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Il Signore degli Anelli – Le due torri (2002): un anello per ghermirli…

Continua il viaggio nella Terra di mezzo, dopo aver festeggiato i primi vent’anni della Compagnia dell’Anello possiamo proseguire con il secondo film della trilogia, perché come sosteneva il Bardo, in una storia in tre parti, il secondo capitolo è sempre il più drammatico.

Forse anche per la realizzazione, ve lo immaginate Peter Jackson a metà del guado? Il suo piano bellicoso di girare tre film in contemporanea, uno via l’altro, deve averlo fatto sentire più volte come Frodo in cammino verso il Monte Fato. Eppure il risultato è stato incredibile, parte delle riprese del film si sono svolte in concomitanza con quelle de La Compagnia dell’Anello, l’ultimo ciak è stato battuto, tra un problema e l’altro sul set (lasciatemi l’icona aperta, più avanti ci torniamo) a gennaio del 2001, per poi passare alla complicata post produzione durata fino ad un mese prima dell’uscita nelle sale del film, fissata per dicembre del 2002.

Io a dicembre del 2002, che varco le porte del cinema dopo un anno di attesa.

“Le due torri” è riuscito a passare indenne attraverso una petizione in rete (rivelatasi poi una burla) che invocava di cambiarne il titolo per rispetto delle vittime degli attentati dell’11 settembre, che vi fa capire quanto nel 2002 Internet era più giovane, visto che oggi una trovata del genere avrebbe ben più rilievo, per fortuna o purtroppo lo lascio al vostro giudizio.

Il piano della New Line Cinema era di aprire il film con un prologo riassuntivo degli eventi, suggerimento fortunatamente ignorato da Pietro Di Giacomo che ha pensato bene di iniziare subito a tavoletta, libero dal peso di dover introdurre personaggi, nomi, parentele, luoghi, nomi di città e marchi di sigarette, “The Lord of the Rings – The Two Towers” è il film in cui Jackson ci dà dentro con la narrazione, prendendosi diverse licenze rispetto al libro originale di Tolkien ma rispettandone il contenuto, il regista neozelandese prima ci riporta nel mezzo dello scontro tra Gandalf (Sir Ian McKellen) e il Balrog per poi far procedere la storia su tre fronti paralleli, da una parte infatti abbiamo Aragorn (Viggo Mortensen), Legolas (Orlando Bloom) e l’affanato Gimli (John Rhys-Davies, che ci ricorda che i nani sono scattisti nani, temibili sulle brevi distanze e sprecati per la corsa campestre) ancora sulle tracce di Pipino (Billy Boyd) e Merry (Dominic Monaghan) e visto che vi ero debitore di un’icona lasciata aperta chiudiamola subito, sapete già a cosa mi riferisco visto che molti di voi sono certo, ogni volta che finiscono per rivedere “Le due torri” indicando lo schermo sul calcio di Granpasso dato all’elmo di uno degli Uruk-hai, solo per dire: «Qui è dove Mortensen si è rotto l’alluce!», infatti la reazione di disperazione del futuro Re che vediamo è finita nel montaggio finale, Jackson ha amato la disperazione dell’attore, distrutto per Pipino, Merry e Alluce, i tre Hobbit (storia vera).

Da Granpasso a Grancalcio il passo è breve (ma l’alluce è rotto)

Visto che siamo in argomento, l’altro grosso infortunio riportato sul set ha visto protagonista Orlando Bloom, caduto malamente e operato in tutta fretta alla schiena (sfoggia ancora oggi una notevole cicatrice), l’attore è stato sostituito dalla sua controfigura imparruccata, con i lineamenti “corretti” in post produzione, nessuno si è mai accorto di nulla perché comunque parliamo di Orlando “Palo” Bloom, mica di Marlon Brando eh?

Invece Peter Jackson la sua comparsata l’ha fatta con tanto di cotta di maglia.

L’altra linea narrativa aperta vede protagonista l’alleanza tra le due torri del titolo, quella del Monte Fato dell’oscuro signore Sauron e quella di Isengard, dove Saruman (Christopher Lee) ormai votato al male, ma filare la sua orrida catena di montaggio mettendo a dura prova le teorie del Taylorismo, per sfornare Uruk-hai come se non ci fosse un domani, tanto che Jackson mise fondo a tutte le possibili compare alte più di un metro e ottanta (6 piedi) in circolazione, quindi pur di avere altri soldati per le forze del male, Jackson aprì anche a comparse più basse (attorno ai 5 piedi), scherzosamente ribattezzate sul set Uruk-low. Sembra una delle mie solite freddure, invece è una storia vera, trovate tutto nei contenuti speciali delle varie edizioni del film, copiose versioni del film aggiungerei, perché il montaggio uscito al cinema nel dicembre del 2002 durava 179 minuti, la versione estesa in DVD (con molti più dettagli suoi regali ricevuti da Galadriel e più spazio per Faramir) dura 226 minuti mentre in versione Blu-ray lievita fino a 235. No, la sintesi non è mai stato uno dei pregi di Jackson, specialmente da questo film in poi, il resto della sua filmografia sta lì a dimostrarlo.

«Cassidy sta ancora blaterando?», «Scherza padron Frodo? Ha una trilogia intera per farlo»

L’ultimo fronte (narrativo) da portare avanti in parallelo per “Le due torri” vede protagonisti ovviamente il portatore dell’Anello Frodo (Elijah Wood, con i suoi occhi sempre più “Eyes wide shut” permettetemi la citazione ardita) la sua guardia del corpo il suo giardiniere Sam (Sean Astin) e il personaggio che ha cambiato per sempre i destini della Terra di Mezzo Hollywood, Gollum, che per precisa volontà di Peter Jackson è stato interpretato dal futuro Re della recitazione con i sensori MOCAP incollati addosso, ovvero Andy Serkis, che sul set recitava accanto al resto degli attori, ma poi in post produzione, grazie agli effetti speciali digitali della Weta si è trasformato nella contorta creatura che ha messo Serkis sulla mappa geografica e per cui il regista ha cominciato una piccola crociata: secondo il regista la nomination all’Oscar per Serkis era sacrosanta, l’Accademy non era ancora pronta a vedere il premio ritirato da un personaggio digitale (ve lo immaginate Gollum con lo smoking? No dai), ma in linea di massima per questa trilogia, la battaglia per il fosso di Helm la statuetta di zio Oscar, era soltanto rimandata.

Quando pensate che la vostra gavetta lavorativa sia uno schifo, ricordatevi di Andy Serkis.

Serkis si è fatto un discreto mazzo, perché oltre ad ispirarsi (a sua detta) ad una persona in astinenza da eroina per il ruolo, ha dovuto affrontare l’inverno Neozelandese in braghe di tela e sensori Mocap, tanto che per girare le scene in mezzo al fiume, Jackson fece spazzare via la neve accumulata quel tanto che bastava per l’inquadratura, il resto venne fatta sparire dai maghi della Weta in post produzione, ma per il freddo invece non si poteva fare un bel niente, quindi tutto possiamo dire ma non che Serkis non fosse estremamente motivato (o calato nel ruolo). Di sicuro fece Gollum fece un certo effetto ai due bambini seduti accanto a me in sala nel dicembre del 2002 (che oggi ormai andranno a militare), che all’entrata in scena del personaggio chiesero aiuto morale al sottoscritto, afflitti dal più classico caso si “fifa blu”, storia vera e se ve lo state chiedendo no, non faccio da bambinaia, al massimo potrei piazzare i vostri pargoli davanti ad un film, ma conoscete i miei gusti e sapete i rischi che correte.

«Cassidy e i bambini, tenero come un Troll di caverna affamato»

Ho sempre trovato “Le due torri” un film estremamente teatrale, questo è il capitolo dove molti dei personaggi utilizzano le frasi più epiche ed evocative pescate dal libro di Tolkien («Una stia dove irretire qualcosa di selvaggio»), per certi versi anche il capitolo dove Pietro Di Giacomo ha potuto utilizzare tutti i trucchi della sua valigia da mago accumulati in anni di esperienza dietro alla macchina da presa. In questo film ci sono battaglie (una in particolare), che hanno segnato per sempre l’immaginario Hollywoodiano, ci sono momenti quasi Horror (le paludi morte. Gli orchi non la conoscono, loro fanno il giro per miglia e mig… Basta la smetto!), se il primo capitolo aveva obblighi introduttivi da svolgere e l’ultimo resta quello con più affari di cuore e lacrime da far versare, “Le due torri” è la prova del genuino talento di un Jackson che in forma artistica (zero battute sul suo giropanza, giuro!) non è mai più stato e che senza ombra di dubbio si merita di stare tra i Classidy!

Voi state lì comodi a leggermi, ma io ho lo stesso problema avuto con il post su La compagnia dell’Anello, come si può scrivere di un film di tale portata una ventina d’anni dopo la sua uscita? Parliamo di un titolo amatissimo che tanti conoscono a memoria, da parte mia quello che ho sempre amato di questo film è TUTTO il suo essere totalmente costruito sui dualismi, già presenti nel romanzo di Tolkien ovviamente, ma brillantemente sottolineati da Jackson. Quello che succede tra le due torri, sono tanti piccoli drammi personali, che formano l’arazzo generale, appunto come scrivevo lassù: il secondo capitolo di una trilogia è sempre il più drammatico e “Le due torri” lo è davvero.

Senza che lo spettatore si perda mai, nemmeno per un minuto, abbiamo sempre chiaro in che punto della Terra di Mezzo si trovino i personaggi, come ogni secondo capitolo poi, il film deve seguire la regola aurea dei seguiti: uguale al primo ma di più! Quindi la posta in gioco aumenta con l’entrata in scena di nuovi personaggi, non tutti carismatici allo stesso modo, ma comunque abbastanza motivati, si sto parlando di te Miranda Otto! Che nei panni di Éowyn ci crede talmente tanto da essersi convinta lei stessa di essere una grande attrice.

Quando pensi di essere una grande attrice invece sei Miranda Otto.

Ma doveva esserci qualcosa nell’aria nella Nuova Zelanda perché persino il bistrattato ed eternamente sfortunato Karl Urban, qui sprizza carisma sotto l’elmo di Éomer, un ruolo che lo ha messo sulla mappa geografica, perché gli attori benedetti da questa trilogia sono stati tanti, quindi perché non anche il buon Carlo Urbano?

Elmo in testa, prove tecniche da Judge Dredd.

Anche se devo essere onesto, i due nuovi arrivati che qui sanno davvero mangiarsi le scene in cui compaiono sono essenzialmente due, Bernard Hill nel ruolo di Théoden trova il modo di rendere interessante tutto il popolo di Rohan, passando dall’essere una mummia incartapecorita, a regalarci un momento drammatico davvero intenso («Nessun genitore dovrebbe sopravvivere ai propri figli»), per poi diventare il miglior interpreta dell’epica e dell’orgoglio degli uomini dei cavalli. Ci vuole davvero qualcuno talentuoso e calato nel ruolo per non far sembrare (troppo) ridicole frasi come «Nessuno ha mai messo piede nel Trombatorrione», anche se il momento migliore di Re Théoden resta il tormentone che ci ha regalato, la sua ringhiante «Dov’era Gondor quando cadde l’Ovestfalda!?», una di quelle frasi uscite da questa trilogia per diventare patrimonio popolare, funziona benissimo ed è sempre applicabile, qualche esempio? Dov’era Gondor quando licenziarono Guillermo del Toro dalla regia di Lo Hobbit?! Dov’era Gondor quando affidarono Star Wars a GIEI GIEI? L’unico limite di questa citazione è il cielo!

«Dov’era Gondor quando hanno lasciato Cassidy libero di sproloquiare su questa trilogia!?»

L’altro grande personaggio in grado di fare il vuoto resta il Grima Vermilinguo di Brad Dourif, uno specialista in tipi loschi che tenendo a mente i tanti dualismi che riempiono questo film, è un personaggio in grado di spargere zizzania proprio come Gollum fa tra Frodo e Sam. Farina del sacco di Dourif è la lacrima che si spreme Vermilinguo quando vede il colossale esercito di Saruman in formazione («Alla guerra!» il solito pacifista…), mentre invece la scena in cui lo stregone di Christopher Lee ferma la mano con la candela di Grima, non è altro che l’omaggio di Peter Jackson a quello che per anni, ho creduto fosse il suo fratello americano separato alla nascita, infatti succedeva lo stesso tra il mago e Ash con la polvere esplosiva in L’armata delle tenebre. Perché – e finalmente posso scriverlo nero su bianco – “Le due torri” questo è, “Army of Darkness” rifatto con tutti i soldi di cui Sam Raimi non ha mai potuto disporre, anche per questo ho sempre pensato che ci fosse un altro fratello Raimi laggiù in Nuova Zelanda. Ma visto che ormai siamo in argomento, parliamone!

La prova che Peter Jackson è il fratello Raimi emigrato (Sam Uber alles!)

La battaglia del fosso di Helm, un assedio come tutti i grandi film meriterebbero di avere, uno di quelli che recupera quell’aria da Colossal che Hollywood aveva da tempo perduto e per certi versi, aveva bisogno di un Hobbit dalla Nuova Zelanda per recuperare, uno come Peter Jackson. Ovviamente cosa ha capito la Mecca del cinema americano di questo film? Poco, più che altro che al pubblico piacciono le grandi battaglie quindi dal 2002, se nel tuo filmone non avevi una BATTAGLIONE eri un paperino (o paperone?), ma questo forse non lo aveva capito nemmeno Peter Jackson. Credo che quando Guillermo del Toro sia saltato già dal carrozzone di “Lo Hobbit”, il regista abbia radunato un gruppo di spettatori chiedendo loro: «Cosa vi è piaciuto di “Il signore degli Anelli” davvero tanto?», «Le battaglie! Legolas che usa uno scudo come skate Board! Ma soprattutto le battaglie!», infatti ha preso la favola di Bilbo Baggins per trasformarla in una caciara di botti che sfrecciano sull’acqua e infiniti combattimenti, ma questa è un’altra storia.

«Sono fesserie come questa che poi fanno finire la situazione in vacca, amico!» (cit.)

La battaglia del fosso di Helm funziona perché ci stanno a cuore i destini dei personaggi, perché malgrado le centinaia di comparse (tante moltiplicate grazie alla CGI), capiamo sempre la dinamica e tutto risulta estremamente chiaro anche in piena notte e con una pioggia degna di “Frankenstein Junior”, che rende tutto più drammatico («E così ha inizio»).

Bariste e Baristi, davanti all’ennesimo infinito post di Cassidy su Peter Jackson.

Ma il vero filo rosso che tiene insieme e fa filare alla grande “Le due torri” è quel costante dualismo suggerito fin dal titolo, Gandalf il Grigio che muore e ritorna come Gandalf il Bianco («All’alba del terzo giorno guarda ad est»), la mente scissa e divisa in personalità multiple di Gollum e Sméagol, in quel campo e controcampo che mi fa sempre pensare al monologo allo specchio di Norman Osborn, in un film guarda caso, di Sam Raimi (perché due indizi fanno una prova).

Molte persone che conoscono dopo il primo “lockdown” erano messe uguali (storia vera)

Ma ci sono anche dualismi più suggeriti, la bellissima Arwen (Liv Tyler) che dice al padre Bruce Willis Elrond (Hugo Weaving) che c’è sempre speranza, la stessa frase che a distanza, dirà poco dopo il suo amato Aragon, impegnato in prove tecniche da futuro Re degli uomini.

Non manca nemmeno tutto un discorso su figli e genitori, il già citato Théoden, oppure il povero Faramir (ruolo per cui fece il provino Orlando Bloom ma poi venne affidato a David Wenham, storia vera), uno che al pari del fratello Boromir, nella versione estesa del film si guadagna scene utili per approfondire un personaggio molto sfaccettato, uno che incarna la prova vivente che tentare di farsi considerare da un genitore che ti ignora, potrebbe essere letale. Ma i dualismi sono ovunque in questo film, basta dire che John Rhys-Davies oltre ad interpretare Gimli, doppia in originale anche Barbalbero, per altro senza nemmeno troppi trucchi, semplicemente Rhys-Davies ha recitato i suoi dialoghi con il tono di voce più baritonale che riusciva a cacciare fuori, parlando dentro un megafono, uno fatto di legno, giusto per restare nel personaggio (storia vera).

Voi lo vedete così, un po’ legnoso, ma quando invoca l’ultima marcia degli Ent, io ogni volta mi esalto (storia vera)

“Le due torri” ha cambiato per sempre il modo Hollywoodiano di intendere i grandi film dal 2002 ad oggi, non solo grazie al personaggio di Gollum – il cui aspetto nel film deve molto, moltissimo a quello della versione del 1978, perché Pietro Di Giacomo astuto, ha saccheggiato a mani basse il lavoro fatto da Ralph Bakshi, vedere per credere – che ha dato dignità ai personaggi creati in computer grafica dopo, vabbè, Jar Jar Binks. Ma questo film è anche quello che ha reso popolari le grandi battaglia al cinema contribuendo a rendere sempre più una normalità i film divisi in capitoli, una prerogativa che fino a quel momento, era stata tutta appannaggio di L’impero colpisce ancora.

GUERRA e sei il protagonista! (cit.)

Per certi versi, dopo l’epica classica di Tolkien, era quasi automatico che il cinema americano avrebbe finito per abbracciare quella più leggera e moderna dei super eroi, per qualcuno potrebbe essere considerato un male (lo comprendo) ma Jackson qui aveva davvero lanciato il cuore oltre l’ostacolo e ci credeva, ci credeva così tanto da convincere praticamente chiunque attorno a lui, pubblico compreso.

Non è un caso se “Le due torri” termina con un monologo sognante del personaggio che oltre ad essere il mio preferito, è anche un po’ il cuore (puro) di tutta la trilogia, quelle grandi storie a cui Samvise Gamgee fa riferimento, a distanza di anni e per una fetta enorme di pubblico, dal 2002 in poi non possono che considerare tra le loro fila anche questo gran film di Peter Jackson.

“Le due torri” ha un piede nel passato (i modellini del fosso di Helm alti 80 cm e realizzati con cura artigianale) e un altro nel futuro (la CGI), ci riporta alla tradizione rappresentata da Tolkien e dai colossal con grandi battaglie, ma è anche il film che ha fatto fare un balzo nel futuro, in quello che oggi noi consideriamo il nostro presente cinematografico, niente male per essere un seguito incastrato a panino tra due altri notevoli capitoli. La continuità è garantita proprio da Sam Gamgee, che come Jackson è il custode di quelle storie, volete la prova? Quando Frodo lo battezza “Samvise l’impavido”, Sean Astin caccia fuori quello stesso sguardo sognante che un tempo teneva da parte per i suoi dialoghi personali con Willy l’orbo. Più le cose cambiano più restano le stesse (Cit.)

«Sto arrivando Willy», «Con chi parli Sam?», «Ehm nessuno padron Frodo!»

Noi invece non abbiamo ancora finito, ci mancano gli ultimi metri di arrampicata verso la vetta del Monte Fato. Per quelli ci rivediamo sempre qui tra sette giorni, sappiate che non vi è concessa l’autorità per mancare o per negare il ritorno del Re. Cassidy cavalca la sua Bara come Ombromanto verso la rovina e la fine del mondo…

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