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Il pozzo e il pendolo (1961): Roger mi passeresti il gotico per favore?

Se Thanos è ineluttabile, Roger Corman è imprescindibile. Il giochino dei sei gradi di separazione in ambito cinematografico conduce sempre a lui, non solo perché ha diretto e prodotto un’infinità di film leggendari, ma perché ha tenuto a battesimo alcune delle più grandi personalità cinematografiche ancora in circolazione. Se a tavola vi capiterà di lanciare l’invocazione: «Mi passate il sale?», probabilmente ad allungarvi la saliera sarà Roger Corman.

Ecco perché non potevo perdere l’occasione per fare gli auguri per i primi sessant’anni di uno dei suoi film che preferisco, “Il pozzo e il pendolo”, che non è stato certo il primo incontro cinematografico tra Roger Corman e lo scrittore Edgar Allan Poe, quello proprio no.

Quel primato tocca ad un altro titolo piuttosto seminale come “I vivi e i morti” (1960), un film per cui Corman mando a segno uno dei suoi notevoli barbatrucchi: la produzione gli mise a disposizione il budget per due film sapendo che Corman era maestro nel gestire più set in contemporanea spremendo i centesimi. Ma il nostro Ruggero aveva fiutato l’aria e capito cosa voleva il pubblico, se la Hammer in Inghilterra stava andando forte con tutti quegli Horror gotici, e anche laggiù in uno strambo Paese a forma di scarpa, qualcosa scalciava grazie a Mario Bava, era ora di giocarsi la carta Poe.

Cartelloni cinematografici di un certo livello (quel signore lì sotto rischia grosso)

Quindi Corman utilizzò tutto il budget per produrre “I vivi e i morti” liberamente tratto da “La caduta della casa degli Usher”, un film utilizzato per sperimentare una formula (vincente) che Corman avrebbe portato avanti con successo. Per prima cosa, nel ruolo del protagonista ci mettiamo una leggenda come Vincent Price, mentre la sceneggiatura la facciamo scrivere a un ragazzo promettere, uno che farà strada (inseguito da un camion) ovvero il maestro Richard Matheson, ho visto schierare in campo coppie peggiori credetemi.

“I vivi e i morti” fu un tale successo da lasciare spiazzati tutti, ma siccome Roger Corman ai tempi era una macchina da guerra programmata per produrre, dirigere e sfornare pellicole, decise di battere il ferro finché caldo, fino all’ultimo indeciso se portare al cinema i racconti di Poe “La maschera della morte rossa” oppure “Il pozzo e il pendolo”, decise solo all’ultimo minuto utile per il secondo, solo perché più economico da portare al cinema (storia vera).

La formula inaugurata da Corman era talmente azzeccata che continuò ad utilizzarla per altri titoli come “Sepolto vivo” (1962), “I racconti del terrore” (1962) e “I maghi del terrore” (1963), prima di provare a cambiare fonte d’ispirazione portando al cinema anche una storia di H.P. Lovecraft con La città dei mostri.

«Roger dove li portiamo a cena questi due signori?», «Conosco un ottimo ristorante, dove fanno un’ottima tagliata di carne»

Eppure “Il pozzo e il pendolo” resta un titolo fondamentale perché ha saputo diventare un modello di riferimento, Roger Corman viene sempre ricordato come un genietto della produzione, astutissimo nello sfruttare gli stessi set per girare anche tre o quattro film differenti, un talento in grado di far passare in secondo piano le sue intuizioni visive e la capacità naturale di capire cosa il pubblico voleva vedere al cinema. Corman è fondamentale perché con il suo lavoro ha impresso un marchio sull’industria cinematografica anche a lungo termine, moltissimi talenti sono usciti da sotto la sua ala protettiva, tra le sue scoperte più celebri Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Joe Dante, Jonathan Demme e James Cameron, scusate se è poco.

La “formula Corman” per portare Poe al cinema è piuttosto semplice, come tutti i colpi di genio dopo che qualcun altro ha saputo svelarli. Se avete famigliarità con i racconti di Poe, saprete che “Il pozzo e il pendolo” è una storia breve, se non addirittura brevissima, tutta basata sulla descrizione delle sensazioni, dei rumori e degli odori avvertiti da un povero disgraziato, chiuso in una sala di torture, minacciato da questo pendolo affilato pronto ad affettarlo in malo modo. Corman consapevole del fatto che quella poche pagine non poteva bastare per fare un film (ma una grande scena finale si), diede carta bianca a Richard Matheson per costruire una storia attorno a quella scena madre.

To and fro the pendulum throws (cit.)

Matheson ci porta tutti nel XVI secolo, dove il nobile ed ipocondriaco Nicholas Medina (il grande Vincent Price) è diventato ormai completamente pazzo dopo la morte dell’amata moglie Elizabeth (la bellisima Barbara Steele), soggetta a costanti crisi epilettiche che le inducevano uno stato di morte apparente (grande tema caro a Poe), con la sua scomparsa ha gettato il marito nello sconforto e nella follia.

La storia comincia con l’arrivo al castello di Francis (John Kerr) il fratello di Elizabeth, venuto ad indagare sulla morte sospetta della sorella, in 80 minuti Roger Corman ci conduce per mano in questo Horror gotico fatto di stanze segrete, sospetti e un utilizzo davvero espressivo della fotografia.

For a boy his age, he’s considerate and nice, but he wants to be just like Vincent Price (cit.)

I vari flashback che mettono in chiaro le dinamiche tra i personaggi e le loro motivazioni, sono impressi su pellicola in un bianco e nero leggermente tendente al blu freddo ed efficacissimo, mentre per le scene ambientante nel presente Corman non rinuncia ai toni caldi, ma soprattutto non rinuncia al suo tocco, perché un regista di talento non è solo qualcuno abile a muovere la macchina da presa.

L’influenza di Corman fa valere il suo peso anche sulla direzione degli attori, Vincent Price era già piuttosto leggendario prima di incrociare la strada del nostro Ruggero, ma è stato lui a chiedergli di iniziare a recitare due ottave più in alto, il risultato? Memorabile come vediamo in questo film, lo sguardo da pazzo che Vincent Price caccia fuori prima della scena madre non si dimentica.

Il bello di “Il pozzo e il pendolo” sta nella percezione dell’orrore, Corman suggerisce la malattia mentale di Medina fin da subito e non perde occasione per una nemmeno troppo velata ironia nei confronti della chiesa in un crescendo di paranoia e colpi di scena, che di fatto hanno contribuito a sdoganare trovate che sarebbero diventate canoniche nel cinema gotico americano, direi che ci sono gli estremi per il Classido!

Quando poi la tavola è ormai apparecchiata, Corman si gioca il finale con il letale pendolo che dà il titolo al film, una scena tirata che rende omaggio nel modo migliore possibile al racconto originale di Poe, il dondolare di quella lama affilata è davvero un finale memorabile. Si perché il racconto di Poe era tutto basato su descrizioni di tipo sensoriale, relative alla dondolante minaccia, Corman riesce a trovare il modo anche all’interno di un media visivo come il cinema, di far riaffiorare le sensazione provate da lettore, il sibilo della lama ad esempio, è quasi più spaventoso del colpo mandato a segno.

“Con tante costolette tagliate sottili sottili che non si può dire di no” (quasi-cit.)

Insomma “Il pozzo e il pendolo” è uno di quei classici in grado di diventare seminali, su di me ha sempre avuto grande presa, se i classici della Hammer mi hanno fatto appassionare al gotico Inglese, Corman con i suoi adattamenti cinematografici dei racconti di Edgar Allan Poe (a cui sono molto legato, ve lo avevo già raccontato) mi ha fatto appassionare anche al filone americano del genere, per il resto poi, citofonare Mario Bava e non è un caso se anche qui ritroviamo la bellissima Barbara Steele in un ruolo iconico, nemmeno Corman poteva dirsi davvero immune davanti al fascino di quello sguardo magnetico.

Tutto il cinema gotico che conta passa sotto gli occhi di Barbara Steele.

La formula Corman gli ha permesso di andare forte al botteghino e di portare al cinema altri racconti di Poe, ma sulla lunga distanza ha fatto proseliti, tra gli autori indirettamente influenzati dal lavoro di Corman, metteteci anche Stuart Gordon, il buon Stuart a suo modo ha saputo applicare la formula inaugurata da Corman: un adattamento non rigoroso ma fedele nello spirito di un racconto, un autore Horror di riferimento molto complicato da portare sul grande schermo (nel suo caso Lovecraft), sempre gli stessi sceneggiatori e attori, Re-Animator e From Beyond sono film figli del metodo Corman, ennesima conferma che quando si parla di cinema horror occidentale, tutto passa dal vecchio Ruggero, quindi non stupitevi troppo di trovarvelo seduto a tavola, pronto a passarvi il sale.

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