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Il mio nome è Remo Williams (1985): schivare le pallottole con grande stile

Se vi dico “Schivare le pallottole” voi a cosa pensate? Se avete risposto una di queste tre parole a caso, “Keanu”, “Matrix”, o “Reeves” le cose sono due: o siete troppo giovani, oppure siete vittima di una grande ingiustizia cinematografica, siete stati privati nella vostra vita dell’occasione di fare la conoscenza di Remo Williams, l’eroe che tutti vorrebbero essere!

30 anni fa, il 14 Marzo 1986, usciva in Italia “Il mio nome è Remo Williams” (Remo Williams: The Adventure Begins) un film divenuto di culto per una generazione, per quei pochi che hanno avuto la pazienza (o la fortuna) di scovare questo film. Per celebrare a dovere il compleanno, ho fatto squadra con il mitico Lucius, che non solo ha sfornato il banner che vedete qui sotto, ma sul suo blog Il Zinefilo racconta, a suo modo, il film di Remo Williams.

Basato su una lunga serie di romanzi “The Destroyer” di Warren Murphy e Richard Sapir, Remo Williams è un personaggio con un quantitativo di materiale alle spalle notevole, pensate che sul finire degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 la Marvel Comics gli ha pubblicato una serie a fumetti tutta sua.

«Questo legge solo fumetti della Distinta Concorrenza, che faccio lo butto nel bidone dell’umido?»

Se volete sapere tutto dei romanzi e dei fumetti dedicati a Remo Williams, qui sotto trovate un infilata di collegamenti ai blog di Lucius, ed occhio che dopo vi interrogo!

Gli Archivi di Uruk presenta il personaggio nella sua vita letteraria italiana.
Fumetti Etruschi racconta di quando il fumetto di Remo provò ad uscire in Italia.
CitaScacchi racconta di una partita a scacchi tra Remo contro un cattivo nazista, in uno dei rari suoi romanzi usciti in Italia.
“IPMP” (Italian Pulp Movie Posters) presenta la locandina italiana apparsa sui giornali dell’epoca.
Non quel Marlowe presenta note personali sui romanzi usciti in Italia.

In occasione di questo compleanno sono andato a rivedermi “Il mio nome è Remo Williams” con enorme piacere, ritrovando un film invecchiato alla grande, grazie anche ad una grande ironia che distingue iquesta pellicola, ma parliamo un po’ della trama ora.

Durante un turno notturno, il poliziotto Makin (Fred Ward) viene aggredito da alcuni criminali, dopo una rissa da cui este pesto ma vincitore, la sua auto finisce nel fiume… Con lui dentro. Creduto morto, si risveglia in un ospedale, con una nuova faccia e una nuova identità, l’agente reclutatore Conn MacCleary (J.A.Preston) gli comunica il suo nuovo nome (a questo punto dovreste averlo già intuito), ma soprattutto il suo nuovo lavoro, ovvero: essere “L’undicesimo comandamento” per l’agenzia segreta indipendente chiamata CURE, il cui compito è quello di eliminare, per conto del Presidente (“Il presidente di che?” Cit.) tutti i nemici del governo, come il costruttore di armi George Grove (Charles Cioffi) colpevole di fornire fucili e difettosi all’esercito.

The man from C.U.R.E.

Ma prima di entrare in azione, Remo dovrà superare le lunghe e complicate sessioni di allenamento di Chiun (Joel Grey), Maestro Coreano di Sinanju e vostro prossimo personaggio preferito della storia del cinema, garantito al limone! L’idea del film nasce come alternativa americana a James Bond, infatti l’uomo dietro a tutta questa operazione è proprio il regista Guy Hamilton, famoso per molti capitolo della serie dedicata all’agente 007 (Goldfinger, Una cascata di diamanti, Vivi e lascia morire e L’uomo dalla pistola d’oro), ma anche del seguito de “I Cannoni di Navarone”, ovvero “Forza 10 da Navarone”.

Il film è stato scritto da Christopher Wood, ma Guy Hamilton ha candidamente ammesso di aver riscritto molte parti della sceneggiatura, compresa la scena della Statua della Libertà (lasciatemi l’icona aperta che ripasso…), per rendere fede alla sua idea, ovvero creare la risposta americana a James Bond, con un personaggio molto più “Operaio” (Guy Hamilton lo ha definito proprio “Blue collar”), ma anche molto più sopra le righe, se pensate che l’agente segreto più famoso del mondo sia sempre stato uno spaccamontagne, è soltanto perché non sapete cosa è in grado di fare Remo Williams!

Per la parte del protagonista, per un po’ è stato preso in considerazione anche Ed Harris, considerando l’infilata di personaggi fighi interpretati in carriera da Harris, se avesse avuto anche Remo Williams sul suo curriculum, sarebbe assorto al Valhalla cinematografico della figosità, in compenso, la storia ha voluto che per la parte, venne scelto uno dei pochi bipedi sul pianeta più fighi di Ed Harris: Fred Ward.

A Ferdinando Reparto bastano DUE dita di violenza.

Ex soldato in Vietnam passato poi alla recitazione, con un figlio primogenito di nome Django (storia vera) e una serie di titoli clamorosi in carriera, Fred Ward è una specie di icona vivente. Per tutti quelli della mia leva, è ricordato principalmente per i suoi ruoli in Tremors e Tremors 2, in cui ho già avuto modo di cantarvi le sue lodi, ma Remo Williams è il personaggio che lo ha reso celebre, anche perché il faccione da Bulldog di Ferdinando Reparto e la sua ironia, sono totalmente azzeccati per il personaggio.

Il film è popolato da tutte le facce giuste: il capo dell’agenzia CURE ha i baffoni di Wilford Brimley (visto anche ne “La Cosa” di John Carpenter), l’iconico sgherro cattivo con il diamante incastonato nel dentro (parodia degli tirapiedi Bondiani come Jaws o Le Chiffre) è il grande Patrick Kilpatrick e, per altro, guardando il film qualche giorno fa, mi sono reso contro che il Maggiore Rayner Fleming interpretato da Kate Mulgrew, è la stessa Kate Mulgrew che interpreta la mitica Red in Orange is the new black, solo qualche anno dopo.

«Ecco dove ti avevo già vista soldatina»

Menzione speciale per l’agente reclutatore Conn MacCleary, interpretato da J.A. Preston, la sua principale caratteristica, resta celata per tre quarti di film, almeno fino alla fantastica scena dell’irruzione nella fabbrica della Grove, non vi dirò nulla per non rovinarvi la sorpresa, ma ancora oggi resta una chicca notevole, in un film che compie 30 anni.

Ma staremmo qui a parlare dell’aria fritta, se non citassimo il personaggio che divide lo schermo con Remo, ovvero il Maestro Chiun. Interpretato dall’attore americano Joel Grey, già premio Oscar nel 1973 per il film “Cabaret”. Grey non ne voleva sapere di interpretare il personaggio, per due ragioni: la prima, la sua totale ignoranza in fatto di arti marziali, la seconda ragione, il fatto di NON essere Coreano… A pensarci, un dettaglio non da poco.

«Oddio ora attacca con la solfa sul glutammato monosodico»

L’attore si convinse ad accettare la parte solo dopo aver parlato con Carl Fullerton, responsabile del trucco e degli effetti speciali per il film, che gli mostrò come avrebbe potuto renderlo un credibile maestro Coreano 80enne usando solo il make-up, il risultato fu così efficace che Fullerton quell’anno venne nominato agli Oscar per la sua prova, ma senza vincere il dorato premio, altro motivo per cui questo film è rimasto così invisibile per tanti anni.

Niente di meglio che una bella passeggiatina sul cornicione di primo mattino.

Chiun incarna alla perfezione tutte le caratteristiche del maestro cinematografico, ha qualcosa di Yoda e qualcosa del Miyagi di “Karate Kid”, solo che essendo Coreano si ritiene superiore a tutti gli altri (specialmente gli odiati Giapponesi) quasi al limite del razzismo, in particolar modo tratta Remo con malcelato schifo, come fa del resto con qualunque attività tipicamente americana, dal Fast Food («Do you know why Americans call it fast food? Because it speeds them on the way to the grave») all’utilizzo degli orologi, considerati trucchetti inventati dagli Svizzeri. Unica concessione alla modernità del maestro? Le soap opera che considera un altissima forma d’arte e di cui non si perde una puntata (storia vera).

Una posa comoda per guardare la TV.

Ma il maestro Chiun può contare su un altro primato, ovvero: la più bella entrata in scena della storia del cinema e se tale non dovesse essere, è almeno nelle prime cinque posizioni di questa ipotetica classifica. Quando Remo piomba nel suo appartamento e gli spara addosso, Chiun evita una dopo l’altra tutta le pallottole, per poi togliere il caricatore della pistola di Remo con un solo (fighissimo) gesto. Per imitare lo stesso gesto, il nostro Remo impiegherà un intero film scandito da duri allenamenti, tutti conditi dalle frasi motivazionali di Chiun, roba del tipo: «Fear is just a feeling. You feel hot. You feel hungry. You feel angry. You feel afraid. Fear can never kill you.»

«Keanu Reeves? Neo? Mai sentiti nominare»

Sono proprio gli allenamenti di Remo a rendere questo film un vero spasso, nel tentativo di perfezionarsi con il Sinanju (“Ricorda, la perfezione è un percorso, non il punto di arrivo!”) Remo è costretto a fare le cose più pazze: saltellare sui pali installati nell’appartamento di Chiun o tentare di camminare sul cemento liquido, il tutto migliorando nel corso dei minuti del film, diventando un guerriero quasi accettabile anche per Chiun… Per essere un non-Coreano ovvio.

Il film spesso ha un taglio un po’ troppo televisivo, bisogna dirlo, tanto che come avrete intuito dal titolo originale (Remo Williams: The Adventure Begins), avrebbe dovuto essere solo il primo capitolo di una lunga serie, purtroppo gli scarsi incassi hanno posto prematuramente fine all’iniziativa, anche se un timido tentativo è stato fatto, nel 1988 la serie tv “Remo Williams: The Prophecy” ha fatto il suo esordio, con Roddy McDowall nai panni di Chiu e Jeffrey Meek in quelli di Remo. Ora, però, mi tocca citare “Pulp Fiction”, voi siete al corrente di un’invenzione chiamata televisione e che in questa esistono una cosa chiamate serie? Bene, allora avrete già capito che dopo il pilot, la serie è diventata niente, mettendo per sempre la parola fine alla trasferta di Remo sullo schermo, piccolo o grande che sia.

Ma “Il mio nome è Remo Williams” resta un film bellissimo per svariate ragioni, tra cui i suoi dialoghi a tratti micidiali, il mio preferito?  Facile! Il discorso motivazione dell’agente reclutatore: «Tutto ciò che posso prometterti è terrore per colazione, tensione per pranzo, esasperazione anziché sonno, le tue ferie dureranno due minuti, se non ti uccideranno prima e se vivrai tanto da avere una pensione sarà un miracolo.»

«Non guardare in basso, non guardare in basso, non guardare in basso»

L’Ironia con cui tutto il film viene affrontato, rende la pellicola una specie di cartone animato con attori in carne ed ossa, con il passare dei minuti, man mano che Remo apprende le lezioni del maestro Chiun, il personaggio può permettersi cose sempre più folli, tipo farsi sparare addosso (“hai usato le altre quattro [pallottole] ieri”,  “Ho ricaricato”) o attraversare al volo enormi cumuli di sabbia. Saltandoci dentro!

Se non avete visto il film, mi rifiuto CA-TE-GO-RI-CA-MEN-TE di descrivervi le ultime due scene, lo scontro finale con il cattivo e la fuga via acqua di Remo e Chiun, vi dico solo che anche voi vi ritroverete ad affermare: «Chiun, you’re incredible!» (risposta: «No! I am better than that.»)

La vostra faccia, quando vedrete l’ultima scena del film.

L’altra cosa che funziona del film e che lo rende ancora oggi una visione piacevolissima, è il gusto di Guy Hamilton per le scene spettacolari, tutte condite con grande ironia, scandiscono l’intera durata del film, oltre agli allenamenti sui cornicioni, impossibile non citare la fuga appeso al tronco d’albero, la lotta con lo sgherro con il diamante sul dento (il cui finale resta un apice di ironia ancora inarrivabile!), oppure una delle mie preferite in assoluto: l’irruzione notturna di Remo alla fabbrica Grove, sì, sto parlando della mitica scena con i Doberman.

Ditemi cosa volete, ma quando arrivano i Doberman mi rotolo dal ridere per tutta la scena.

Una scena che sottolinea quanto questo film sembri un cartone animato con parolacce arti marziali, com’era possibile solo negli anni ‘80, vedere Fred Ward, farsi gioco dei cani da guardia è uno spasso, ma è ancora più divertente il modo in cui i quadrupedi, per tutta la scena, si dimostrano più tenaci (ma anche più furbi!) del nostro protagonista.

Come vi dicevo, Guy Hamilton ha riscritto di suo pugno alcune scene, come quella della Statua della Libertà, fortemente voluta dal regista, al fine di sfruttare il celebre monumento. Il problema è che durante le riprese estive del film, la celebre signora francese non era disponibile, si stava rifacendo il trucco in vista delle celebrazioni per il centenario degli Stati Uniti d’America. Questo non fece che convincere ancora di più Guy Hamilton su quanto la Statua della Libertà, con i tralicci e le impalcature dei lavori in corso, avrebbe potuto essere una location ancora migliore per il suo film, non riuscendo, però, ad ottenere i permessi e a film quasi completato, Hamilton richiamò parte della troupe in Messico, dove il clima era migliore e i costi più bassi, obbiettivo? Costruire una statua delle libertà in miniatura, per girare la scena.

Sul set messicano vennero ricreate la torcia e parte del corpo, farcendo il tutto con le impalcature sulle quali Remo combatte con gli sgherri di Grove, ditemi cosa volete, ma considerando il risultato finale, ha avuto ragione lui!

«Viene da chiedertelo, vero? Se sia nuda sotto quel manto. È francese! Lo sai, no?» (Cit.)

Come tutti gli eroi cinematografici che si rispettino, anche Remo Williams ha il suo tema musicale, composto da Craig Safan, già autore delle musiche per quel pezzo di cuore intitolato “The Last Starfighter”. Sappiate solo che ogni volta che “Remo’s Theme” inizierà a risuonare durante il film, sarà impossibile non esaltarsi tantissimo… Poi non ditemi che non vi avevo avvisati!

Qualche giorno fa ho scoperto che forse, abbiamo una remota possibilità di vedere Remo Williams nuovamente in azione in un film, pare che (tenetevi forte) Shane Black sia al lavoro su un adattamento cinematografico della saga “The Destroyer”. Ora, ho già una stima tendente all’infinito per Shane Black, se mai dovesse mandare a segno anche questo colpo, mi troverò costretto a dedicare una statua a quell’uomo!

Insomma, l’obbiettivo era alto lo so, oltre che celebrare i primi 30 anni di questo film di culto, spero di essere riuscito a mettere la pulce nell’orecchio, magari qualcuno deciderà di andare a recuperare questo grandioso e divertentissimo film, non so se ci sono riuscito, ma se così dovesse essere, nelle remota possibilità che quando vi chieda cosa pensare quando vi dicono “Schivare le pallottole”, voi gridate fortissimo: Remo Williams!

«Ma voi chi siete?», «Siamo quelli di arrivano i nostri!»

Sepolto in precedenza lunedì 14 marzo 2016

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