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Il tagliaerbe (1992): ti rasero l’aiuola (quando ritorni dalla realtà virtuale)

Il 28 settembre del 1992 usciva in uno strambo Paese a forma
di scarpa un film che credeva fermamente che trent’anni dopo, per collegarci
alla rete avremmo avuto tutti bisogno di guanti e casco, quelli che non sono
quasi obbligatori nemmeno sul monopattino.

Non so voi, ma la pubblicità martellante in televisione
aveva fatto di “Il tagliaerbe” un film importante (immaginatemi mentre lo dico con vice profonda, importaaaaante), sarà stata l’onda lunga
della miniserie su IT, un piccolo evento
televisivo che ha segnato almeno una generazione, ma questo nuovo film tratto
da un racconto di Stephen King sembrava il secondo avvento televisivo,
problema: “Il tagliaerbe” non è affatto tratto da un racconto di zio Stevie.

La New Line Cinema aveva già per le mani una sceneggiatura
antecedente scritta dal regista Brett Leonard e dalla moglie e produttrice
Gimel Everett, intitolata “Cyber God”, ma perché non metterci un po’ di
guacamole sopra, spacciando il film per l’adattamento del racconto “La falciatrice”
(“The Lawnmower Man”)? Pubblicato all’interno della raccolta “A volte
ritornano” (1978) che in comune con questo film ha il fatto che ci sia beh un
prato, una falciatrice, qualcuno che la mette in moto e basta direi, perché chiunque
l’abbia letto sa benissimo che il film di Brett Leonard va in una direzione
tutta sua, cosa che ha pensato anche King e i suoi avvocati, che si sono mossi
in sede legale per fermare questa vera e propria truffa ma posso dirlo? Ha
vinto la New Line Cinema, perché ancora oggi quando si pensa a questo film, Stephen
King è il primo nome che viene in mente, una sorta di effetto Mandela applicato
al giardinaggio.

Vorrei vedervi conciati così, dentro una ruota per criceti, ogni volta che dovete postare un video di gattini sui Social-cosi.

Non lo vedono più o meno da trent’anni questo film, anche se
ricordavo ancora tutte le svolte principali della trama e il finale
“apocalittico”, ma la memoria è l’intelligenza degli stupidi come sosteneva Albert
Einstein, infatti per questo compleanno mi sono attrezzato per benino, mettendo
le mani sulla “Director’s cut” del film, un mostro da 140 minuti (contro i 108
della versione canonica, che vi assicuro bastano e avanzano), sottoponendomi ad
una tortura immotivata da vero sadico, visto che Brett Leonard ha
scientificamente aggiunto a questo sua versione, solo scene allunga brodo di
rara inutilità.

“Il tagliaerbe” fa
parte di quei film usciti nei primi anni ’90 dove il futuro, i computer e la
realtà virtuale erano guardati con parti uguali di sospetto e ammirazione, roba
che a confronto Johnny Mnemonic sarà stato pure naif per tecnologia in gioco e soluzioni, ma resta almeno uno spasso da
vedere, cosa che non si può affatto dire del film di Brett Leonard che però va
detto, a questa cosa della realtà virtuale credeva tantissimo, infatti anni
dopo il regista è tornato sul tema con il ben più riuscito (anche qui, se la
memoria non mi frega) “Virtuality” (1995), magari una di questa volte parleremo
anche di quello.

«Cioè ma lo vedi che Cassidy se le cerca proprio le rogne? Poi ha da ridire del mio orecchino tzè!»

A tenere in linea di galleggiamento “The Lawnmower Man” ci
pensano le facce, una gara di recitazione esagerata ma almeno affidata ad
attori con una loro credibilità, tutta costruita ad Ovest di questo film,
questo va anche detto. La storia è quella del dottor Lawrence Angelo (Pierce
Brosnan con l’orecchino per far vedere che lui è uno scienziato sportivo) che
lavora presso la loschissima Virtual Space Industries, talmente spudorata nei
suoi intenti di conquista globale del mercato, che il megadirettoregalattico
dell’azienda ha il faccione di Dean “L’uomo che ha recitato ovunque” Norris.

«Trovate Walter White», «ehm, si signor megadirettoregalattico»

Il “Progetto 5” a cui lavora il buon dottore prevede di costruire
robot da utilizzare per l’industria bellica fino al giorno in cui uno di loro
colpito da un fulmine non scopre le gioie della vita facendosi chiamare Johnny

utilizzare la realtà virtuale per rendere super cattivi degli Scimpanzè, un
miscuglio di drogucce psicotrope e sessioni di un gioco tipo “Doom”, per
rendere le SIMMIE più vicine agli umani in quanto a bastardaggine, in modo da
poterli usare come soldati senza paura in qualche guerra Yankee in giro per il
pianeta. Insomma gira che ti rigira, sempre di guerra si parla per gli
americani.

Una SIMMIA, però vestita da Robocop. Per me il post potrebbe finire qui, come scimmiologo io sono già soddisfatto.

Lo Scimpanzè più cazzutto incontra Matthew Broderick
e
fugge verso la libertà travestito da Robocop (troppe ore ai videogiochi,
poi si vedono gli effetti) e raggiunge la più vicina e paciosa cittadina di provincia,
dove fa in tempo ad incontrare il più puro dei puri, un omone con il cervello
di un bambino di nome Jobe Smith, Giobbe nelle versione italiana. Non potete
marcarlo perché è fatto a forma di Jeff Fahey però con i capelli da
spaventapasseri e la salopette da Minion, avete presente Simple Jack?
Lui è Simple Giobbe, che scambia lo scimpanzè assassino per il protagonista del
suo fumetto preferito “Cyboman”, giusto per ribadire che gli adulti che leggono
fumetti debbano essere un po’ “simple” a loro volta. Invece ammazzarsi con i
videogiochi ha fatto benissimo alla tua carriera vero Brett Leonard?

«Tu mi mi mi mi mi fai stare bene» (cit.)

La compagnia manda trecento fucilieri armati per ridurre lo
scimmiotto ad un colabrodo, lasciando Simple Giobbe e il Dottor Orecchino
nella disperazione ma con una soluzione ai reciproci problemi, infatti Lawrence
Angelo si trasferirà in provincia per continuare il “Progetto 5” passando alla
sperimentazione umana, il tutto senza dimenticare di fare due cose importantissime,
la prima farsi piantare dalla fidanzata Caroline (Colleen Coffey) ignorata in
favore di quelle robe virtuali da casco in testa e poi come secondo punto,
passare il tempo a petto nudo, roba da gioco alcolico, appena Pierce Brosnan
compare a petto nudo si beve. Chissà che con il sangue allungato dall’alcool il
film non migliori.

«Whoa! Quella è la mia mano. Perché non mi avete mai detto che avevo le dita quadrate?»

La sperimentazione su Simple Giobbe passa attraverso l’amicizia
dell’uomo-bambino con il bambino-bambino Peter (Austin O’Brien, quello di Last action hero) e i buoni consigli del padre putativo Terry (Geoffrey Lewis),
gli unici prima del dottore a trattare come si deve Simple Giobbe, visto che Padre
Francis McKeen (Jeremy Slate) di fatto sembra uno stereotipo anti-clericale
vivente, uno che ammazza le formiche (definendole senza Dio) a colpi di spray e
che il resto del tempo lo passa a prendere a cinghiate Giobbe, perché lui era
il prediletto, come avrebbe detto un altro Giobbe (Covatta).

A colpi di siringate nel collo e sessioni di gioco su
simulatori che fanno sembrare molto più nuova (e innovativa) la grafica di un
film ben più datato come TRON, il nostro Simple Giobbe diventa Figo
Giobbe, si pettina i capelli come uno degli Wham, si mette la camicia dentro i
pantaloni e scopre le gioie della patata, quando la bionda vicina di casa lo
vede falciare il prato, viene colta da una tempesta ormonale e intonando un
pezzo di Gianluca Grignani i due si mettono a ballare il mambo del materasso e
vissero tutti felici e contenti. FINE.

Dialoghi degni dei peggiori film porno, presenta: questa meraviglia della scrittura.

No magari, Brett Leonard pensa bene di martoriarci gli
zebedei con un’altra infilata di dialoghi allunga brodo, il tutto per dare il
tempo a Figo Giobbe di avere lancinanti mal di testa, causati dal cambio di
farmaci (o di look? Chi lo sa) voluto dal megadirettoregalattico, infilati a tradimento nella sua cura
sperimentale, probabilmente mentre il dottor Lawrence Angelo era impegnato a spararsi le pose
a petto nudo.

Non so se il piano era quello di realizzare una sorta di Akira
americano ambientato in provincia (e quindi fatto passare per orrore Kinghiano),
ma di fatto il film è una bella noia, farcito di personaggi stereotipo come il
bullo locale, che non servono ad altro se non a diventare carne da cannone per
la vendetta di Figo Giobbe, ormai assorto allo stato di Psycho Giobbe, visto
che con il suo intelletto lievitato a 400% quello umano, il nostro è una sorta
di divinità in Terra. Come usa questi suoi poteri? Per entrare nella
realtà virtuale utilizzando casco, guanti e quell’enorme ruota per criceti
necessaria alla connessione, per fare del sesso virtuale con la bionda, con cui
faceva sesso normale a letto. Solo a me sembra un inutile spreco di tutine e
corrente elettrica tutto questo, ok fare sesso sicuro, ma non vi sembra di
esagerate?

«Ma sei sicuro che sia beh, sicuro?»

«Certo cara ho anche installato l’anti virus»

La vendetta di Psycho Giobbe sarà terribile quasi quanto la
CGI invecchiata male male male (SPOILER: era già abbastanza pezzette nel 1992,
ve lo posso confermare per esperienza diretta), in una serie di momenti da
FACCIAPALMO, tipo Psycho Giobbe che trasforma il suo bullo nello scemo del
villaggio, facendogli un bel format C: del cervello, una scena che Brett
Leonard ci mostra con il faccione di quel mito di Jeff Fahey in brutta CGI e con i denti a
forma di lame della falciatrice, impegnato a divorare falciando i neuroni del
suo aguzzino.

Qui siamo all’astrattismo, arte moderna allo stato puro.

Il tutto prima del gran finale, quello che prevede Psycho
Giobbe pronto ad assorgere al suo stato di novello Dio dei computer (con i
modem a 56K? Auguri!) collegandosi alla rete della Virtual Space Industries. Per fermarlo il dottor Lawrence Angelo fa l’unica cosa che un vero eroe
americano potrebbe fare: seminare di esplosivi tutto il suo posto di lavoro. Lo
vorrei fare anche io molto spesso, ma non credo che nessuno mi definirebbe
eroe.

In un tripudio di corse contro il tempo ed esplosioni a
rallentatore alle spalle di Pierce Brosnan, bisogna salvare Peter, arrivato sul
posto per caso in cerca dell’amico e suo ultimo legame con l’umanità che un tempo
risiedeva nella mente e nel cuore di Simple Giobbe e bla bla bla, roba talmente
grossolana che forse Leonard e signora per scrivere la sceneggiatura, hanno
usato una parete grande e un grande pennello, perché il classico pennarellone
era un po’ pochino per le loro ambizioni.

Cloro Fuoco al clero (ammesso che quel grappolo di pixel sia del fuoco)

Lo spettacolo del film dovrebbe essere garantito dagli otto
minuti finali del film, quelli per cui sono stati spesi la bellezza di 500.000 fogli
verdi con sopra facce di ex presidenti defunti (bravi, investimenti oculati),
per mostrarci il faccione di Virtual Giobbe, intento a cercare una “backdoor”
per fuggire dalla rete in cui è rimasto incastrato, per altro senza la minima
enfasi, visto che si vede chiaramente che è riuscito a decriptare uno dei “cubi”
in 3D in cui inserire la combinazione vincente.

Il che toglie anche un po’ di poesia all’ultima scena, la
profezia di Virtual Giobbe era semplice: presto “Infernet” sarà nelle case di
tutti, entro il 2001 chiunque potrà commentare quanto ha fatto schifo l’ultima
puntata della sua serie del cuore in rete ed io per allora sarà una divinità
virtuale in grado di far suonare tutti i telefoni del mondo in contemporanea.
Sai che scherzi telefonici verrebbero fuori svegliando tutto il pianeta in pieno
sonno?

Tranquillo Giobbe, posso assicurarti che stare su “Infernet” nel 2022 può essere ancora più dannoso.

Non serve nemmeno arrivare al 2001 visto che Brett Leonard
si gioca la grande squillata di telefoni prima dei titoli di coda di un film
immotivatamente lungo, almeno nella sua versione estesa da CENTOQUARANTA
interminabili minuti che vi sconsiglio caldamente. Ricordavo “Il tagliaerbe”
come un B-Movie già al limite della tecnologia che così tanto vorrebbe
sfoggiare, nobilitato almeno dalla presenza di King nei crediti del film, ma
con lo scrittore del Maine fuori dai giochi e Padre Tempo a logorare trama ed
effetti speciali già ballerini, non posso dire che questo film sia invecchiato granché
bene, però ci tenevo a rivederlo perché la memoria tende a rendere i ricordi
(anche cinematografici) più grandi belli e scintillanti, pensate che quasi me
lo ricordavo un bel film questo “The Lawnmower Man”, forse sono un po’ “simple” anche io.

Per altri parari invece, vi invito a cliccare fortissimo sui
collegamenti che trovate qui sotto, abbiamo deciso di festeggiare il compleanno
del falciatore di prati alla grande oggi!

SamSimon sulle pagine di Vengono fuori dalle fottute pareti taglia il prato
Il Zinefilo pota le siepi con le lama virtuale di Lucius.
Moreno del blog Storie da birreria, ci parla dei videogiochi tratti dal film.
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