I compleanni dei film sono un’ottima occasione per portare grandi titoli su questa Bara. Ogni anno ho l’abitudine di stilare una lista di titoli che compiono venti, trenta, quaranta o anche più anni, con l’arrivo del 2021 la scelta è stata molto facile, il primo titolo finito sulla lista è stato “Il silenzio degli innocenti”. Scritto tre volte. Sottolineato (storia vera).
Se avete avuto la sfortuna di parlare di cinema con me dal vivo di certo l’avrete notato, per tutti gli altri vi metto in guardia: lasciato libero di spaziare, sappiate che tempo dieci minuti in qualunque modo, anche con collegamenti improbabili, troverò il modo di infilare nel discorso un film a caso di John Carpenter oppure “Il silenzio degli innocenti”. Ne ho quasi fatto una malattia del film di Jonathan Demme, visto innumerevoli volte lo considero ancora una pietra miliare e un film fondamentale della mia – parolone – formazione, insomma questo film finisce nella lista dei Classidy. Tre volte. Sottolineato.
Come sanno anche i muri delle celle con vetro in plexiglas, “Il silenzio degli innocenti” è tratto dal romanzo di uno dei miei scrittori preferiti, il riservatissimo giornalista e romanziere Thomas Harris, che quasi da solo ha sdoganato la figura dell’assassino seriale nell’immaginario collettivo, dico quasi, perché l’adattamento cinematografico in tal senso, ha contribuito enormemente ad influenzare la cultura popolare. L’altra curiosità che conoscono anche le sedie messa davanti alle celle con vetro in plexiglas, invece sta nel suo titolo, gli “innocenti” compaiono solo nell’edizione Italiana, un modo piuttosto brillante di girare intorno ad un vincolo, secondo le leggende urbane imposto per non urtare la sensibilità di una celebre famiglia piuttosto influente in uno strambo Paese a forma di scarpa, che ha fondato il suo impero costruendo automobili. Non so quanto di tutto questo sia vero, anche se essendo di Torino credetemi è molto probabile, inoltre vorrei ricordare il cambio di titolo di un gran brutto film, tratto da un bel fumetto come The League of Extraordinary Gentlemen, diventato “La leggenda degli uomini straordinari” per non urtare un certo partito politico verdastro. Insomma le dinamiche di uno strambo Paese a forma di scarpa le conosciamo tutti, se invece siete curiosi di conoscere qualcosa sull’adattamento Italiano dei dialoghi del film, vi rimando alle pagine di Doppiaggi Italioti… Vola, vola, vola, vola (cit.)
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«Coraggiosa Clarice, me lo farai sapere quando avrai letto il post di Doppiaggi Italioti, vero?» |
I diritti del romanzo di Harris facevano gola a molti, tra i più interessati anche l’attore Gene Hackman, che il film avrebbe voluto dirigerlo, oltre che interpretarlo nei panni di uno tra Lecter o Crawford, pare che Eugenio rinunciò dopo Mississippi Burning, perché non se la sentiva di calarsi subito in un altro film tanto cupo e violento, dopo quello di Alan Parker (storia vera).
Anche Jodie Foster era interessata a mettere le mani sui diritti di sfruttamento del libro, ma per lei il percorso per arrivare a colloquio con il dottor Lecter è stato più tortuoso, si perché il titolare dei diritti su qualsiasi lavoro tratto dalle pagine di Thomas Harris era il nostro Dino De Laurentiis, che svendette tutto alla Orion Pictures deluso dall’immeritato flop al botteghino di quella bomba di Manhunter, ma pronto a tornare tra i produttori dopo il successo, per i vari seguiti, su cui preferirei non dire nulla (su uno in particolare) anche se so già che me lo chiederete, ci vediamo nei commenti per questo.
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«Apri grande a papà, apri grande… Arriva l’aeroplanino con la pappa!» |
Con i diritti in mano e Ted Tally a fare un lavoro estremamente competente di adattamento per la sceneggiatura, serviva solo un regista, per un brevissimo periodo uno dei miei film preferiti di sempre ha rischiato di finire nelle mani di uno dei miei prediletti ovvero Paul Verhoeven, che dovette rinunciare per via di precedenti impegni lasciando così campo libero a Jonathan Demme (storia vera). Non so come sarebbe stato il “The Silence of the Lambs” di Polvéron, ma Clarice Starling sarebbe stata sicuramente bionda e avrebbe distratto Lecter accavallando le gambe… Chiedo scusa, battutaccia irresistibile.
Anche se, mio cattivo gusto a parte, per un po’ Clarice Starling ha rischiato di essere davvero una bionda, Jonathan Demme per il ruolo avrebbe voluto Michelle Pfeiffer che impegnatissima rifiutò, ed è qui che il tortuoso percorso fatto da Jodie Foster si ricongiunse con la storia (del cinema). Anche se molto meno rossa di capelli della sua controparte cartacea, Jodie Foster colpì il regista per la determinazione con cui affrontò il provino, sbaragliando la concorrenza. Per il ruolo di Hannibal Lecter invece, Demme ha dovuto sudare sette camicie (di forza).
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All eyez on me her (Jodie “Tupac” Foster e il resto della sua crew) |
Robert De Niro, Sean Connery, Derek Jacobi e per un attimo anche un altro dei miei prediletti, ovvero John Lithgow, sono stati vicini al ruolo, ma fu Sir Anthony Hopkins a guadagnarsi il ruolo per cui verrà eternamente ricordato nella storia del cinema. Demme lo scelse perché aveva apprezzato il suo (buon) dottore di “The Elephant Man” (1980) e a proposito di animali non proprio rassicuranti, pare che quando si vide recapitare a casa il copione, Hopkins pensò che questo “Il silenzio degli agnelli” fosse un racconto per bambini (storia vera).
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«Come fa il coniglio bambini?» |
“Il silenzio degli innocenti” di Thomas Harris è una storia tanto valida, che sicuramente nelle mani giuste sarebbe stato in ogni caso un buon film, ma è stata la sacra trilogia composta da Demme, Foster e Hopkins a trasformarlo in una pietra miliare. Questo film è stato il secondo grande film nel giro di pochissimi anni, a portare il genere horror (seppur sotto il nome di copertura di “thriller”) alla notte degli Oscar. Misery non deve morire detiene questo primato, ma grazie alla scelta oculata da parte della Orion di spostare la data di uscita (per non ritrovarsi a sfidare il colosso Balla coi Lupi), il capolavoro di Demme è riuscito a diventare uno dei tre film a portarti a casa tutti i cinque premi Oscar principali (miglior film, miglior regista, miglior attore, miglior attrice, migliore sceneggiatura non originale), entrando a far parte di un ristrettissimo club composto da “Accadde una notte” (1934) e Qualcuno volò sul nido del cuculo, il tutto senza tradire mai la sua natura di film dell’orrore, perché di questo si tratta, inutile girarci attorno.
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Non credo troppo ai premi cinematografici, ma a questi tre avrei dato anche un Nobel (così, per non sbagliare) |
Fino al 1991, i grandi serial killer cinematografici erano bassi, tozzi e sudaticci come Peter Lorre in M – Il mostro di Düsseldorf o al massimo ragazzi della porta accanto di bell’aspetto come Anthony Perkins, ma rovinati nella mente da una madre oppressivo, come accadeva in Psycho. Il dottor Hannibal Lecter invece è un cattivo di un’altra stirpe, uno che vive serenamente la sua condizione di malvagio e porta avanti una dieta a base di fegato umano, fave e Chianti perfettamente bilanciata. Un cattivo quasi affascinante, con una sua etica e per certi versi anche una sua (distorta) morale, amante della musica, del vino, dell’arte e non insensibile alla bellezza, nemmeno quella femminile. D’altra parte il diavolo era l’angelo più bello del paradiso e non è un caso se anche nelle altre incarnazioni del personaggio, il fascino sia sempre stata una caratteristica di Annibale il cannibale, a mani basse uno dei cattivi più incredibili di tutta la settima arte.
Jonathan Demme ha saputo rendere “Il silenzio degli innocenti” un film sensoriale, come nel classico L’occhio che uccide di Michael Powell, l’importanza dello sguardo è fondamentale nella storia e nella narrazione. Demme dà un senso di circolarità ad un film che inizia con l’entrata in scena in salita della protagonista Clarice Starling, impegnata ad allenarsi fuori dai boschi di Quantico, e come dico sempre i primi cinque minuti di un film ne determinano tutto l’andamento, quelli di “The silence of the lambs” sono da manuale.
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Diamoci da fare, questo post sarà tutto in salita… |
Clarice, promettente recluta con qualche problema con le irruzioni armate (come Jamie Lee Curtis in Blue Steel) viene chiamata nell’ufficio del dirigente dell’FBI Jack Crawford (Scott Glenn), Jonathan Demme la segue con la sua macchina da presa, senza sprecare parole già ci racconta qualcosa del personaggio. Con una scelta visiva efficacissima, vediamo la piccola Jodie Foster (non propriamente Kareem Abdul-Jabbar per altezza) entrare in ascensore con agenti maschi del Bureau, tutti con la stessa felpa rossa, pronti a squadrala dall’alto verso il basso.
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«Lo sapevo che avrei fatto meglio ad usare le scale, gli ascensori in questo film sono scalognati» |
Sarà la condizione in cui, per un motivo o per l’altro, Clarice Starling passerà tutto il film, esaminata da uomini per il suo aspetto, donna tosta in un mondo dominato da esempi maschili non proprio invidiabili. Questa inquadratura dall’alto verso il basso tornerà anche quando Clarice verrà lasciata sola da Crawford con gli sceriffi, al ritrovamento del cadavere di una delle vittime di Buffalo Bill.
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«Ok ragà ora state esagerando, così si capisce che non vedete una donna dal 1987» |
Ad inizio film invece è da sola nell’ufficio di Crawford, dove sulle pareti si ritroverà a leggere i ritagli di giornale appesi: «Bill scuoia la quinta». No Clarice, non sei più nel Kansas, stai per scendere nella tana del bianconiglio (cannibale).
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«Avrei preferito la Regina di cuori, lei si limitava a decapitarli» |
Quando le parlano dell’uomo con cui dovrò trattare per ottenere informazioni necessarie alla cattura di Buffalo Bill, Clarice chiede «Che cos’è?», Jonathan Demme stacca e la risposta («É un mostro») la sentiamo dalla voce del viscido Frederick Chilton (Anthony Heald), un altro che prima fa il cascamorto con la nostra protagonista, poi cerca di spaventarla, con la foto – che noi spettatori non vediamo, ma ci viene raccontata – dell’infermiera a cui Lecter ha divorato volto e lingua senza che il suo polso superasse mai gli 85 battiti, perché è sempre lo sguardo, concesso o negato a generare la paura in “Il silenzio degli innocenti”.
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«Esci ‘na foto d’mostro, cacciala!» (cit.) |
Jonathan Demme, cresciuto alla scuola di Roger Corman (che qui compare in un breve cameo nei panni di uno dei dirigenti dell’FBI, storia vera) il cinema di genere lo conosce bene, “Il silenzio degli innocenti” sarà anche andato in onda la prima volta in chiaro sui nostri canali, in prima serata sul rassicurante Canale 5 spacciato per un thriller, ma è un horror a tutti gli effetti, in cui un protagonista tosta, una di quelle di cui il cinema contemporaneo è bramoso ma apparentemente incapace di crearne senza inciampare negli stereotipi, deve utilizzare la sua determinazione, la sua forza e tutto il suo coraggio per scendere, a volte anche fisicamente, nell’inconscio di mostri dalla forma maschile.
Per raggiungere la cella di Lecter, Clarice deve camminare davanti ad una parata di mostri in gabbia, con tanto di disgustose attività onanistiche (scena che Demme a mio modesto avviso ha ripreso da From Beyond di Stuart Gordon, proprio perché il cinema di genere Demme lo conosceva bene) che di fatto rendono la camminata una discesa all’inferno, con l’obbiettivo di incontrare il diavolo in persona, raffinato nei modi quando vuole, ed interpretato da Sir Anthony Hopkins senza mai battere le ciglia, per rendere ancora più alieno e sinistro il suo magnetico sguardo.
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Il diavolo, tenuto in una teca di vetro. |
Il suo Hannibal Lecter sa essere osceno, ma sempre per provocare una reazione, ha la freddezza di un entomologo che guarda gli umani come se fossero insetti posizionati su un vetrino da microscopio, per questo Jonathan Demme sceglie di inquadrarlo molto spesso in primo, se non in primissimo piano, come se lo sguardo di Hopkins stesse scavando dentro agli spettatori, proprio come fa con la povera Clarice, che all’inizio non è mai perfettamente centrata rispetto alle inquadrature e ai primi piani inflessibili di Demme, ma nel corso della storia lo diventerà sempre di più, fateci caso, più il suo livello di coinvolgimento con l’indagine (e con Lecter) aumenta, più Jodie Foster viene inquadrata sempre più da vicino in primissimo piano, e lo sarà fino alla fine del film, anche quando cieca nel buio, affronterà Buffalo Bill armato di visore notturno, in grado di muoversi agilmente nello scantinato di casa, oscuro e mostruoso quanto la mente dell’assassino.
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«… Azzo guardi?» |
Si potrebbe analizzare ogni sequenza di questo straordinario film, sottolineando il modo in cui tutti gli uomini del film, non facciano altro che fare apprezzamenti su Jodie Foster, che qui recita per la storia del cinema e che personalmente, ho sempre trovato anche molto bella, mi sia concesso un parere extra cinematografico. Un personaggio con un irrisolto paterno che levati, ma levati proprio, che nella mani di un manipolatore come Lecter potrebbe finire spezzata, invece tira fuori una spina dorsale di titanio, diventando il personaggio a cui anche noi spettatori finiamo per aggrapparci in questa discesa all’inferno.
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«Un posto davvero brutto questa Bara Volante, non è vero Precious tu che dici?» |
La lunga tirata sulla “campagnola ripulita” che sogna di arrivare all’EFF BIII AIIII (posso recitarvelo quasi tutto questo film, non sfidatemi, faccio paura quasi quanto Lecter dietro ad un vetro) è stata improvvisata da Hopkins leggerissimamente calato nel personaggio, molti suoi suggerimenti hanno reso Lecter uno dei cattivi più memorabili della storia del cinema, ad esempio la scelta di vestire completamente di bianco, per far risaltare maggiormente il sangue e perché beh, Hopkins ha il terrore del dentista con il suo camice dello stesso colore (storia vera). Anche se dubito che mai qualcuno avrà più avuto il coraggio di visitargli i denti dopo questo film.
Le piccole modifiche rispetto al libro sono del tutto funzionali alla trama, anche i giochi di parole sono stati modificati in maniera efficace nella sceneggiatura, il solfito di ferro sostituisce il “Billy Rubina” del romanzo, ma la cura dei dettagli del film è incredibile e tutta orientata nel provocare un senso di malessere nello spettatore, ok qui Lecter non ha sei dita per mano, ma il resto funziona alla grande, come il lepidottero testa di morto, un elemento da film dell’orrore, che sulla locandina del film è rappresentato con i corpi di sette donne (strizzando l’occhio alle vittime di Buffalo Bill), ispirate ad un’opera di Salvador Dalì.
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Dalí. Ma dove? Dalí ti ho detto, ma sei cieco? |
Si perché la parola che mi viene in mente più spesso guardando e riguardando “Il silenzio degli innocenti” è proprio malsano, lo dico spesso che un horror più che fare paura (sentimento da sempre soggettivo) deve essere malsano, lasciandoti addosso quella voglia di correre a farti una doccia per toglierti quella sensazione di sporco da dosso. “Il silenzio degli Innocenti” è tutto così, malsano nel fh-fh-fh improvvisato da Hopkins dopo la sua celebre frase sul fegato con fave e Chianti. Malsano negli intenti del personaggio interpretato magnificamente da Ted Levine, che nessuno ha mai accusato di transfobia perché semplicemente fa troppa paura, ed è un maniaco senza possibilità di recupero, persino le parodie non hanno fatto che rafforzare la potenza del suo personaggio, il suo balletto è stato replicato in Clerks 2 (2006) in modo esilarante, ma questo non cambia il fatto che ogni volta che ascolto “Goodbye Horses”, mi sento come se fossi sull’ascensore per l’inferno (in discesa).
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Ci tengo a dire che buona parte di questo post è stato scritto con questa canzone in cuffia (ma non i pantaloni addosso, storia vera) |
A proposito di ascensori poi, “Il silenzio degli innocenti” eccelle anche in questa categoria statistica, il cinema ha contribuito spesso a rendere l’ascensore un posto poco confortevole, grazie a molte scene memorabili, ma questo film girato tutto in spazi angusti (anche della mente umana), non poteva non utilizzare un ascensore per una delle sue scene madri, perché di questo si tratta, la fuga di Lecter è una sequenza tiratissima, girata e montata da Demme come si fa in paradiso. Se riuscite a non farvi distrarre dalla tensione, sappiate che uno degli agenti della S.W.A.T. è interpretato dal cantante Chris Isaak, perché Demme, grande appassionato di musica, non ha mai rinunciato ad essa in nessuno dei suoi film.
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«Chiunque esca da quell’ascensore, tu cantagli una canzone. Senza pietà» |
Per qualunque altro film, quella sarebbe il climax, il gran finale, “Il silenzio degli innocenti” invece è talmente grande, da potersi permettere una scena ancora più ansiogena dopo quella fuga, un’evasione che sottolinea la natura di mostro da film Horror di Hannibal Lecter, non mi riferisco tanto al trucco in stile Facciadicuoio oppure a Charles Napier sbudellato (forse al grido di «Voi non siete i good old boys!»), ma quanto ai piccoli tocchi di cinismo.
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«Ma tu non sei uno dei Good Old Boys!?» |
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«Come? Non ti sembro un bravo ragazzo?» |
Dopo l’incredibile duello verbale, quasi l’apice della lunga seduta di psicoterapia tra Hannibal e Clarice, quella dove ci viene spiegato il motivo del titolo e l’origine delle motivazioni della volenterosa agente dell’FBI, sul tavolo vicino ai disegni di Lecter si intravede una rivista intitolata, in un trionfo di umorismo nero, “Bon Appétit”.
Ma se aguzzate la vista, uno degli agenti che trascina via Clarire da quell’unico contatto (uno sfiorarsi di dita) con il mostro dietro le sbarre, è un vero esperto di divoratori di uomini come George “Amore” Romero.
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Questo film aveva bisogno di un po’ di (George) amore. |
Ogni elemento di questo horror sotto mentite spoglie è curatissimo e diventato iconico nei trent’anni dalla sua uscita, anche le musiche perfette di Howard Shore o la fotografia rugginosa di Tak Fujimoto ci trascinano con Clarisse giù nella tana del bianconiglio che ha il volto spaventoso di Sir Anthony Hopkins.
Come avrete intuito, il film mi piaciucchia abbastanza e potrei raccontarvelo scena per scena, l’irruzione nella casa di Buffalo Bill è una lezione di montaggio utilizzato per tenere alta la tensione da parte di Demme, quando come spettatori arriviamo alla stessa conclusione di Jack Crawford, ovvero che la protagonista è da sola nella casa nel mostro, tutto il peso del gran finale finisce sulle spalle di Jodie Foster, che risponde magnificamente. Mi fa impazzire il modo in cui ogni volta Clarice Starling pistola alla mano, urla: «Catherine Martin… FBI, lei è salva», anche quando non è (ancora) vero, una recluta che applica la procedura appena imparata dal manuale parola per parola, perché deve farlo, perché deve rassicurare l’ostaggio terrorizzato, quando è lei la prima ad essere terrorizzata, ma malgrado tutto affronta il mostro usando tutto quello che ha imparato nel corso della storia, oltre ad una buona dose di coraggio. Non li fanno più i personaggi così!
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La sacra trilogia: Ellen Ripley, Sarah Connor, Clarice Starling. |
Come dicevo lassù il film di Jonathan Demme iniziato con una salita, termina con una discesa, quella di Lecter, un male evocato per fermarne un altro ora libero di aggirarsi per il mondo, la cura che risulta peggiore della malattia. Se guardate bene nell’ultima discesa verso l’orizzonte di Lecter – il personaggio che resta sullo schermo meno di venticinque minuti ma ha saputo fare la storia del cinema lo stesso – potrete notare un uomo con cappello blu interpretato dallo stesso Demme in un cameo Hitchockiano (Storia vera).
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La discesa finale, vedo lo striscione del traguardo di questo post. |
“Il silenzio degli innocenti” da trent’anni è un capolavoro perché ha saputo creare uno dei migliori personaggi femminili mai visti al cinema, raccontato in maniera diretta, il più delle volte utilizzando le immagini, ma allo stesso tempo ha creato in media res uno dei più grandi malvagi della settima arte, uno di quelli che non ha bisogno di una vera origine per perseguitare gli incubi degli spettatori. Nello stesso film Clarice e Hannibal sono lo Yin e Yang, Eros e Thanatos, perché noi cerchiamo con lo sguardo quello che desideriamo e Jonathan Demme ha ribadito l’importanza dello sguardo e di tutti gli altri sensi in grado di salvarti la vita (come il “click” della pistola che salva Clarice), in un’opera che è una pietra miliare, credo che non mi stancherò mai di vederlo e rivederlo, perché per quanto malsano e contorto, “Il silenzio degli innocenti” resta una grande lezione di cinema, oltre che un compendio sull’orrore della natura umana. Ma ora di vedo lasciare, vorrei che potessimo parlare più a lungo, ma sto per avere un vecchio amico per cena stasera.