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Il ritorno dei morti viventi (1985): sono affamati e non sono vegetariani

Se George “Amore” Romero non ha mai raccolto i dividenti di tutto quello che ha seminato in
carriera, forse la palma del vero dimenticato va a John A. Russo: amico di
Romero fin dai tempi dell’università, l’uomo che con lui ha fondato la casa di
produzione “The Latent Image” e che un giorno raccontò all’amico della sua idea
del tutto abbozzata, quella di un ragazzo che inciampava in un gruppetto di
creature intente a divorare carne umana. Qualche giorno dopo Romero si presentò
con quaranta pagine, era la prima bozza di La notte dei morti viventi (storia vera).

Romero e Russo non hanno più collaborato insieme, anzi è
un po’ come se si fossero idealmente divisi la torta, ecco perché zio George ha
proseguito per la sua strada dando vita (lo so, forse non è la scelta di parole
più azzeccata) al filone “…of the dead”, mentre Russo si è tenuto stretto la
definizione “living dead”, scrivendo di suo pugno prima la novelization del
primo film, “Night of the Living Dead” pubblicato nel 1974) e poi il seguito,
che portava avanti la storia intitolato “Return of the Living Dead” (1977), ma per tutti i dettagli sull’amicizia tra Russo e George “Amore” Romero, vi consiglio il post del Zinefilo.
Sapete invece chi è sempre stato molto bravo a
pubblicizzare (a volte anche più del dovuto) il proprio lavoro? Dan O’Bannon,
uno che ai tempi di USC (University of South California) era il miglior amico
di John Carpenter, insieme hanno trasformato la loro tesi di laurea nel loro
film d’esordio, Dark Star. Lo stesso
film che Alejandro Jodorowsky vide in un cinemino di New York, mentre era alla
ricerca di uno sceneggiatore per la sua versione di “Dune” mai realizzata,
dalle cui ceneri nacque “Alien”, la storia la conoscete, ne abbiamo già parlato diffusamente.

Dan O’Bannon: tante idee, una lingua lunghissima e ben pochi amici rimasti ad Hollywood.

Quello che viene spesso taciuto sul compianto O’Bannon è
il suo atteggiamento, come ci ha raccontato brillantemente Lucius nel suo lungo speciale su Alien, le idee portate dal vecchio
Dan al film erano riciclaggi pescati dai classici di fantascienza, inoltre la
sua capacità di comportarsi come se prima “Alien” e poi Atto di Forza fossero tutti farina del suo sacco, non lo ha reso proprio “il più simpa della cumpa”
mettiamola così. Sarà per quello che George Romero non ha mai risposto alle
telefonate, quando volevano proporgli di produrre “Il ritorno dei morti viventi”?
Di sicuro anche per la regia ci sono stati alcuni cambi.

Per i titoli di testa, oggi vi beccate anche la colonna sonora.

Si perché Dan O’Bannon è quello che oggi tutti
definirebbero un Nerd, quando gli proposero di adattare per il grande schermo
il romanzo di Russo “Return of the Living Dead”, lui da buon appassionato
dichiarò: «Non mi va di andare a “frugare nel giardino” di Romero»,ed inoltre
decise di infilare nel copione molta più ironia, forse memore dei tempi di Dark Star in cui si rotolava dalle
risate con l’ex amico John Carpenter.

Per un po’ il film avrebbe dovuto dirigerlo Tobe Hooper,
che però dovette passare la mano visto che in quel periodo era già al lavoro su
“Space Vampires”, sempre scritto da O’Bannon che di colpo, si ritrovò a capo del
progetto, il suo esordio alla regia (storia vera). Per il cast invece, i
cambi in stile cestistico non si fecero attendere, la parte di Burt venne
offerta a Leslie Nielsen, che però voleva troppi soldi e per altro, avrebbe
messo fin troppo in luce il lato comico del film, anche se ammettiamolo,
sarebbe stato uno spasso!

I cavalieri che fecero l’impresa un gran casino zombie!

Robert Webber dopo aver letto la sceneggiatura dichiarò
che questa roba gli faceva platealmente schifo, mentre Scott Brady (reduce da Gremlins, uscito solo l’anno prima)
dovette rinunciare per motivi di salute, ed ecco perché Clu Gulager saltò a
bordo della produzione il giorno prima dell’inizio delle riprese (storia vera).

Tra i nomi noti che hanno preso parte alla lavorazione di
questo film di culto, anche un ragazzotto che sarebbe di lì a poco tempo,
diventato famoso per aver creato “I Simpson”. Si perché Matt Groening, ha fatto
gavetta come redattore pubblicitario e alcune frasi di lancio di questo film,
sono farina del suo sacco, come quella che ho voluto omaggiare nel titolo del
post (“They’re hungry and they’re not vegetarians”), ma anche la notevole “First
they want to meet you, then they want to eat you” (prima vogliono conoscerti,
poi assaggiarti), che però venne rifiutata in favore della ancora più
caciarona: “They’re back from the grave and ready to party!” (sono tornati
dalla tomba e sono pronti a farvi la festa!).

Non potevo non dedicare uno spazietto alla bellissima locandina del maestro Enzo Sciotti.

Ogni appassionato di cinema ha il problema di ritrovarsi
prima o poi a dover scegliere il film da vedere quando si ritrova con gli
amici, il classico «Scegli tu un film che sei esperto». Una sassata scagliata
tra capo e collo ad ogni cinefilo, perché scegliere un film in base ai
gusti altrui è sempre difficile, figuriamoci poi sceglierne uno che metta tutti
d’accordo, per fortuna ricordo una volta in particolare in cui proprio grazie a
questo film, sono uscito dalle sabbia mobili della scelta. I miei amici (dai
gusti cinematografici più disparati e non per forza fanatici di Horror), si
erano divertiti facendosela sotto quando mi giocai la carta Evil Dead, quindi in cerca di un titolo simile
mi gettai sul film di O’Bannon. Vi assicuro che venne fuori una serata
memorabile, con i genitori dell’amico che ci ospitava a dormire nella stanza
accanto, non potevano fare troppo casino, quindi in alcuni momenti (come quando
uno dei personaggi viene inseguito da uno zombie-tronco, oppure sulle linguacce
di Tarman, lo zombie uscito dal barile), ci siamo rotolati, ma soffocando le risate. Alcune frasi, come lo scambio di battute «Guido io», «No guido io»,
«Vaffanculo», sono diventati dei tormentoni tra amici, da ripetere ad ogni
occasione utile (storia vera).

Quante risate con questa scena… ormai dovreste saperlo che ho un umorismo tutto mio.

La verità è che “Il ritorno dei morti viventi” ha saputo
trovare uno strampalato equilibrio tra momenti davvero horror (il mezzo cane
che scodinzola, oppure l’ultima scena di James Karen, con bacio all’anello) e
trovate tutte da ridere diventate mitiche. “The Return of the Living Dead”
riesce ad essere all’interno dello stesso film, un omaggio a La notte dei morti viventi di Romero, fatto da un appassionato con il piglio del vero Nerd, ma allo
stesso tempo anche un film che ha contribuito notevolmente all’iconografia
degli zombie, basta dire che è questo il film che ha definito per sempre la
dieta a base di cervelli umani dei non morti, ma anche quello che ha segnato la
via che tante commedie horror negli anni hanno poi seguito, dai fimetti più
scemi fino a capolavori come Shaun of the Dead, devono tutti qualcosina anche al film di Dan O’Bannon, che un
posticino tra i Classidy alla fine se lo merita tutto!

Freddy (Thom Mathews) è al suo primo giorno di lavoro
alla Uneeda, una società che si occupa di esportare in tutto il Paese cadaveri
per le università, scheletri per le facoltà di medicina e modelli finti per
studi farmacologici. Nel tentativo di fare colpo sul nuovo arrivato, il
veterano Burt Wilson (Clu Gulager) prova ad impressionare il ragazzo dicendogli
che la storia di quel film, quello là con i cadaveri che si mangiavano la
gente, quello intitolato La notte dei morti viventi era una storia vera.

“Come direbbe quello scoppiato di Cassidy… storia vera”

Nello scantinato della Uneeda sono conservate alcune
“Uova di pasqua” (e nulla di toglie dalla testa che Dan O’Bannon si stesse
citando addosso, con un riferimento ad Alien),
dei grossi barili sotto vuoto con all’interno dei corpi conservati dal gas
biochimico chiamato Trioxina 2-4-5, originariamente nato come defoliante per le
piantagioni di marijuana sviluppato dalla Darrow Chemical. Spero che non vi
sfugga la palese frecciatina satirica di O’Bannon, visto che il nome del
composto ricorda sinistramente quello della Diossina 2-4-5, che come effetto
collaterale non ha mai riportato in vita i morti, ma è comunemente conosciuto
come il famigerato “Agente Arancio”, usato senza pietà durante la guerra del
Vietnam.

Cimitero della resurrezione, decisamente il nome più azzeccato!

«Questa roba è sicurissima!» e con un colpo secco sul
bidone Burt libera il gas, fa cominciare i titoli di testa del film, ma dà anche
il via al ritorno dei morti viventi. Esattamente come un altro caposaldo del
genere zombie, uscito nel 1985 e a ben guardarlo perfettamente a metà tra
orrore purissimo e commedia come Re-Animator,
tutto quello che era morto alla Uneeda torna in vita, persino le farfalle
puntate con gli spilli alla bacheca, ricominciano a sbattere le ali.

“Mikey tesoro, dammi un bel bacio con la lingua” (cit.)

A tornare in vita però sono soprattutto l’orripilante
Tarman (il linguacciuto e viscido zombie simbolo di questo film, realizzato
ricoprendo il costume di Methocel, un addensante alimentare utilizzato nei
frullati ma anche al cinema, era uno degli ingredienti alla base del remake di
“Blob”, il film del 1988) e tanti altri cadaveri come lui. Il vero colpo di
genio di “The Return of the Living Dead”? Consapevoli che quello che abbiamo
visto nei film di Romero è vero, i protagonisti non perdono tempo a negare il
ritorno dei morti, ma di certo non sprecano minuti preziosi con tentativi
inutili di fermare gli zombie, come fanno troppo spesso altri personaggi
nei film.

“Vuoi dirmi che abbiamo visto tutti quei film di zombie per niente!?!”

Da un certo punto di vista i protagonisti del film di O’Bannon siamo
noi fanatici di Horror, cresciuti a pane e Romero, se mai un giorno dovessimo
trovarci davanti un morto vivente, preparati e allenati da anni di cinema ed
opere immaginarie, sapremmo subito cosa fare, ma è qui che il vecchio Dan si è
giocato l’asso, tirandolo fuori dalla manica.

Come si uccide uno zombie? Sparandogli in testa?
Separando la testa dal corpo? Frantumando il cervello? Sbagliato! Se il film lo
stai scrivendo tu, uno zombie lo uccidi nel modo che preferisci (regola numero
uno della narrazione). Dan O’Bannon fa la scelta più ovvia, da buon Nerd giunge
alla conclusione più semplice, non puoi uccidere nuovamente qualcosa che è già
morto, quindi i suoi zombie sono inarrestabili.

Fun Fact: il gradino della scala era davvero rotto, la caduta (disastrosa) dell’attrice Beverly Randolph che si vede nel film è la sua vera reazione al volo.

Se gli tagli la capoccia quelli continuano a correre come
galline senza testa, se rimangono senza gambe strisceranno per inseguirti e
l’unico sollievo al dolore della morte è nutristi di cervelli, come tossici con
il metadone, sono molto motivati e anche molto astuti, infatti alcuni di loro (i
cadaveri più “freschi” diciamo così) corrono, altri invece beh… parlano e alla
radio richiedono l’intervento di altri infermieri (mentre ne stanno divorando
uno), come noi potremmo ordinare una pizza per la cena. Inoltre se provi a trasformarli in fumo bruciandoli, quelli sono capaci di tornare sotto forma di pioggia acida, insomma una vera apocalisse (zombie).

Zombie cercano cervelli umani (e morirono di fame)

Dan O’Bannon sistema tutte le tessere del domino (gli
amici Punk di Freddy che aspettano la fine nel suo turno nel cimitero) e poi
lascia che i suoi personaggi, mossi da una finta sicurezza sul come agire,
scatenino il disastro. L’effetto domino prosegue nello studio da imbalsamatore
di Ernie Kaltenbrunner (Don Calfa) un posto che ricorda un po’ l’obitorio di Re-Animator, ma che diventerà il centro
di un nuovo assedio zombesco del tutto Romeriano. Per altro divertitevi a
cogliere tutti i riferimenti sparsi da O’Bannon attorno al personaggio di Kaltenbrunner,
nel film non lo dicono mai chiaramente, ma è piuttosto lampante che il
personaggio sia stato scritto come un ex Nazista in fuga: va in giro armato con
una Walther P38, se ne esce spesso con affermazioni in Tedesco e nel suo
walkman ascolta “Panzer rollen in Afrika vor”, ovvero la marcia dell’Afrika
Korps. Più chiaro di così!

“Io li odio i nazisti dell’Illinois” (cit.)

Eppure Kaltenbrunner non è il personaggio più colorito di
“The Return of the Living Dead”, quel titolo va sicuramente i Punk amici di
Freddy, una banda di gatti senza collare in cui la più morigerata di loro, Casey, la ragazza con i vestiti e i capelli azzurri è interpretata da Jewel Shepard, una
che nella vita faceva la spogliarellista e proprio sul suo posto di lavoro l’ha
conosciuta Dan O’Bannon, sicuramente lì in cerca di attrici per il suo film…
seeeee ceeeeeerto!

Una delle vere ragioni della popolarità di questo film: Linnea Quigley.

Originariamente Jewel Shepard avrebbe dovuto interpretare
“Legs”, ma stanca di essere sempre nuda per mestiere, passò la mano e dopo un
cambio di nome al personaggio, il ruolo di Trash venne affidato alla mitica Linnea
Quigley, cantante, chitarrista, produttrice, attrice, coniglietta di Playboy e
soprattutto Scream Queen a tempo pieno, di sicuro la ricorderete altrettanto
sexy in La notte dei demoni. Perché
tanto se avete affittato quarantadue volte “Il ritorno dei morti viventi” da
ragazzini, è stato anche per lo spogliarello di Linnea Quigley, non fate i
santarellini come me!

Didascalie che nessuno leggerà mai e dove trovarle.

Per la scena in questione, Dan O’Bannon ha dovuto sudare
sette camicie, si perché aveva originariamente chiesto a Linnea Quigley di
girare la scena, diciamo al naturale ecco. Quando al produttore venne un mezzo
colpo apoplettico, temendo le forbici dei censori si presentò da O’Bannon
sbraitando: «Ma sei scemo? Non puoi mostrare del pelo pubico in un film che
andrà in tv!». In effetti qualcosa ha dovuto farlo più che altro Linnea Quigley,
che dopo una depilazione completa ha dovuto rigirare la scena per intero, facendo venire
questa volta un colpo apoplettico completo al produttore: «Così è ancora
peggio: si vede tutto!». Risultato finale? Si ricorre agli effetti speciali,
per coprire con della gomma la zona della discordia, peccato che la povera Quigley
dovette gestire la “pause pipì” con grande organizzazione, visto che sfilarsi
quella specie di mutanda prostetica richiedeva anche del bel tempo (storia
vera).

Zombie che corrono? No, zombie che parlano!

A proposito di visto censura, in un film quasi meta-cinematografico
come questo, Dan O’Bannon ci ha fornito un modo piuttosto esplicito per capire
qualche versione del film stiamo guardando: se sul retro della giacca rossa di
Freddy, potete leggere chiaramente le parole “Fuck You” (non credo sia necessaria
la traduzione), andate tranquilli, state guardando la versione non censurata del
film. In quella, oltre ai tagli richiesti dal formato televisivo, Freddy
sfoggia una giacca con su scritto “Television version” Ah! Fosse sempre così
facile distinguere le versioni censurate degli Horror!

Questo trucchetto del giubbotto dovrebbe esserci in tutti gli horror.

Proprio il personaggio di Freddy (e quello di Burt)
contribuiscono a loro modo all’iconografia dei morti viventi, esposti per primi
alla Trioxina 2-4-5, i due personaggi muoiono sotto i nostri occhi senza che
nessuno se ne accorga, diventando due veri e propri morti viventi, nel vero
senso della parola. Il modo di O’Bannon di giocare con l’iconografia dello
zombie, da una parte riportandola alla sua purezza (in questo film vediamo
nuovamente i cadaveri uscire dalle tombe, come non accadeva più da tempo, reso
fuori moda proprio da Romero), ma anche in qualche modo cominciando a
contaminarla, l’idea di un gas che infetta le persone trasformandole in zombie,
sembra arrivare da titoli come “Virus” oppure “Incubo sulla città contaminata”
(entrambi del 1980), per certi versi anticipando un po’ i 28 giorni dopo futuri. Insomma Dan O’Bannon da buon Nerd e grande
appassionato, ha rovesciato la scatola dei giocattoli sul pavimento, e con
questo film si è messo davvero a giocare con i morti viventi.

“State tranquilli, i militari avranno una soluzione”, “Si quella del caporale Dwayne Hicks!”

Il tutto senza rinunciare alla lezione Romeriana, zio
George resta il nord magnetico di questo film anche per la critica anti
militarista infilata giù per la gola agli spettatori da O’Bannon. Nello stesso
anno in cui Romero firmava il suo capolavoro smaccatamente anti divise
mimetiche, ovvero Il giorno degli zombi,
a suo modo e con grande umorismo (nerissimo), Dan O’Bannon non le manda certo a
dire, i militari di “The Return of the Living Dead” sono anni che si preparano
al momento in cui le “uova si schiuderanno”, ma il loro piano non è certo
quello di intervenire per risolvere la situazione, come se fossero lo
scintillante settimo cavalleggeri, diciamo che preferiscono optare per un ben
più Yankee: decolliamo e nuclearizziamo. Tanto per restare in tema Alien(s).

Insomma, “Il ritorno dei morti viventi” è un classico
perché unisce tradizione e passione per gli zombie di Romero, ad un tocco di
innovazione, ma bilanciando alla grande umorismo e orrore in parti uguali. Uno
di quei film che non mi stancherò mai di vedere e rivedere (e non solo per via
di Linnea Quigley!) e visto che siamo in tema, non perdetevi lo speciale del venerdì del Zinefilo dedicato ai retroscena su
questo film!

Inoltre non perdetevi il dettagliatissimo post di Doppiaggi Italioti con tutta l’analisi all’adattamento Italiano di questo film, davvero imperdibile.

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