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Il seme della follia (1995): le estremità logore della ragione

Sono John Cassidy, il mio lavoro è quello di smascherare frodi cinematografiche, il caso che mi è stato assegnato oggi è la pellicola intitolata “Il seme della follia” di un tale chiamato John Carpenter, un sedicente Maestro se così vogliamo definirlo, che si spaccia come grande regista di film dell’orrore. Sapete quanti ne ho visti così? Vi dimostrerò che questo film è tutta una grossa montatura… Ah sì, alcuni vincoli contrattuali mi costringono a darvi il benvenuto alla rubrica che si chiama, aspettate che leggo… John Carpenter’s The Maestro!

Sbrigo subito le formalità burocratiche, nel contratto con cui sono stato assunto per smascherare questo “Maestro” c’è una clausola che m’impone di leggervi il seguente comunicato: “Carpenter manda a segno il capitolo finale della sua trilogia dell’Apocalisse, dopo La Cosa e Il Signore del male, il Maestro dirige un film iconico, uno dei più rappresentativi degli anni ’90, che riesce magnificamente nell’intento di portare sul grande schermo gli orrori Lovecraftiani come nessuno è mai riuscito a fare, per tutte queste ragioni e per quelle che proverò a spiegarvi, questo film è assolutamente un Classido!”. Ma chi è l’invasato che ha scritto ‘sta roba? Ma tutti gli ammiratori di questo Carpenter sono così sciroccati? Il cartello? Ah, perché non basta questa pagliacciata dei Classidy, c’è pure il cartello… Vabbè, mettiamo questo banner, basta che la finiamo.

Nel 1995 la New Line cinema non aveva ancora fatto il botto con i film legati alla saga de “Il Signore degli anelli”, era più che altro una casa produttrice che sfornava parecchi horror, il più celebre di tutti sicuramente “Nightmare” di Wes Craven, la sceneggiatura del film è firmata da Michael De Luca e, per sua stessa ammissione, volutamente ispirata al lavoro di Stephen King e HP Lovecraft, proprio De Luca aveva già adattato per il grande schermo un racconto breve di Zio Stevie, il risultato era lo strambissimo “The Lawnmower Man” (Il tagliaerbe, 1992).

La sceneggiatura sembrava fatta dal sarto per uno come Giovanni Carpentiere, che non solo aveva già esperienza con i romanzi di King (Christine la macchina infernale), ma l’influenza di Lovecraft nei suoi lavori è sempre stata palese, oltre che nei precedenti capitolo della “Trilogia dell’Apocalisse” anche in The Fog, il solitario di Providence aveva il suo bel peso.

Carpenter apre il film subito forte, il tema musicale, composto collaborando nuovamente con Jim Lang (dopo Body Bags), è a tutti gli effetti un pezzo Heavy Metal che non ha nulla da invidiare (e in qualche modo ricorda) “Enter Sandman” dei Metallica, una roba esaltante che in cuffia e nel film fa sempre la sua porca figura. Bisogna ammettere che questo John Carpenter quando si parla di musica sa il fatto suo, ma vi dimostrerò che il film non è altro che una montatura da quattro soldi. Parliamo della trama.

Fermate le rotative! E’ il momento dei titoli di testa del film!

John Trent è un investigatore assicurativo che fa quasi il mio stesso lavoro: si occupa di smascherare quei furbetti che per incassare soldi, organizzano truffe, finti incendi e altre trovate del genere. Forte di una sfiducia totale per l’umanità, è il migliore sulla piazza, tanto che viene assoldato dalla casa editrice di Sutter Cane (il grande Jurgen Prochnow, attore tedesco specializzato in cattivacci), uno scrittore di romanzi Horror che vendono e fanno più paura di quelli di Stephen King (testuali parole prese dal film).

Problema! Sutter Cane è scomparso mentre stava scrivendo il suo capolavoro definitivo “Nelle fauci della follia”, i suoi fans in fila nelle librerie danno di matto, anche se il romanzo deve ancora uscire, non aiuta nemmeno il fatto che i diritti cinematografici del libro siano già stati venduti, anche se ancora nessuno ha visto una singola pagina scritta da Cane.

Nessuno tranne il tizio che aggredisce John Trent armato di ascia. Si tratta dell’agente di Sutter Cane, a cui è partito il boccino dopo aver letto alcune pagine del romanzo. John Carpenter, questo registucolo da strapazzo, inizia il film così: una vetrata rettangolare infranta da un’ascia (infrangere uno schermo!) e… Ehm, stavo dicendo e una nemmeno velata critica al fanatismo degli appassionati, i seguaci di Cane non sono tanto diversi dagli Zombie Romeriani che si aggiravano lobotimizzati per i corridoi del centro commerciale… Ed io dovrei farmi impressionare da questa roba? Qualche metafora trita e ritrita e sono tutti pronti a gridare al capolavoro? Per fortuna sono un professionista!

«Non hai la sensazione di essere osservato?»

Trent, indagando sulla scomparsa dello scrittore, trova nei suoi libri (letteralmente!) degli indizi che lo inducono a pensare che Cane si sia rifugiato nel New Hampshire, sulla mappa geografica, lo stato accanto al Maine, dove vive Stephen King… Devo aspettarmi ancora tante strizzate d’occhio in questo film? Comunque, dopo un viaggio allucinante e allucinatorio in auto, insieme all’assistente dell’editore, Linda Styles (Julie Carmen), raggiunge Hobb’s End, la cittadina immaginaria che esiste solo nei romanzi di Cane.

Dopo Avventure di un uomo invisibile, Carpenter affida il ruolo del protagonista a Sam “Più grande attore degli anni ‘90” Neill, perfetto nell’incarnare una figura ricorrente nel cinema Carpenteriano, ovvero lo scettico, che proprio nel personaggio di Trent trova la sua massima rappresentazione.

Ora, tutti quelli che sono pronti a gridare al capolavoro parlando di questo filmetto, spero abbiano notato l’omaggio di Carpenter a “L’invasione degli ultra corpi” (1956): Trent, condotto a forza in manicomio, è l’unico che conosce davvero il pericolo, ma nessuno gli crede, proprio come il protagonista del film di Don Siegel.

Si certo, non sei pazzo, ti ha solo fregato l’avvocato…

Chiuso in una cella imbottita e in preda al delirio, Trent inizia a raccontare al Dr. Wrenn (David Warner, al secondo film con Carpenter dopo Body Bags) e a noi spettatori la sua storia, un vecchio trucco cinematografico da poco quello di questo vostro “Maestro” Carpenter, rende il film circolare, farcito da qualche facile “BUU!” come la mano (ancora una volta The Fog) che nel sogno di Trent, distrugge il vetro della sua cella (infrangere uno schermo!) oh… Dicevo: trucchetti, è tutto un trucco… Un trucco…

La parte iniziale del film potrebbe già essere considerata un critica metacinematografica a tutta l’industria dell’intrattenimento, quasi un bonario sfottò a scrittori come Stephen King, ma allo stesso tempo al fanatismo cieco dei fan come voi che vi esaltate per questa robetta da niente, nel 1995 non esistenza il marketing virale spinto, promosso dai finanziatori di film, romanzi e videogames, in ogni caso, Carpenter lo aveva già messo alla berlina, segni di continuità per uno che con Essi Vivono aveva già detto la sua sul capitalismo… Questo devo concederlo a Carpentiere, ma non sono qui per demolire le sue metafore, verrò pagato profumatamente per dimostrarvi che è soltanto un venditore di fumo quando si tratta di Horror.

John Trent leggendo i romanzi di Cane inizia a fare sogni sempre più strani e stratificati tra di loro: un poliziotto impegnato a pestare un lettore particolarmente ostico in un vicolo, perseguita Trent nei suoi sogni, incastrati uno dentro l’altro come nel finale de Il Signore del male, clichè da cinema horror che Carpenter, devo ammetterlo, sa maneggiare molto bene donando loro grande efficacia… Certo, se poi il pubblico è tutto come voi che vi bevete qualunque cosa è anche facile, per fortuna io che di mestiere smaschero queste frodi, sono più scafato di voi, tzè!

Sarà anche un trucco, però funziona maledettamente bene…

“Il seme della follia” s’inclina da un lato e passa progressivamente da Stephen King ad HP Lovecraft, il momento chiave del passaggio di testimone è il viaggio in auto di Trent e della Styles. Guidando di notte, i due incrociano un ragazzino in bicicletta, con la carta da gioco pinzata sui raggi di una ruota (ricorda nulla?), attraversando un ponte sospeso (molto sospeso…) arrivano nella cittadina di Hobb’s End, equivalente Sutter Caniano della Castle Rock di Zio Stevie.

«Poteva andarmi peggio, potevo finire in un libro di Moccia»

Qui piano piano King cede il passo a Lovecraft e il pubblico si divide tra i creduloni come la Styles, che si convince subito di essere finita nella vera cittadina protagonista di libri come “Orrore ad Hobb’s End” e quelli, come me, che non si lasciano certo impressionare da qualche citazione e alcune lucine colorate. Trent in questo senso è lo scettico Carpenteriano, ma anche il razionale, il tipico personaggio dei romanzi di Loveraft che non accetta la situazione, perché farlo significherebbe veder crollate tutto il suo castello di carte intellettuale su cui ha basato tutta la sua vita… Così dovreste diventare, questi sono i personaggi che dovreste idolatrare non questo Carpenter, Maestro dei miei stivali!

Ad Hobb’s End Trent inizia a fare i conti con il potere creativo dello scrittore, in grado di plasmare il mondo usando solo il suo talento della scrittura, questo è l’ultimo contributo Kinghiano alla storia, perché nella cittadina, gli omaggi e le citazione al solitario di Providence si sprecano.

L’albergo dove soggiornano i due, è gestito dall’adorabile signora Pickman (la nonna dei sogni per tutti i Lovecraftiani, tutta gonne lunghe e tentacoli…) che si chiama proprio come la storia breve “Il modello di Pickman” (Pickman’s Model, 1927).

«Vorrei fermarmi Signora ma vedo proprio andare, mi saluti tanto suo nipote HP!»

La stanza d’albergo numero 9, stesso numero della cella imbottita in cui Trent viene gentilmente ospitato, mentre tra i romanzi scritti da Sutter Cane, uno si intitola “The Whisper in the Dark” (questa non va nemmeno spiegata) e tutta l’atmosfera è pesantemente influenzata da “La maschera di Innsmouth” e i miti di Cthulhu.

Tutte le porzioni dei libri di Cane che vengono lette durante il film, sono prese di peso dai testi di Lovecraft, come ad esempio “L’Estraneo” e anche il titolo del film, “In the Mouth of Madness”, rimanda al capolavoro “Alle montagne della follia” (At the Mountains of Madness), un gioco di parole basato sulla somiglianza tra le parole Mounth e Mountains che i titolisti italiani buttano giù nello scarico, sfornando “Il seme della follia”. Non potevano semplicemente mantenere il titolo del libro di Cane, “Nella fauci della follia”? Un tentativo patetico di arrestare l’inevitabile, boicottando il lavoro del Maestro e la sua venuta in ques… Ma che Diavolo? Trucchi! Trucchi ovunque, ah ma non ci casco! Dovrai fare meglio di così Carpenter per fregarmi!

«Oh giusto te cercavo, ho appena finito un raccontino che vorrei farti leggere…»

Vi dicevo di Lovecraft, il film girato quasi interamente in Canada, ha offerto la location della chiesa dove troviamo Sutter Cane, che esiste veramente e si trova nell’Ontario, in particolare nella cittadina di Markham, una chiesa battista che… Markham. M Arkham… No, vabbè, stiamo esagerando!

Dopo la prima mezz’ora “In the Mouth of Madness” smette di far progredire la trama e diventa espositivo, trasformandosi da qui alla fine in una progressiva discesa nella follia, dove le visioni assurde di Trent tengono banco… Per un film che in totale dura un’ora e mezza, non è mica male! Infatti, risulta uno dei film più visivi del Maes… Di Carpenter, forse anche il più sperimentale, grazie ad un massiccio utilizzo di filtri colore e strambe inquadrature, tutte selezionate per sottolineare una realtà che di deforma con il passare dei minuti…

Carpenter preme sul pedale di una minaccia incombente, mai mostrata, ma sempre presente (il Carpenteriano scontro tra visibile e invisibile che genera il terrore), chiuso nel manicomio Trent si sente al sicuro da quello che sta accadendo la fuori, in un dialogo chiave in auto, Styles sottolinea come i racconti horror siano basati sulla paura evocata. E se Sutter Cane avesse ragione? Soltanto i pazzi (o coloro che possono “vedere”) sarebbero i custodi della realtà, avete una matita? Mi serve un matita… Volevo disegnare una piccola croce qui.

«Ecco, solo qualche piccola croce qua e là…»

Partendo da un clichè tipico dell’horror (il cattivo che sacrifica se stesso in favore di LORO, le creature dell’aldilà), Carpenter rinfresca l’idea con il suo tocco: per il Maestro lo scrittore è il demiurgo che crea la realtà e come fatto passando lentamente, ma inesorabilmente da tematiche Kinghiane a situazioni Lovecraftiane, Carpenter passa progressivamente dalla letteratura al cinema… Guarda come mi è venuta bene questa croce che ho disegnato? Adesso ne faccio un’altra uguale qui vicino.

In fondo, la scrittura è anche alla base del cinema, dialogando in macchina sui lavori di Sutter Cane, minacciati da creature Kinghiane (l’anziano il bicicletta che non riesce mai a lasciare Hobb’s End “Perché l’inferno è ripetizione” cit.), Trent e Styles entrano a loro volta in un loop, passano dalla letteratura al cinema (i libri di Cane nei titoli di testa del film, che sulle rotative diventano immagini in movimento…), imboccando l’entrata per Hobb’s end, la luce alternata che trapela dalle aperture del ponte coperto che porta in città, somiglia ai bordi della pellicola che scorre nel proiettore, quasi un’anticipazione di quello che succederà e dei temi che il Maestro tratterà in “Cigarette Burns”, in un ideale, metacinematografico e quasi fisico passaggio da libro a film… Mi stanno venendo bene queste croci, adesso ne disegno una più grande, sì sì, più grande.

«Ti piace come ho arredato la mia stanza?»

Ma solo chi può vedere è destinato a conoscere (la profezia dell’agente agente di Cane, nel sogno di Trent “Io vedo”), Styles cede presto e anche se Carpenter ha sempre sfornato personaggi femminili forti e credibili, qui è assolutamente in linea con la tradizione Lovecraftiana, che vuole le donne bandite o comunque, come in questo caso, solo un supporto all’onnipotenza di Sutter Cane, ma no incredibile! Quante croci riesco a disegnare in così poco tempo, guarda che roba!

Ehi vacci piano Sutter! Mi stropicci tutta la Bara così!

Sutter Cane assorge a divinità, è il regista di tutto quello che accade ed è anche il creatore di John Trent, qui il confine tra Cane e Carpenter si assottiglia fino quasi a sparire, come le estremità della ragione, ormai logore, se HP Lovecraft grazie alla sua prosa, ha saputo descrivere un orrore indescrivibile che viene dall’oltre mondo, rendendo millimetrico il muro che separa la realtà dalla finzione, Sutter Cane/Carpenter quel muro lo distrugge, anzi, letteralmente lo strappa come se fosse una pagina di un libro lasciando uscire quello che contiene. L’enorme pagina strappata da cui Trent si affaccia è la porta dell’abisso dentro il quale LORO strisciano, pronti a raggiungere il nostro mondo, sfruttando il varco nella barriera della quarta dimensione… Croci, le croci mi tengono al sicuro, ma me ne servono di più, molte di più, sul braccio… Ne disegno una qui sul braccio, mi serve.

«Cosa si scrive sul CID quando sbatti contro il muro della quarta dimensione?»

Gli effetti speciali di Greg Nicotero (anche lui di nuovo al lavoro con Carpenter dopo Body Bags), sono un misto di costumi ed animatronici, volutamente ricoperti di acqua per dare quel tocco viscido, tipico delle creature descritte dal solitario di Providence, mentre le indagini di Trent sono un’avventura “punta e clicca” sullo stile di “Alone in the dark”. Carpenter che oltre ad essere un grande uomo di cinema, è anche un discreto fanatico di videogiochi, dimostra di aver assimilato il linguaggio e la struttura dei videogames, anticipando le indagini videoludiche nell’inquietante cittadina di “Silent Hill”, che sarebbe uscito solo quattro anni dopo e, non a caso, è pieno di riferimenti a John Carpenter e ai suoi film.

«Gli occulti supersovrani dell’universo» (Cit.)

Nel suo tentativo di fuga da Hobb’s end, Trent ogni volta che fallisce si ritrova al punto di partenza (in balìa della folla con torce e forconi), esattamente come nei videogames, l’unico modo per uscire dal loop in cui ormai è incastrato è infrangere le regole, solo così trova il modo di fuggire dalla Hobb’s end, ma da qui in poi Trent è completamente in balìa del suo creatore Sutter Cane/John Carpenter, che sfrutta la realtà da lui creata e il linguaggio cinematografico per torturarlo e dimostrargli che è solo un burattino nelle sue mani.

Nella mia scena preferita in assoluto, i filtri blu di Carpenter sono la risposta alla domanda “Ti ho mai detto che il mio colore preferito è il blu?”, anzi, forse la risposta migliore è il grido di terrore di John Trent, un uomo che non solo ha visto crollare tutto il suo castello morale di valori, ma che ormai è completamente “Nelle fauci della follia”, libro o film da esso tratto… Eh eh, avete visto quante crocette sono riuscito a fare mentre vi parlavo? Ne ho su tutte le braccia e sul viso.

«Vengo a prenderti stasera con la mia torpedo blu…»

Di tutti i finali neri firmati dal Maestro, questo è il più clamoroso e, anche per questo, insieme a La Cosa, “Il seme della follia” è indubbiamente uno dei migliori film di Giovanni Carpentiere, un finale nero da cui non si può sfuggire perché la distanza tra romanzo, libro, film, spettatore, ormai è completamente azzerata se non totalmente assente.

Trent esiste davvero? E’ pazzo o l’unico che poteva vedere? Uscito dal manicomio il mondo fuori è completamente devastato e in LORO potere, l’ultimo picconata (alla sanità mentale dello spettatore) al muro che separa realtà e finzione, arriva quando John Trent, personaggio di un film di John Carpenter, entra nel cinema in cui stanno proiettando il film tratto dal libro di Cane, “In the mouth of madness” un film di John Carpenter (come si legge sulla locandina esposta fuori dal cinema) con protagonista John Trent. Non si può uscire dal loop della pellicola che gira e il film che John Trent si ritrova a guardare è proprio In the mouth of madness/Il seme della follia, quello che noi spettatori abbiamo appena finito di vedere. La mente esplode, la realtà e la finzione sono come le estremità della ragione, logore.

La mente vacilla…

Lo sapevamo fin dai primi minuti e come John Trent non siamo riusciti a sfuggire dal loop (perché non c’è possibilità di farlo!), chi legge il libro di Sutter Cane impazzisce e tutti quelli che non leggeranno il libro… Vedranno il film… Miglior finale di sempre!

… Ma il piano del Maestro ha una falla! C’è ancora una speranza per salvarci! Qualcuno potrebbe non aver visto il film, allora sarebbe salvo!! Beh, però loro…

… Leggeranno la recensione.

La recensione, la recensionEh eh…eh eh eh…. eh ah ah, ah ah Ah ah! aH Ah ah AH… AH AH! AH! AHAHAHAHA.. AH AHAHAHHA… BUAHAH AHAH AH AHA HA Aaaah Ahah Ah ah ah…

…aha..ah ah Ah ha Ah ah ah!

Prima che LORO vengano a prendervi, fate un salto sulla pagine del Faccialibro de Il Seme Della Follia – FanPage italiana dedicata a John Carpenter, che ospita questa mia rubrica tutta matta, anche loro apprezzano i riff di chitarra metallari di Giovanni.

Sepolto in precedenza venerdì 10 giugno 2016

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