Football del figlio del suo ormai ex nemico, lui che odiava i Drac sopra ogni altra cosa ora morirebbe per salvarne uno dalla mani dei biechi cacciatori di rottami, umani che somiglia tanto al Davidge dell’inizio del film e in quanto cattivissimi, sono fatti a forma di uno dei più cattivi del grande schermo, quel mito di Brion James.

Difficile trovare qualcuno di più cattivo di Brion James, intendo in tutta la galassia.
L’ultimo atto di “Il mio nemico” sancisce la definitiva trasformazione di Davidge, mentre Wolfgang Petersen ci regala una sbirciata sulla tecnologia futuristica a bordo dell’avamposto umano (una figata di effetti speciali vecchia maniera) e il compositore Maurice Jarre, sottolinea ogni passaggio di questo film al meglio, che sia drammatico, comico o sognante non importa, perché Jarre ha il pezzo giusto per tutto. Come finisce “Il mio nemico” non ve lo racconto nemmeno, ho già detto troppo su una trama con cui siamo cresciuti in tanti, mi va di sottolineare solo l’ardore, la volontà di non mollare mai di zio Davide, mamma chioccia pacifista rinato si, ma incazzato nero che ad ogni visione, mi fa fare il tifo per Dennis Quaid che entrato in modalità “berserk” permette al suo regista di tirarci altri due schiaffoni, anche perché trovatemelo un altro film per ragazzi dove non solo i cattivi cadono dentro enormi ingranaggi, ma il regista ci mostra i corpi che vengono accartocciati. Formazione cinematografica buona, educazione d’altra tempi, mi sono diplomato alla Scuola Petersen per giovani cinefili di genere (quale? Mah!) e ostento fieramente il diploma.
«Questo dito si chiama pollice», «Per noi Drac quelle non sono le dita»
Perché “Il mio nemico” si merita il suo meritatissimo stato di film di culto e ancora oggi, risulta più attuale che mai? Perché ogni cazzo di volta che due fazioni identiche decidono di iniziare una guerra di merda per qualche ragione persa tra i flussi del tempo, mi rendo conto che non sono stati distribuiti abbastanza diplomi alla Scuola Petersen per giovani cinefili di genere (quale? Mah!) o che qualcuno ha dimenticato le lezioni impartite a colpi di cinematografici coppini.
Anche perché altrimenti non mi spiego il terrore di molti, barricati nella guerra di trincea da tastiera, di fronte a prodotti d’intrattenimento rivolti ad un pubblico più o meno giovane, in cui la rappresentazione della diversità e delle minoranze rappresenta per loro, una minaccia peggiore dei Drac. Sul serio gente, siamo cresciuti con il Bromance tra Dennis Quaid Louis Gossett Jr. con quest’ultimo nei panni di una lucertola ermafrodita di 1,90 intenta a partorire, sul serio può risultare spaventosa una puntata di Sex Education? Eddai su, fate i bravi!
«Mazz’ e panell’ fann ‘e figl bell», «É un proverbio tedesco Wolfgang?»
Ci tengo molto al mio diploma conseguito a forza di coppini sulla nuca e ancora di più, ci tenevo a dire ciao ad un regista che ha tenuto a battesimo tanti di noi grazie ad una solida formazione cinematografica orgogliosamente di genere. Forse dovremmo ricordare più spesso il valore di Wolfgang Petersen e del suo cinema, io l’ho faccio spesso quindi beh, ciao anzi auf wiedersehen, ci vedremo ancora su questa Bara e là fuori, nello spazio profondo dei film.
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