Nel 1977, William Friedkin è un regista onnipotente.
Dopo il successo di L’esorcista avrebbe potuto decidere di dirigere anche un film muto sulla vita di Anna Frank usando come cast gli Harlem Globetrotters, chiunque gli avrebbe fornito i fondi necessari per dirigerlo. Invece Hurricane Billy con un budget relativamente piccolo, scelse come soggetto il film di uno dei suoi eroi cinematografici, Henri-Georges Clouzot e quel capolavoro di Vite Vendute, uno di quei film in grado di metterti addosso un’ansia che levati, ma levati proprio, nella mani di Fridkien? Roba per coronarie allenate.
Occhio però a parlare di remake, perché prima era necessario ottenere i diritti di sfruttamento sulla storia, per farlo venne contattato Georges Arnaud, autore del romanzo originale “Le salaire de la peur” (1950). Risalire alla fonte per ottenere il semaforo verde subito, anche perché Arnaud non ha mai amato il primo adattamento di Clouzot, colpevole secondo il romanziere di aver fatto troppe modifiche alla trama (Storia vera).
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Hurricane Billy, pronto a menare il suo colpo più duro. |
A questo punto, il diavolo ci mette la coda, anzi, forse proprio lo zampino di Pazuzu: la distribuzione e la campagna pubblicitaria del film sono un mezzo suicidio. Il titolo originale “Sorcerer” associato al nome di Friedkin fa pensare a tutto, tranne che a ad un film quasi esistenzialista con camion carichi di esplosivo, il pubblico si aspettava qualcosa di paragonabile a L’esorcista, infatti quando il film uscì in sala il 24 Giugno del 1977, i cinema erano ancora strapieni di persone in coda per vedere per la sesta volta Guerre Stellari, uscito appena un mese prima, il 25 Maggio per la precisione. Il risultato è un disastro al botteghino assolutamente ingiustificato, perché al pari di Vite Vendute si tratta davvero di un filmone. Pensate cosa sarebbe successo se il film fosse uscito con il titolo che desidera Hurricane Billy, ovvero “Ballbreaker”, che potremmo tradurre rompimento di palle palline, una scocciatura insomma, perché la lavorazione del film per Friedkin è stata un bagno di sangue.
La storia non cambia poi di molto rispetto alla versione di Clouzot – di cui Friedkin sognava una benedizione – in un non ben indentificato stato del sud america dominato da una compagnia petrolifera, un pozzo di petrolio prende fuoco, causando morti e feriti, ma soprattutto un gran spreco di denaro per i ricchi petrolieri in giacca e cravatta. Bisogna far saltare per aria il pozzo con degli esplosivi per chiuderlo, ma gli unici disponibili sono dei vecchi candelotti di dinamite che trasudano nitroglicerina, là dove nel film di Clouzot era nitroglicerina pura e semplice. L’esplosivo è tanto instabile che potete scordarvi di trasportarlo in elicottero, bisogna muoverlo via terra su dei camion, ma servono quattro volontari, chi si fa avanti? Peggio delle interrogazioni a scuola, lì si rischiava solo un quattro, qui la pelle.
Per trovare i suoi attori (volontari), Hurricane Billy sapeva di poter puntare in alto, così come per le location, l’Ecuador è la meta scelta per le riprese principali, ma bisogna convincere le prime scelte di Friedkin, siete pronti? Steve McQueen, Robert Mitchum e Marcello Mastroianni. Non ricordate nessuno dei tre alle prese con candelotti di dinamite? Mettetevi comodi che ora vi racconto il perché.
McQueen andava pazzo per la sceneggiatura, ma si era da poco sposato con la bellissima Ali McGraw ed era interessato a farla lavorare, quindi chiese al regista di infilare un personaggio femminile nella trama. In una nuova versione di Vite Vendute? Steve come cacchio faccio?! Intanto il tempo passava e oltre a perdere McQueen per non tradire il materiale originale, il regista di Chicago dovette rinunciare anche a Mastroianni per precedenti impegni e a Mitchum, che di andare fino in Ecuador per girare un film, non ne voleva nemmeno proprio sapere (storia vera). Quindi se l’incredibile prova di Roy Schneider – seconda scelta ma vecchia conoscenza di Billy – ma anche di tutto il resto del cast in questo film sono impeccabili, sappiate che in puro stile cestistico, Friedkin il regista appassionato di pallacanestro, ha dovuto schierare i panchinari, anche se di lusso.
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“Quindi McQueen vi ha dato buca ed ora questa rogna tocca a noi?” |
Il film di Friedkin è diviso in tre atti, in cui il primo è completamente dedicato alla presentazione dei protagonisti, per altro, con il minimo sindacale di dialoghi, trovata che mi manda sempre in brodo di giuggiole.
L’inizio del film è fulminante, i primi fatidici cinque minuti che determinano tutto l’andamento della storia: in Messico, Nilo (Francisco Rabal, finalmente davvero lui dopo lo scambio di persona di The French Connection, Billy si è tolto anche lo sfizio di poterlo dirigere) entra in una stanza e uccide un uomo con un colpo di pistola, siamo al minuto numero due del film, abbiamo già un morto e il primo cambio di location. A Gerusalemme, Kassem (Amidou) dopo aver compiuto un attentato dinamitardo, fugge per il rotto della cuffia dall’esercito Israeliano mentre i suoi compagni vengono catturati. Altro giro, altro cambio di scenario, questa volta Parigi – Francia non Texas – Victor Manzon (Bruno Cremer) è un imprenditore a rischio bancarotta, dopo il suicidio del suo socio d’affari, capisce che per evitare la galera è meglio prendere il primo volo per Hammamet, per uno prima di lui ha funzionato, almeno per un po’. L’ultimo personaggio che compone il quartetto è Jack Scanlon (Roy Scheider, al secondo film in fila con Friedkin dopo Il braccio violento della legge), gangster del New Jersey, che con i suoi compari ripulisce una chiesa durante la raccolta delle offerte, ma nella sparatoria per coprirsi la fuga, un prete ci lascia le penne, problema: si tratta dell’amato fratello del Boss locale, quindi è il caso di far sparire le proprio tracce, per non finire a dormire con i pesci in stile Soprano.
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Il baffo violento della legge. |
Quattro personaggi alle prese con le quattro situazioni che li hanno portati a fuggire dalle proprie vite (vendute) e a rinunciare alle loro identità. Una sinistra simmetria che trasforma i nostri esuli in personaggi che vivono in un non-luogo del Sud America, dove chi ci è arrivato, ha lasciato ben più di una speranza.
Clouzot non raccontava le origini dei suoi protagonisti, ma si prendeva tutto il tempo necessario per farci affezionare a loro. Friedkin invece ci sbatte in faccia quanto sgradevoli e poco raccomandabili gatti senza collare, personaggi al limite, quelli tipici del suo cinema, caratterizzati da luci ed ombre e poi per due ore, ci fa stare in pena per questi poveri bastardi.
Tanto era politico Clouzot, quanto più sceglie di essere cinico Friedkin, la scelta degli autisti da parte della compagnia petrolifera è una selezione naturale, che premia i più fuori di testa e dove i più deboli si auto eliminano. Anche durante il trasporto dell’esplosivo, Friedkin ci ricorda l’avidità dei suoi personaggi, come ad esempio quando vediamo Roy Scheider quasi felice di vedere i piloti dell’altro camion in difficoltà, se mai non dovessero arrivare a destinazione, ci saranno più soldi per i sopravvissuti.
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“Ok ragà è una roba facile facile, basta non sbatacchiarla troppo ed è fatta”. |
L’ineluttabilità di cui sono vittime i protagonisti, fa squadra con il livore dei personaggi, arrabbiati per la piega presa dalle loro vite, vogliosi di guadagnarsi quel salario (della paura) che gli permetterebbe non dico di tornare a casa, ma almeno di sperare di fare una vita meno amara, come cantava Manfredi. Friedkin quindi cambia un po’ il punto di vista, anche se dimostra grande rispetto nei confronti del film del 1953, tanto che in una scena, quella della tangente al funzionario doganale, lo cita apertamente. La volontà di Hurricane Billy era quella di guadagnarsi l’approvazione di Clouzot, insomma amore per il cinema manifesto.
Le riprese in Ecuador furono un inferno, un po’ per il clima caldo e umido, un po’ per la volonta di Friedkin di provare a controllare un set caotico, in preda agli eventi naturali, cosa vi dicevo lassù in apertura? Il nostro Billy nel 1977 si sentiva cinematograficamente imbattibile, come tanti prima di lui, dopo aver raggiunto il grande successo, era pronto a portare in scena il film della vita. Prima viaggiava in metro, ora in limousine e il suo disastro (al botteghino), sarebbe stato una catastrofe in grande stile, un’ossessione da completare come quella dei personaggi dei suoi film, più in generale, un… Classido!
Dove entrambi i film dimostrano di avere una marcia in più è nel secondo atto, ovvero quello legato al trasporto su gomma dell’instabile esplosivo. Quando i due camion partono, anche per noi spettatori inizia un viaggio di constante tensione, Friedkin ci porta a bordo dei due camion, uno dei quali chiamato Sorcerer, così abbiamo spiegato anche il titolo del film. La messa in scena del complicato viaggio è rigorosa, direi quasi documentaristica, forte dei trascorsi del regista di Chicago.
Hurricane Billy non ci fa perdere una pietra, un buco nel terreno, ci fa sentire tutti gli scricchiolii che fa un ponte di legno sotto le ruote dei pesanti camion, tenendo costantemente alta la tensione, quando poi la morte cala su qualcuno dei personaggi, lo fa in maniera immediata, ora ci sei… BOOM! Un attimo e sei solo un ricordo.
L’apice di tutto questo è ovviamente l’angosciante scena dell’attraversamento del ponte di corda, Friedkin piazza la telecamera sempre nel punto giusto con una precisione chirurgica, frutto di una tecnica ormai affilata dopo anni di gavetta. Il resto lo fa il micidiale lavoro di montaggio di Bud S. Smith, mentre l’ossessiva colonna sonora dei Tangerine Dream ti entra sottopelle, sfido chiunque a guardare questa scena restando tranquillo e rilassato, ma sapete qual è la vera coltellata al cuore? Il colpo di genio di Friedkin? Dopo l’attraversamento del primo camion, il regista parte subito con la scena del secondo attraversamento, ben due secondi (ma pieni eh!?) di tregua per il pubblico e poi sotto, con un’altra sessione di tortura, catapultati di nuovo nello stesso angosciante terrore. Cattiveria? Forse, ma sicuramente grandissimo cinema.
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Se riuscite a restare calmi e rilassati su questa scena, o siete Fonzie o siete morti, fate un pò voi. |
Il finale di entrambe le versioni dei film è degno di un Horror, ma forse quello di William Friedkin è ancora più inquietante, non vi rivelerò nulla, ma la sensazione che ho avuto guardando gli ultimi minuti del film, è grossomodo la stessa provata dal protagonista – non vi dico nemmeno chi è, vi tocca guardarvi il film, tiè! – ovvero che anche se abbiamo lasciato il camion, la minaccia e il pericolo di morte stia continuando a seguirci, una tensione e un senso di inevitabilità da cui non si riesce proprio a liberarsi, nemmeno dopo i titoli di coda del film.
Quando un film riesce ad avere questo tipo di presa sullo spettatore, di solito è perché si tratta di grandissimo cinema, in questo caso lo è sicuramente, malgrado gli incassi disastrosi. Un film da vedere assolutamente, anche se per tutta la sua durata, avrete le nocche delle mani bianche, strette attorno ai braccioli della poltrona, poi non ditemi che non vi avevo avvertiti.
Intanto vi ricordo lo speciale della Bara Volante dedicato a William Friedkin!