Non avete mai visto il film di oggi? Pentitevi! Avete
un’occasione per accogliere Stuart Gordon nel vostro cuore e benvenuti al nuovo
capitolo della rubrica… Above and
beyond!
La trasferta in Romania per il film televisivo Figlia delle tenebre, non è servita a far dimenticare il nostro strambo Paese a forma di
scarpa a Stuart Gordon, infatti per il suo ritorno sul grande schermo (anche se il film originariamente era stato pensato per il florido mercato dell’home video, storia vera), proprio
dagli italiani è tornato, in particolare dalla Full Moon Features del solito Charles Band, questa volta coadiuvato
anche dal padre Albert Band, che altro non sono che i nomi d’arte di Carlo Antonini
e suo padre Alfredo, anzi a dirla proprio tutta, l’altisonante colonna sonora
del film è stata composta da Richard Band (compositore preferito di Gordon, chissà perché). Tutto in famiglia insomma.
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Richard Band insieme a Lance, nella sua migliore interpretazione dei Gumby. |
Affrontiamo subito la faccenda tricolore: anche se “Il pozzo
e il pendolo” è ambientato nella Spagna del 1492 in questo film è più facile
incappare in un nome Italiano che sfogliando l’elenco telefonico del vostro
comune: la fotografia è stata curata da Adolfo Bartoli, le scenografie sono di
Giovanni Natalucci, i costumi di Michela Gisotti e gli effetti speciali sono
opera di Giovanni Corridori, uno che in carriera ha lavorato a titoli
storici, proprio come Benito Stefanelli che qui compare nella parte del
roccioso boia, ma è un altro con un curriculum di tutto rispetto e lungo come la
vostra gamba.
Il mio non è becero campanilismo, non sono il tipo, questa sfilza di notevoli
nomi serve a mettere in chiaro lo spirito con cui lavorava Stuart Gordon, uno
che non ha mai dimenticato le origini e non ha mai avuto la minima puzza sotto
il naso, se la sua versione di “Il pozzo e il pendolo” è così riuscita, una
fetta del merito è anche della sfarzosa messa in scena, che tutto sembra tranne quella di una pellicola pensata originariamente per uscire solo su cassetta. In un film ambientato quasi
completamente in interni, avere le facce, i costumi, le scenografie e i fiotti
di sangue senza tirar via la mano giusti, conta, conta parecchio, al resto ci
ha pensato il nostro Stuardo.
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I titoli di testa in puro stile Bara Volante, voi che dite? |
Si perché “Il pozzo e il pendolo” potrebbe essere il titolo
con cui il regista di Chicago ha pagato il suo debito di gratitudine a Roger
Corman, non solo perché Gordon ha diretto la sua personale versione del celebre film di Corman tratto dal
racconto omonimo di Edgar Allan Poe, ma idealmente ha anche chiuso il cerchio. Il buon
vecchio Ruggero con la sua capacità di girare anche due o tre film in
contemporanea, risparmiando su attori e set ha fatto scuola, ma Gordon è stato
uno dei suoi allievi più attenti, perché Corman è stato il primo ad inaugurare
la formula: liberi adattamenti di racconti di uno scrittore horror (nel suo
caso Poe), il più delle volte interpretati dallo stesso gruppo di attori. Che
poi è quello che ha fatto Gordon, scegliendo come suo scrittore di riferimento
H.P. Lovecraft, in film il più delle volte interpretati da Jeffrey Combs e sua
moglie Carolyn Purdy-Gordon che non a caso compaiono anche nel cast della sua
versione di “Il pozzo e il pendolo”, il film con cui Gordon stringe idealmente
la mano al Maestro Roger Corman, anticipa parecchio “Torture Porn” che sarebbe
diventato popolare nel cinema horror solo dopo il 2000 e si abbevera anche lui
alla fonte di Edgar Allan Poe. Brutto?
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Il piano machiavellico di Stuart Gordon riassunto in un’immagine. |
Come scrivevo nel post dedicato al film del 1961, il racconto originale di Poe era la storia di un
poveretto chiuso in una stanza e minacciato da un pendolo più affilato dei
Miracle Blades, un racconto breve, tutto basato sulle descrizioni delle
sensazioni, dei suoni e degli odori percepiti dal malcapitato, che su carta
sono perfetti da raccontare, ma al cinema per essere adattati necessitano un
tradimento di forma che Corman (coadiuvato dalla notevole penna di Richard
Matheson a scrivere la sceneggiatura) ha trasformato in una storia più
complessa, con il torturatore Medina (il grande Vincent Price), ossessionato
dopo la morte della sorella interpretata dalla splendida Barbara Steele.
Stuart Gordon, grazie alla sceneggiatura del fidato Dennis Paoli, non fa un nuovo
adattamento del racconto di Poe, ma nemmeno un banale rifacimento del film di
Corman, piuttosto dimostra di aver assimilato la lezione creando un film con elementi
in comune (il protagonista, un torturatore dal nome spagnolo ossessionato per
una bella mora e il pendolo del titolo, che arriva solo nell’ultimo atto), che
però è una versione del tutto personale e in linea con la poetica di Gordon. Se
fosse uscito oggi, di sicuro qualcuno utilizzerebbe qualche (brutta) parola in
inglese per tentare di etichettare un’operazione così, al fine di venderla più
facilmente, nel 1990 non avevamo questo problema, quindi posso riassumere
dicendo che “The Pit and the Pendulum” è il film con cui Stuart Gordon ha reso
omaggio ai Maestri, sfornando un film che meriterebbe di essere riscoperto, ma
questo è un concetto valido per tutta la filmografia del regista di Chicago.
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“Dichiaro questa Bara Volante chiusa per sempre, basta con Cassidy e la sua eresia!” |
Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Ne
determinano tutto l’andamento, l’uso che fa Gordon di questo tempo mette subito
in chiaro dove siamo precipitati come spettatori: una cripta viene aperta, da
essa vengono riportate alla luce le misere ossa di Don Alfonso, un povero Cristo
morto da diverso tempo ma comunque accusato di eresia da uno con cui è meglio
non scherzare, il primo inquisitore Tomàs De Torquemada, interpretato da, beh
robetta, solo uno dei miei attori preferiti di sempre, il grande Lance
Henriksen in una delle sue prove migliori. Già solo questo dovrebbe convincervi
a pentirvi e a recuperare il film, nel caso non lo aveste già visto.
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Ho lo stesso fermacarte sulla mia scrivania (storia vera) |
Torquemada non prende prigionieri, in un’atmosfera serissima
ma grottesca (un equilibrio difficilissimo da raggiungere, che Gordon ha sempre
padroneggiato), l’inquisitore condanna i resti di Don Alfonso a venti frustate
sotto gli occhi dei parenti dell’uomo morto evidentemente da decenni, e le
risatine subdole dei suoi rivali, tra svenimenti e disperazione generale, le
ossa ormai rinsecchite vanno a pezzi sotto i colpi della frusta e non pago, Torquemada
le fa ridurre in polvere in un pestello tipo quello che si utilizza per fare il
pesto… perdonatemi, oggi ‘sto in fissa con le metafore culinarie, a me
l’inquisizione mette fame.
La scena è grottesca, siamo all’inizio del film è al grido
di «Nobody expects the Spanish Inquisition!» Gordon ha già portato in scena le storture dell’umanità che
ha sempre saputo raccontare così bene, utilizzando il filtro del cinema di
genere e di quello Horror in particolare. Nella spagna ossessionata dalla
stregoneria del 1492, Torquemada fa il bello e il cattivo tempo, lontano dal
Vaticano si erge giudice, giuria e giustiziere della Cristianità, dimostrazione
che il potere logora e Gordon ci scaraventa in questo mondo dove la religione è
stata presa per il verso sbagliato e non vi sfugga la dose aggiuntiva di
ironia: Torquemada agisce impunito perché sta lontano da Roma, anche se il film è
stato girato nel castello di Giove a Terni, quindi non così lontano dal
Vaticano a ben guardare.
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Nessuno si aspetta l’inquisizione spagnola ternana! |
Una piccola pausa da tutto questo orrore in stile Vecchio
Testamento, arriva dalla bella Maria (Rona De Ricci), moglie del fornaio
Antonio (Jonathan Fuller), che entra in scena impastando pagnotte, poco prima
che Antonio decida di lasciar perdere rosette, ciabatte e sfiloncini per
dedicarsi alla bella sposa, sarà anche l’unico momento di gioia che la storia
concederà ai due protagonisti.
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“Non sapevo che vendere il pane fosse peccato, non l’ho letto tutto quel vostro libro, magari era scritto in uno degli ultimi capitoli” |
Già perché quel drittone di Torquemada avrà sempre la mente
rivolta alla sacra missione di estirpare il male, ma non ha proprio dimenticato
il richiamo della carne, indossa il cilicio e chiede al fidato Mendoza di
fustigarlo per i pensieri torbidi che fa sulla bella Maria, ma non basta,
utilizzando una scusa fa accusare la bella panettiera di stregoneria. Per
introdursi nel castello, nel tentativo disperato di salvarla, Antonio dovrà
superare le peggiori difficoltà, compreso il pendolo del titolo, ma ci tengo a
sottolinearvi un dettaglio, il Torquemada è talmente malefico da potersi
permettere di dare ordini anche ad uno come Don Héctor Salamanca, visto che ad interpretarlo è il mitico Mark Margolis.
Stuart Gordon ribalta completamente la prospettiva, gli
uomini di Dio del suo film sono malvagi, attaccati al potere ed utilizzano la
loro sacra missione per coprire i più biechi istinti, nei casi migliori sono
solo grigi burocrati che portavano avanti torture su umani, come se fossero scartoffie d’ufficio, come nel caso del fidato Francisco, interpretato alla grande
dall’attore feticcio di Gordon, il grande Jeffrey Combs, qui al quarto film
diretto dal regista di Chicago, ma il tassametro corre.
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“Certo Cassidy, sto segnando tutto sul mio libro contabile” |
Lo sguardo critico e sempre fortemente caratterizzato da un
registro grottesco di Stuart Gordon, fa sì che in questa storia, uno dei pochi
personaggi positivi, sia la strega Esmeralda interpretata da Frances Bay,
l’unica a fornire un minimo di aiuto a Maria durante la sua prigionia non è
solo un’anziana accusata di stregoneria, ma è proprio una strega a tutti gli
effetti.
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Giusto per dirvi, lei è una dei buoni (anche se potrebbe non sembrare) |
Il personaggio che Gordon utilizza per introdurre l’elemento sovrannaturale
nella sua storia, anche se per farlo tocca subirci un paio di breve scene
“oniriche”, che portano noi spettatori (e Maria) brevemente fuori dalle anguste
mura del castello, ma sono anche i passaggi più deboli del film.
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L’effetto Fantaghirò si avverte subito fortissimo. |
“Il pozzo e il pendolo” funziona quando da spettatori,
esattamente come i protagonisti, non vediamo la luce del sole, nell’oscurità Torquemada
gestisce i suoi traffici e quando riceve la visita del cardinale inviato dal
Vaticano per comunicare la volontà del Papa di mettere fine all’utilizzo della
tortura, Torquemada prima offre da bere al porporato – facile, visto che ad
interpretarlo è Oliver Reed, uno che
non ha mai detto di no ad un goccetto nemmeno se da quello fosse dipesa la sua
carriera, come poi in effetti è stato – e poi lo fa murare vivo, dimostrazione
che Gordon ha fatto sua la materia, visto che persone murate oppure sepolte
vive in questo film non mancano, ma sono anche temi ricorrenti nei racconti di Edgar
Allan Poe, che Gordon omaggia nel migliore dei modi.
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“Dimmi un Poe, ti piacciono i racconti di Poe?” |
Torture, lingue mozzate, maledizioni lanciate da streghe
poco prima di pirotecniche morti, Stuart Gordon non tira via la mano, mandando
in scena un teatro del Grand-Guignol, in cui qualche purista potrebbe criticare
l’eccesso di cattiveria nella rappresentazione dell’Inquisizione, ma Gordon non
ha nessun sentimento di rivalutazione storica, non prende prigionieri proprio
come il suo Tomàs De Torquemada e ottiene in cambio una prova incredibile da
parte di Lance Henriksen.
L’attore di New York in carriera ci ha regalato personaggi memorabili, grazie a quei
suoi occhi da pazzo e gli zigomi affilati,
qui si supera caricandosi un personaggio orribile sulle spalle senza mai
renderlo una macchietta. Il Torquemada di Henriksen è schiavo del suo ruolo e
delle sue pulsioni, è un tormentatore a sua volta tormentato che accusa tutti
di blasfemia quando invece si comporta come il più blasfemo di tutti, pur di non
perdere il suo potere. Una prova magnifica che non ha nulla da invidiare a
quella di Vincent Price nella versione di Corman, e che rivaleggia per malvagità con il Bernardo Gui di F. Murray
Abraham in Il nome della rosa, anche
perché certa critica alla chiesa, rende il film di Gordon più vicino a quello
di Jean-Jacques Annaud per certi versi, piuttosto che a quello di Corman, di
cui non è affatto una semplice riedizione con più sangue.
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Un altro grande capitolo del Lance Henriksen Show! |
Certo, poi quando poi si arriva all’ultimo atto, Stuart
Gordon è un predatore nel suo elemento, il Torquemada di Lance Henriksen ha
raggiunto l’apice del suo delirio e l’affilata lama del pendolo è la sfida che
Antonio si ritrova a dover affrontare, una fuga rocambolesca dalla letale
tortura che non risparmia nessuno, nemmeno un paio di topastri per un finale in
cui le resurrezioni dalla tomba e le maledizioni, sembrano la prova che Gordon,
oltre a Corman, aveva studiato anche i classici del gotico Italiano.
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Tagliente come un rasoio anzi, come un pendolo. |
Un peccato che Rona De Ricci sia scomparsa dai radar perché
qui offre una prova davvero valida, ma forse il rimpianto più grosso è stato
quello di non aver più rivisto Lance Henriksen in nessuno degli altri film di
Gordon, pare che tra i due sul set ci siano stati degli scambi di vedute su
come Torquemada doveva essere rappresentato, ma in ogni caso il risultato
finale è degno di nota. Un film girato come al solito, strizzando i centesimi, ma
che meriterebbe di essere riscoperto, anche solo come prova del fatto che si
possano rifare i film, senza per forza cadere nella trappola facile del
rifacimento fotocopia a tutti i costi.
Ma dopo essere stati nel 1492, la macchina del tempo di
Stuart Gordon e di questa rubrica ci porterà nel futuro, un futuro retrodatato ormai, ma notevole come sempre quando il regista di Chicago è in circolazione,
ci vediamo qui tra sette giorni non mancate e soprattutto… pentitevi! Ok basta
con tutto questo Torquemada per oggi eh?