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Il petroliere (2007): ci sarà sangue (e nemmeno poco)

Una manciata di film che nel corso degli anni, per via di un metodo di immedesimazione sempre più articolato e complesso, si sono sempre fatti più rarefatti. Fino al ritiro anticipato (rispetto allo straripante talento) per andare a fare lo scarpolino in toscana alla faccia della vita mondana di Hollywood. Siamo qui per festeggiare il compleanno di Daniel Day-Lewis, anche noto in amicizia come Daniele Giorno-Luigi.

Per scegliere il film giusto per fare gli auguri di compleanno a questo illustre baby pensionato, ho avuto pochissimi dubbi e ho scelto “Il petroliere”, che a casa Cassidy è una sorta di titolo di culto, uno di quelli che genera immediatamente una reazione.

Si perché fa parte di quella porzione di pellicole con cui ho tediamo la mia Wing-woman, alcune erano davvero ciofeche inguardabili di cui pagherò pegno a vita (tipo “Speed racer”), altre come questo film invece, la stessa Wing-woman è prontissima ad ammetterne la qualità, ma mi rinfaccerà a vita di averla costretta in un cinema, a vedere un film che inizia con 14 infiniti minuti senza dialoghi (storia vera).

La nascita del personaggio, partorito dalla terra dopo 14 minuti di travaglio.

Ve lo ricordate il 2007? Anno incredibile in cui sono usciti una serie di film che mi hanno colpito molto, Into the wildLa promessa dell’assassino e “Non è un paese per vecchi”. Quest’ultimo per altro girato a pochi chilometri dal film di Paul Thomas Anderson (detto Pitì), i Coen hanno accumulato qualche giorno di ritardo sul loro piano di lavorazione, per via del cielo oscurato dal fumo provocato da Anderson, per la maestosa scena della distruzione del pozzo petrolifero (storia vera).

«Questo farà girare tantissimo i coglioni ai Coen»

Liberamente, molto liberamente, tratto dal romanzo “Petrolio!” di Upton Sinclair, il film sceneggiato dallo stesso Pitì Anderson mette meno risalto sulla componente politica della storia, lanciando però inevitabili strizzate d’occhio al signore che nel 2007, era l’inquilino ufficiale della Casa Bianca, uno che arrivava da una famiglia che di mestiere, faceva la stessa professione del protagonista Daniel Plainview, a cui il titolo italiano del film è completamente dedicato.

“Il Petroliere” non è certo un titolo sbagliato, di sicuro è più diretto e meno evocativo dell’originale “There Will Be Blood”, ci sarà sangue, che di fatto, diventa quasi una promessa nei confronti degli spettatori. Intitolare questo film “Il Petroliere” è un po’ come intitolare “Quarto potere” (1941) qualcosa come “L’editore”, oppure “Tutti gli uomini del presidente” (1976) chiamarlo “I giornalisti”, che comunque sarebbe sempre meglio di The giornalisti, così tanto per dire. Non si tratta di un titolo errato, solo un po’ riduttivo rispetto agli intenti perché “There Will Be Blood”, parla di sangue, che sia esso il sangue nero della terra (chi ha detto Jack Burton?) oppure i legami di sangue, intesi come di famiglia o destinati a finire nel sangue dei personaggi del film. Quindi intitolare un film “Ci sarà sangue” è una chiara dichiarazione di intenti, che Pitì Anderson ha preso dannatamente sul serio nel momento in cui ha scelto come protagonista Daniel Day-Lewis.

«E cioè il petrolio?», «No, sangue nero della Terra» (cit.)

“Il petroliere” è stato il primo film di Anderson senza tracce di Philip Seymour Hoffman nel cast, pare che dopo aver visto “Ubriaco d’amore” (2002), Daniele Giorno-Luigi abbia espresso l’interesse di lavorare insieme a Pitì, i due sarebbero tornati sullo stesso set per Il filo nascosto, ma sono di parte perché “There Will Be Blood” potrebbe tranquillamente essere il mio film di Anderson preferito. La mia Wing-woman mi percula da anni perché finisco per riguardamelo con puntualità sinistra, forse non sarà il miglior film di Pitì in assoluto, ma per me resta un Classido!

Daniele Giorno-Luigi ha avuto un anno intero di tempo per preparare il personaggio di Daniel Plainview è il risultato sarebbe anche riduttivo definirlo da Oscar, premio che l’attore si è portato a casa. Più che altro si tratta dell’ennesima sparizione di Daniel Day-Lewis, all’interno di un personaggio che è tutto tranne che piacevole e con cui l’attore ha dovuto “convivere” per più di un anno. Visto che ho detto la mia sul titolo, fatemi esprimere anche sul doppiaggio del film: Francesco Pannofino è bravissimo nulla da aggiungere, purtroppo la vocina flebile e volutamente irritante che si è inventato Paul Dano per il suo (doppio) ruolo, viene piallata, ma la perdita più grave resta comunque la possibilità di gustarsi il lavoro di Daniele Giorno-Luigi, che pare abbia preso ispirazione per la parlata e la voce del suo personaggio, da alcune vecchie registrazione del regista John HustonMolto appropriato considerando che nel 1956 il leggendario regista ha diretto uno dei miei adattamenti preferiti di “Moby Dick” e che il personaggio di Daniel Plainview, per come lo interpreta Daniele Giorno-Luigi è una perfetta rappresentazione del capitano Achab, zoppia, ossessione e lucida follia nello sguardo comprese.

“There Will Be Blood” è una storia che parla di America e quindi, di tutto il mondo occidentale. In quanto tale la trama è trascinata per il bavero della giacca da due forze opposte e uguali, da un lato il capitalismo di Daniel Plainview, dall’altra la religione rappresentata dall’aspirante predicatore Eli Sunday, e se ve lo state chiedendo, Paul Dano originariamente era stato scelto per interpretare solo la parte del mite gemello Paul, all’ultimo minuto Pitì ha deciso di rendere i fratelli Sunday (mai in scena insieme nel film) due gemelli, affidando anche il ben più corposo ruolo di Eli a Dano (storia vera).

Vieni Paul, avrai un bel ruolo di tutto riposo, anzi due.

Idea brillante a mio avviso, anche se fa un po’ strano nel film vedere un Dano (nei panni di Paul) molto remissivamente cedere il ricco terreno di famiglia pieno di petrolio a Plainview, e poi ritrovarlo poco dopo, passivo aggressivo nei modi (e nei panni di Eli) dare filo da torcere al petroliere. Perché il film è tutto basato sul loro scontro, capitale contro religione, a loro modo entrambi due fedi, ma solo una potrà trionfare davvero e come in ogni guerra religiosa che si rispetti beh, ci sarà sangue.

L’inizio del film è micidiale, porta all’estremo la famigerata regola (se così vogliamo intenderla) dei cinque minuti iniziali che determinano tutto l’andamento della pellicola, qui i minuti lievitano fino a quattordici (chiedete pure alla Wing-woman, potrà confermare), un tempo extra che Pitì utilizza per introdurre il suo protagonista, impegnato a scavare con attrezzi di fortuna un pozzo e pronto a tutto pur di arrivare all’agognato oro nero, anche di rompersi malamente una gamba pur di assecondare la sua ossessione.

Siamo all’inizio del film e Paul Thomas Anderson dirige la scena come se fosse il climax della sua pellicola, la fotografia di Robert Elswit è perfetta, Daniele Giorno-Luigi sembra già un animale ferito in preda all’estasi dell’oro (mi sia concessa la citazione al Maestro Morricone) e le musiche di Jonny Greenwood, chitarrista solista dei Radiohead a suo agio come compositore, sono a dir poco apocalittiche, lo saranno fino ai titoli di coda, un’atmosfera solenne da vecchio testamento che rende la partitura un memento mori, un continuo ricordarci che ci sarà sangue, tanto sangue.

Avete presenta la scimmia di “2001”? Tranquilli avremmo altro Kubrick più avanti.

L’unico momento di pausa dall’ossessione per il capitale, per il sangue nero della terra di Plainview è suo figlio, che non è nemmeno sangue del suo sangue visto che è un trovatello con un bel faccino, perfetto da portarsi dietro per concludere i suoi affari. Anderson riempie il film di parecchi momenti padre e figlio, brevi, il più delle volte non parlati (vista anche la condizione di H.W. Plainview) ma tutti molto intensi, il bimbo che sfiora i baffoni del padre, il padre che lo abbraccia cantandogli una canzone, mentre quello urla disperato resto sordo dopo l’incidente, in una scena oggettivamente resa straziante anche dall’uso delle musiche di Greenwood. Ci sono tanti piccoli momenti di quasi tenerezza tra padre e figlio che Anderson ci lancia addosso come delle stilettate dritte al cuore, ad esempio dopo la litigata furiosa che arriva prima della conclusione, Pitì piazza quel piccolo Flashback con Plainview che gioca con il figlio, che comunica più di mille parole, mettendo in chiaro i veri sentimenti del petroliere, che in nome della sua ossessione è pronto a sacrificare tutto, perché in fondo sangue chiama solo altro sangue.

Pare che il giovane Dillon Freasier, esordiente totale nel ruolo di Plainview Junior, sia stato scelto tra i timori della madre, quando le hanno detto che suo figlio avrebbe recitato con un tale di nome Daniel Day-Lewis, la signora ha noleggiato il primo film che ha trovato con l’attore, problema: si trattava di “Gangs of New York” (2002) dove Daniele Giorno-Luigi fa il pazzo nei panni di Bill il macellaio. La produzione per placare il panico della signora in tutta fretta, le ha recapitato a casa una copia di “L’età dell’innocenza” (1993), tutto pur di convincerla che un altro Daniel Day-Lewis era possibile (storia vera).

Visto? Un tenerone, tranquilla signora.

Lo scontro tra Plainview ed Eli dura una vita, inizia con il ragazzo che tira su il prezzo della terra e continua come un sassolino che rotola generando una valanga, ma alla fine le grandi faide non iniziano quasi sempre così? Per piccoli attriti che diventano giganti? Plainview odia Eli per quello che rappresenta, per il modo in cui il ragazzo vorrebbe essere considerato, un predicatore che si atteggia come il peggiore dei venditori, uno che utilizza la religione per ribadire il suo potere e la sua presa sulle persone. Infatti è la mancata benedizione al pozzo, formulata non seguendo esattamente le parole indicate da Eli, il casus belli da cui non si torna più indietro.

Di mio sono fondamentalmente laico, anzi proprio ateo oltranzista, quindi per me è istintivo patteggiare per Plainview anche perché ammettiamolo, Eli è un personaggio odioso. Ma il bello di “There Will Be Blood” è il suo chiederci comunque di patteggiare e in qualche modo, portarci a fare il tifo per un personaggio altrettanto esecrabile. Plainview vorrebbe una famiglia ma non guarda in faccia nessuno, nel momento in cui la sua ossessione, il capitale, i soldi, altro petrolio da estrarre, sono messi a repentaglio.

Eppure io penso di avere qualcosa in comune con questo baffone.

Tutta la parte del vero-finto-fratello Plainview mette in chiaro la determinazione del nostro Achab, in un rapporto tra fratelli (si, però Caino e Abele) che per certi versi ritornerà nel finale, infatti ho sempre trovato ironico (di un umorismo più nero del petrolio) il fatto che Eli invocando pietà urli a Plainview «Siamo fratelli!», non un gran esempio Eli, eppure un uomo di chiesa come te dovrebbe saperlo che i fratelli nella Bibbia non fanno una gran fine.

Ci sono tanti momenti incredibili i in “There Will Be Blood”, la già citata scena del pozzo che brucia è un’agonia che ogni volta, mi lascia in tensione, il momento esatto in cui Plainview dimostra che tra il sangue (inteso come legami familiari) e il sangue nero della terra che porta denaro, lui non ha nessun dubbio.

Per essere un film così serio e impostato, quello che adoro di “There Will Be Blood” è il suo sottile umorismo nero, una delle mie scene preferite è il sermone in cui Eli, costringe Plainview a battezzarsi come unica clausola imprescindibile per far passare la tubatura sul terreno di proprietà della sua chiesa. Pitì Anderson girà la scena come un delirio religioso, come un match di Boxe tra i due protagonisti, infatti Eli si diverte un po’ troppo a schiaffeggiare Plainview, che mastica bile ma butta giù il rospo.

Abbiamo capito, a Pitì piacciono un botto le simmetrie centrali.

Quello a cui assistiamo è uno scontro tra pesi massimi dove Eli è impegnato a ribadire la sua superiorità su Plainview, ma il mio momento preferito è la fine della scena: il petroliere accetta questa sorta di umiliazione pubblica ed una volta terminata afferma «Abbiamo la tubatura», poi si alza apparentemente calmissimo, si avvicina ad Eli e Pitì astutissimo, non ci fa sentire cosa il petroliere dice all’uomo di chiesa mentre i due si stringono la mano, però ci mette nella posizione perfetta per vedere la faccia di Paul Dano sbiancare, letteralmente sbiancare dopo aver sentito le parole del suo nemico, che come spettatori non conosceremo mai, ma devono essere state piuttosto chiare considerando l’espressione di Eli. Mi piace pensare che Plainview gli abbia rovinato il finale del film, con una piccola anticipazione dell’ultima scena, quella in cui il sangue promesso fin dal titolo, arriva per davvero.

Non so voi, ma solo il De Niro dei tempi migliori metteva più paura di Daniele Giorno-Luigi.

L’ultima scena è grandiosa, satirica da morire, l’apice di una prestazione incredibile per Daniele Giorno-Luigi, ormai completamente trasfigurato in un capitano Achab, sorto, zoppo, invecchiato incazzato e solo nel suo maniero, come un Charles Foster Kane che ha sacrificato la malinconia in nome dell’astio accumulato negli anni.

Il ritorno in scena di Eli, sembra quello di un pavone impegnato a fare la ruota, nel tentativo disperato di apparire più grosso di quello che in realtà è, ma Plainview ha già fiutato la fregatura e restituisce al suo acerrimo nemico pan per focaccia, o schiaffi e birilli se preferite. Se Eli gli ha chiesto di umiliarsi durante la cerimonia del battesimo, Plainview restituisce il favore moltiplicato da anni di astio accumulata, chiedere ad un uomo di chiesa di urlare «Io sono un falso profeta, Dio è una superstizione» è un attacco quasi blasfemo, una volontà di far trionfare la religione di Plainview su quella di Eli. Una beffa perché il petroliere ha già fatto la sua mossa, con tutto il rispetto per Pannofino, sentire Daniel Day-Lewis in originale, con quella voce folle che si è inventato, urlare «I drink your milkshake!» è umorismo nero allo stato puro, una delle ultime “Frasi maschie” degne di finire su una maglietta del cinema americano contemporaneo.

Classico istantaneo.

La promessa viene poi mantenuta nel finale, il sangue del titolo arriva tutto nel finale e in un film dedicato alla memoria del maestro e ispiratore di Pitì Anderson (Robert Altman, mancato poco prima dell’uscita di questa pellicola), l’ultima inquadratura è quasi Kubrickiana. La frase di Plainview «Ho finito» prima dei titoli di coda ricorda il «Sono guarito» dell’Alex di “Arancia Meccanica” (1971). D’altra parte sempre di anti eroi e di grandi interpretazioni si parla, quindi mi sembra anche sensato.

Un’altra simmetria centrale e… ho finito!

Daniel Day-Lewis si è ritirato dalla recitazione dopo altri quattro film, ma per quello che mi riguarda la sua prova nei panni di Daniel Plainview rappresenta l’apice della sua carriera, per certi versi Daniele Giorno-Luigi ha davvero “finito” dopo questo film, quindi posso dirlo, ho visto conclusioni di carriera ben peggiori di questa. Ed ora fate un salto a trovare SamSimon Il Zinefilo, anche loro festeggiano il compleanno del nostro uomo del giorno.

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