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Il Triello (2024): Wolfs, Dumb Money e Il Robot Selvaggio

Se mi infilo le mani in tasca, trovo sempre briciole, monetine e avanzi di titoli che nella mia ossessione di grafologo, mi dispiace lasciarli andare, quindi ottima occasione per radunarli in un Triello, tre film del 2024, uno buono, uno brutto e l’altro discreto… Cominciamo!

Il BRUTTO IL PIATTO: Wolfs – Lupi solitari (2024)

Clooney, Pitt, era automatico che “Wolfs” diventasse uno dei titoli dell’ultimo festival di Venezia dove non ha convinto, di sicuro non la mia inviata Lisa. Strano eh? La brillante commedia d’azione senza commedia e con ben poca azione ma con due divi popolarissimi – anche al Lido – che di norma non sbagliano un colpo, per un film che è ben riassunto nel suo titolo.

Foto a caso per le lettrici della Bara!

Sgrammaticatura, perché il plurale di lupi in inglese è Wolves, scegliere di sbagliarlo volutamente e renderlo come Wolfs è un modo per rendere l’idea di due solitari insieme, sostenuta per una volta dal ridondante sottotitolo italiano che cerca di ribadirlo con un ossimoro. Anche se è un modo per raccontare il mestiere dei due protagonisti che sono due Mr. Wolf, quello di Pulp Fiction, che risolvono problemi, nello specifico il problema della senatrice Amy Ryan che si è portata in camera un gigolò che diventerà oggetto di una battuta ricorrente – che smette di essere divertente già alla seconda ripetizione – che però ha battuta la testa lasciandoci le penne, problema: arrivano due Mr. Wolf(s) invece che uno solo, si conoscono, hanno un problema da risolvere velocemente e non vogliono collaborare, il resto del film si scrive da solo.

Oggi voglio viziare le mie lettrici.

Bene per altro, perché la sceneggiatura ha buoni dialoghi, Clooney e Pitt potrebbero sfoggiare chimica e carisma dormendo, peccato che il film risulti piatto lo stesso, Jon Watts, che un tempo un’idea di estetica sua l’aveva, deve aver passato troppo tempo alla Marvel a dirigere le scene di raccordo tra un Pre-vis (pre-stampato) e l’altro, il resto sono essenzialmente dialoghi, quindi se siete qui per George e Brad buon divertimento, per il resto, tracciato piatto, non brutto, piatto.

IL DISCRETO: Dumb Money (2024)

Il filone La grande scommessa, in cui il cinema americano riflette, non solo sulla sua storia recente, ma sulla sua economia recente, resta sempre in voga per i nostri amici Yankee che colti dal complesso di avere una Storia brevissima rispetto alla vecchia Europa o all’oriente, quindi usano il cinema per compensare.

«Lasciami stare o scateno una scalata azionaria che non te la sogni neppure» (quasi-cit.)

“Dumb Money” di Craig Gillespie, che quando è in buona firma gioiellini come Tonya e il resto del tempo deve pagarsi anche lui le rate del mutuo, ci racconta la storia (vera) di Keith Gill, l’analista azionario riciclato su YouTube con il nome di Roaring Kitty, che sarebbe un genietto di Wall Street ma è rimasto in panchina, il primo a fiutare le potenzialità del titolo di GameStop, la catena di noleggio videogiochi che sembra qualcosa di fuori moda ma ha la sua clientela fissa. Investendo in quella che per Wall Street è fuffa, appunto “Dumb Money” e alimentato dal fomento su Reddit, il nostro gattino ruggente impersonato da Paul Dano si mette a capo di un “Quarto stato” di noi contro di loro, in cui noi siamo infermiere, studentesse con il debito scolastico sulle spalle, lavoratori e colletti blu contro i pezzi grossi della finanza, impersonati dal grande traditore (citofonare al suo ex amico Franco, James. Ore pasti) ovvero Seth Rogen.

Rogen infame, per te solo le lame!

La parola chiave è avvincente, anche se la faccenda era nota, anche se la puoi leggere riassunta su Wikipedia, vista con gli occhi dei piccoli risparmiatori che non mollano, fanno alzare il valore del titolo pronti a sbattere in faccia ai pezzi grossi la loro rivolta dal basso, “Dumb Money” fila liscio, meglio di tanta roba che trovate in streaming, questo ad esempio, sta su Prime Video. Piccole parti per papà Clancy Brown, per uno spassoso Vincent D’Onofrio, per Sebastian Stan che non vedo l’ora di gustarmi nei panni di Mr. Arancione e per Shailene Woodley, che ormai ha il ruolo fisso di moglie/roccia del protagonista, ormai specializzata nella parte.

Shailene Woodley: il riassunto di una carriera per immagini.

IL BUONO: Il robot selvaggio (2024)

La Dreamworks manda a segno un bel colpo, non ho idea di come sia il romanzo omonimo illustrato di Peter Brown, ma questa storia di buoni sentimenti è stata ben raccontata da un regista con lunga esperienza nell’animazione come Chris Sanders.

Una nave cargo della Universal Dynamics (una Weyland-Yutani un po’ più amichevole ma nemmeno tanto) perde sei robot durante un tifone, l’unità ROZZOM 7134 soprannominata “Roz”, è programmata per prendersi a cuore un problema e portarlo a termine, con un aspetto a metà tra Baymax e una testa ecologista alla Wall-E, il film non parte con pretese di originalità, trova una sua personalità quando Roz salva un uovo d’oca da una volpe affamata e il paperotto cicciato fuori la scambia per la sua mamma.

Imprinting, non puoi sopprimere un istinto vecchio di milioni di anni.

Tutta la prima parte con Beccolustro che cresce e deve imparare a volare prima dell’inverno non è nulla di particolarmente innovativo, ma con il passare dei minuti “Il robot selvaggio” sale notevolmente di colpi, l’animazione è davvero ottima, il design, che sia quello dei molti (e spassosi) animali o della tecnologia della Universal Dynamics risulta molto ben realizzato, colpisce poi che non manchino le battute sulla morte, trattata a volte come scherzo perché ehi! Se sei una volpe, predatore per qualcuno, preda per altri, metti su beh, il pelo.

Volpe animate, mi suscitano sempre bei ricordi.

Vorrei parlarvi dei notevoli doppiatori, da Lupita Nyong’o e Pedro Pascal giù fino all’orso Mark Hamill, ma purtroppo ho visto il film doppiato, quindi non so dirvi di più, se non che in altri momenti per essere un film del 2024, non si sorvola sull’argomento, e il lungo romanzo di formazione prevede un po’ tutti, persino mamma Opossum che non si dispera nel caso di perdita di qualcuno dei suoi pelosetti. Insomma, non voglio parlare di umorismo nero, ma di una buona dose di satira che in questa riuscita storia di buoni sentimenti bilancia molto bene, devo dire che è un titolo che mi ha stupito positivamente, perché guadagna valore in corsa e non perde interesse, come di solito accade con la maggior parte dei film, anche di questo Triello.

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