Nel 1988, il mio amico John Landis stava sotto un treno. L’uomo che ha rappresentato la comicità e più in generale, è stato il simbolo del cinema americano degli anni ’80, grazie alla sua regia di titoli storici diventati dei classici, non si era ancora ripreso dalla mazzata ricevuta nel 1983.
Prima o poi dovrò decidermi ad affrontare a dovere il film ad episodi “Ai confini della realtà” (1983), in cui uno dei segmenti proprio diretto da Landis ha rappresentato il momento più nero della vita e della carriera del regista di Chicago. L’incidente sul set che provocò la morte dell’attore Vic Morrow è stata una tragedia che causò gravi problemi legali al regista, che arrivò a tanto così dall’essere incriminato per omicidio preterintenzionale (storia vera, brutta ma vera). In quell’incidente Landis ha perso la stima di Steven Spielberg, si è guadagnato l’odio eterno della figlia di Morrow, Jennifer Jason Leigh e più in generale, è dovuto diventare grande di colpo, il suo sorriso congenito ne è uscito in parte ridimensionato.
L’infilata di film successivi, se chiedete a me (e tranquilli, un po’ alla volta li affronteremo), sono uno meglio dell’altro, parliamo di classici come “Tutto in una notte” (1985) Spie come noi, “I tre amigos!” (1986) e un altro film ad episodi come “Donne amazzoni sulla Luna” (1987), pellicole che conosco a memoria, ma che ho visto molte volte credo solo io e pochi altri, perché al botteghino sono andati uno peggio dell’altro. Ecco perché in soccorso della carriera di Landis arrivò un suo amico, uno piuttosto noto, anche lui caldo come una stufa nel decennio dei pantaloni a vita alta: Eddie Murphy.
Murphy al cinema è stato lanciato da Walter Hill e consacrato da John Landis, con Tony Scott era finito dritto nella stratosfera, quindi bisognava giocarsi il tutto per tutto con una storia “nera”, che più nera non si può, ecco perché “Coming to America” (da noi “Il principe cerca moglie” titolo che punta più sul lato romantico rispetto a quello da emigrato) era scritto da David Sheffield e Barry W. Blaustein, veterani del Saturday Night Live da cui arrivava Murphy, ma ancora mancava un regista.
Malgrado la Paramount Pictures considerasse John Landis una scelta poco sicura, Murphy fece valere il suo status di Divo scegliendo il regista che lo aveva lanciato con un film, che ogni tanto viene replicato anche sui palinsesti Italiani (verso il 24 di dicembre di solito, da qualcosa come… SEMPRE!) ovvero Una poltrona per due, convinto di avere un altro dei suoi da poter comandare a piacimento, ed è qui che la storia diventa tutto, tranne che una commedia tra amiconi.
Eddie Murphy ha sempre avuto fama di Divo con la lingua lunghissima, con la parlata a mitraglietta e la pretesa di imporre la sua volontà in tutti i film in cui recitava, inoltre dall’amico Landis si sarebbe aspettato un minimo di gratitudine, per averlo portato a bordo di una grande produzione, una situazione un po’ alla Bugo e Morgan per certi versi, in cui ognuno ha il suo punto di vista e poca intenzione di cambiarlo. Già perché Landis continuava a rivolgersi e a comportarsi con Murphy come aveva sempre fatto, come se il suo amico fosse il solito giovane ragazzo che aveva diretto nel 1983, anche se il secondo pretendeva di essere considerato il pistolero più veloce del West, il nome più grande in città, cosa che Landis un po’ per carattere, un po’ per trascorsi non aveva intenzione di fare, inoltre il buon vecchio John era piuttosto teso in quel periodo.
Comprensibile, arrivava da un processo che lo aveva prosciugato (anche economicamente) e aveva tutta la pressione del mondo addosso per far funzionare il film della Paramount. Il “Casus belli” è arrivato durante una giornata di riprese, Landis nervoso, risponde frettolosamente ad un Murphy stufo di non vedere giovani ragazze lanciare petali di fiori ai suoi piedi al suo passaggio. Aizzato da alcuni “uomini si” sul set (che io immagino nella mia testa tutti interpretati da Arsenio Hall) l’attore mise un braccio attorno al regista che in un attimo si trasformo in una presa al collo, amichevole nelle intenzioni ma meno nei risultati, per liberarsi Landis cadde a terra rialzandosi furioso, da quel momento furono storie tesissime. Il tentativo di pace successivo non ha portato a risultati significativi, ormai tra i due era guerra fredda ma malgrado tutto questo, anni dopo i due tentarono ancora di lavorare insieme (con risultati rivedibili) e “Il principe cerca moglie” divenne lo stesso un classico, anzi… Un Classido!
Avete presente i film che abbiamo visto tutti e che con il tempo sono diventati quasi dei ricordi condivisi? Potremmo fare tantissimi esempi più o meno generazionali, ecco “Il principe cerca moglie” è oltre questo tipo di etichetta, uno di quei film talmente classico, da non venire nemmeno mai citato tra i classici, perché tutti lo abbiamo visto così tante volte da darlo per certi versi per scontato. Essendo figlio del compromesso e della guerra fredda tra il protagonista e il regista, rivedendolo mi sono balzati agli occhi i suoi problemi di ritmo, badate bene, “Coming to America” non ha momenti morti oppure fiacchi, ma come molti film di Eddie Murphy rallenta per lasciare il palcoscenico all’attore concedendogli di brillare e in questo caso in particolare, abbiamo anche la corposa sotto trama amorosa da portare avanti, quindi la sensazione è che se Landis e Murphy avessero collaborato in armonia, il film sarebbe stato ancora migliore. Così è un diligente e professionale modo di passarsi il pallone a vicenda, che ha comunque generato un risultato finale notevole.
Costato 28 milioni di fogli verdi con sopra stampata la faccia del Principe Akeem di alcuni ex presidenti defunti, “Il principe cerca moglie” ne portò a casa 128, piazzandosi al terzo posto dei film più visti negli Stati Uniti nel 1988, un risultato che ha rilanciato la carriera di Landis ma che è diventato anche il modello su cui Eddie Murphy avrebbe basato molti dei suoi altri film, basta dire che Vampiro a Brooklyn è la fotocopia in chiave horror, però diretta da un regista come Wes Craven, più remissivo di quanto non sia stato Landis. Poi parliamoci chiaro, l’asso nella manica di far interpretare a Eddie Murphy (e in questo caso, anche ad Arsenio Hall) più personaggi, sfruttando ottimi effetti di trucco, è una trovata diventata una costante in tutti i film di Murphy, che potrà anche dire peste e corna di Landis, ma non sarebbe andata a segno senza la presenza sul set del regista di Chicago.
Già perché se Murphy era circondato dai suoi uomini di fiducia a trattarlo sul set proprio come Akeem veniva trattato a Zamunda, Landis non è stato con le mani in mano e per il trucco ha fatto venire giù Rick Baker, reduce dai lupi mannari (americani) del regista e responsabile delle trasformazioni di Murphy e Arsenio Hall, negli spassosi vecchietti della bottega del barbiere, tra i cui clienti anche un giovanissimo Cuba Gooding Jr. lui non realizzato da Rick Baker però eh?
Si perché parliamoci chiaro, “Coming to America” è un film nero fino al midollo, ha un’anima quasi soul e ha saputo intercettare i gusti di una grossa porzione di pubblico (le sorelle e i fratelli di colore) che al cinema hanno sempre gradito andarci, dai tempi della blacksploitation in particolare, e sempre per fare il tifo per protagonisti “colorati come loro” parafrasando una frase di un altro film di Murphy e Landis. Da uno strambo Paese a forma di scarpa, sempre ai confini dell’impero è difficile capirlo, ma ben prima di Pantera Nera questo film sapeva parlare al suo pubblico, perché Landis sarà anche bianco come la neve, ma in quanto di Chicago ha il Blues nel DNA, la scena iniziale in Africa, le spassose celebrazioni per il fidanzamento con Imani Izzi (la bella Vanessa Bell Calloway) per arrivare ad un “mammasantissma” della cultura nera, come la bottega del barbiere (Tim Story ci ha tirato su una carriera), questo film è nero fino al midollo, ma anche tutto per conquistare tutto il pubblico. Se uscisse oggi farebbe ancora sfaceli, per questo Eddie Murphy da anni spinge per sfornare il seguito, che dovremmo vedere (forse) da qualche parte nel corso del 2021, probabilmente intorno a maggio.
L’inizio del film è leggendario, sulle note tribali composte da Nile Rodgers, la macchina da presa di Landis vola oltre le montagne della Paramount Pictures portandoci nella immaginaria Wakanda Zamunda, governata dal bonario ma tradizionalista Re Joffy Joffer (un’istituzione come James Earl Jones), anche se presto ci sarà un cambio al vertice, il 21enne (si è fatto un bello sconto di anni Eddie Murphy) Principe Akeem compie gli anni e il risveglio con orchestra e odalische nere, non è proprio uguale a quando vi suona la sveglia lunedì mattina. Il fatto che al terzo minuto del film ci siano subito un paio di tette beh, quello è il marchio di fabbrica di John Landis, non si sfugge.
Akeem sta per convolare a nozze combinate con Imani Izzi, la scena della presentazione della futura principessa è un omaggio alla tradizione africana in cui Landis come suo solito, a non fare il pirla proprio non ci riesce, a me fa morire dal ridere il “paggetto” serissimo che attacca la sua canzone tutta in clamoroso falsetto, per altro resa molto bene dal doppiaggio italiano, che non solo la traduce tutta – un’abitudine andata persa, ormai le parti cantate nei film non Disney, restano in originale – ma si concede anche qualche licenza poetica sul testo, la parte sulla depravazione ad esempio, la trovo molto in linea con l’umorismo caustico e goliardico di Landis.
Akeem è un uomo adulto che non si è mai potuto allacciare le scarpe da solo, oppure come dice suo padre è un principe che non ha mai dovuto farlo, quindi giocandosi il credito accumulato, ottiene un lascia passare per 40 giorni di viaggio con il suo fidato compare Semmi (Arsenio Hall), obbiettivo ufficioso, trastullo regale prima del matrimonio, missione ufficiale: trovare qualcuna che lo ami per davvero e non per il suo lignaggio. Dove trovare una regina? Facile… Nel Queens! Anche se bisogna dirlo, questa divertente cazzata suona meglio in Inglese che nella versione doppiata del film.
Mi sembra anche banale raccontarvi la trama di “Il principe cerca moglie”, come dicevo lassù da qualche parte è uno di quei film che tutti quanti noi potremmo citare a memoria, recitando più personaggi di Murphy e Arsenio Hall messi insieme. Il film è un po’ la versione Yankee di “Totò e Peppino divisi a Berlino” (1962… Non escludo che Landis questo titolo lo conosca), l’emigrato candido alle prese con uno stagno molto più grande in cui nuotare è un generatore automatico di comicità, che questo film sfrutta al meglio, la scena del gioioso “Buongiornissimo” di Akeem urlato dalla finestra potrebbe entrare di diritto tra i dieci momenti comici più divertiti della storia del cinema, un vero classico!
Questa favola Africana (in trasferta) con la sua sotto trama romantica prevede tigri, iene e leoni ben prima di beh… “Il re leone” (1994), dovete solo scegliere il vostro momento preferito, a me fa morire la “laccata” famiglia di Darryl Jenks (Eriq La Salle) che lascia le chiazze di “Soul Glo” sul divano di casa McDowell, oppure potrei citarvi i Sexual chocolate o l’inserviente conosciuto al gabinetto che si prostra ai piedi di Akeem, sotto allo sguardo allibito della bella Shari Headley, che qui interpreta Lisa McDowell.
Se volete una curiosità quasi a chilometro zero, tra le trovate anticipate da quanto film, anche una catena di paninoteche qui dalle mie parti a Torino, che ha seguito le orme del signor McDowell e per via di un nome simile (ma declinato volutamente in piemontese), ha avuto una lunga storia di cause con i tizi di McDonald uscendone anche piuttosto bene (storia vera), ma a furia di vedere e rivedere questo film, a colpire forse sono le facce.
Eddie Murphy e Arsenio Hall da soli o truccati interpretano otto personaggi del film (il Principe Akeem, Clarence, Randy Watson, Saul, Semmi, la trans del bar, Morris e il Reverendo Brown), quindi quando vediamo spuntare il rapinatore interpretano da Samuel L. Jackson, a volte ho dei dubbi sul fatto che sia veramente lui, oppure un altro trucco di Rick Baker.
Le altre facce a colpire del film invece, sono tutta farina del sacco di Landis che da sempre ha l’abitudine di far fare a registi famosi, piccole comparsate nei suoi film, qui tocca al grande Tobe Hopper, uno degli invitati alla festa del Signor McDowell.
Ma le due facce più famose sono altre, quando Akeem nel tentativo di arginare la voglia di comodità di Semmi, si libera di un sacchetto pieno di denaro regalandolo a due senza tetto, questi sono proprio i fratelli Randolph (Ralph Bellamy) e Mortimer Duke (Don Ameche), i due fratelli proprietari della Duke & Duke ridotti sul lastrico dopo Una poltrona per due. Vi rendete cosa vuol dire? Prima del “Conjurinverse” e dei mille mila film della Marvel, esisteva già il Landisverse!
Anche perché tra i marchi di fabbrica del regista di Chicago, mettete anche la locandina del film immaginario (qui declinato in chiave fantascientifica) “See You Next Wednesday”, una pellicola finta che compare in tutti i film di John Landis, qui potete vedere la locandina in metropolitana, quando Akeem cerca di fare pace con Lisa.
Insomma “Il principe cerca moglie” è un classico ormai senza tempo, un giorno Murphy riuscirà a portare a termine il suo obbiettivo di sfornare un secondo film, abbastanza inutile (visto che questa era una storia auto conclusiva) e fuori tempo massimo, di sicuro John Landis non sarà della partita ma questo non cambia il fatto che i due quasi ex amici, siano riusciti a sfornare un film che ormai è patrimonio di tutti, anche se resta un film “nero” fino al midollo, quindi altro che T’Challa… Zamunda per sempre!
Sepolto in precedenza martedì 12 gennaio 2021
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