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Il Triello (2025): Nightbitch, A Complete Unknown e Killer’s Game

Se mi infilo le mani in tasca, trovo sempre briciole, monetine e avanzi di titoli che nella mia ossessione di grafomane, mi dispiace lasciare andare, un’ottima occasione per radunarli in un Triello, tre film caldi caldi appena usciti, uno buono, uno brutto e l’altro discreto, ma vi avviso, ho pasticciato con le categorie, cominciamo!

IL DIDASCALICO – Nightbitch (2025)

Non ho letto il romanzo originale scritto da Rachel Yoder, quello da cui è tratto il film di Marielle Heller presentato in anteprima all’ultimo Torino Film Festival e uscito dritto su Disney+ nel fine settimana, ma solo sulla base del film posso dire che questo non è uno di quei casi in cui pensi: «Che peccato che questo film non sia uscito in sala», ecco, questo sta bene in streaming.

Lo dico sempre che ci sono film che dovrebbe trattare la Wing-woman piuttosto che io, su questo ha sparato un paio delle sue notevoli bordate, tutte meritate perché ad ovest dell’ottima prova di Amy Adams (su questo pochi dubbi), resta un soggetto buono per un corto, che utilizza l’elemento fantastico (quasi Body Horror) poco e molto male, per poi ridursi ad un continuo lagnarsi di concetti ribaditi, didascalici e letterari (cit.), vi riporto una frase della Wing-woman che so che ci tenete: «Ma se non volete farli i figli, usare il preservativo e smetterla di lamentarsi, brutto?»

A ben pensarsi, avrebbe potuto essere anche un gran cortometraggio per la Durex.

La protagonista ha sacrificato tutti i suoi sogni per essere madre, ruolo imposto dalla società alle donne, ma madre natura sa essere bastarda, la “bitch” del titolo, peccato che l’elemento fantastico sia una trappola per gonzi, vi avviso, se siete qui per un Horror, lasciate perdere, l’inizio del film sarebbe anche brillante, peccato che poi si riduca tutto ad un costante piagnisteo e ad un esposizione becera di concetti urlati, sottolineati, che fanno accartocciare una storia con il fiato corto.

L’unico elemento che salvo, la scelta di casting di Jessica Harper per il ruolo della “donna magica”, con il passare dei minuti, anche lei sprecata. Il fatto che sia finito dritto in streaming su Disney+ mi fa pensare che sia un po’ il suo posto. Chi ha criticato The Substance dovrebbe vedersi questo e farsi qualche domanda.

«Ma tu sei cinofila o cinefila?», «Sono una Weimaraner»

IL DIDASCALICO (ma canterino) – A Complete Unknown (2025)

Lo so, è un concetto che avevo già espresso su James Mangold, ma ad ogni suo nuovo film mi rendo conto che avevo riassunto bene la sua filmografia. Giacomo Uomoro avrebbe dei titoli da autore anche notevoli, ma sono affogati nel suo essere uno specialista, quello che Hollywood chiama quando ha un divo (preferibilmente anziano) da coccolare, per questo il nostro si mette al servizio del nome grosso in cartellone di turno e si paga le bollette.

Però allo stesso tempo è quello che ha saputo firmare una delle poche biografie sui cantanti degne di nota, ad esclusione del titolo italiano, perché “Quando l’amore brucia l’anima” non si può sentire, anche se “Walk the Line” (2005) era espositivo ma riuscito, a differenza di “A Complete Unknown”, perché ad un certo punto ad Hollywood qualcuno deve aver detto: «Giacomo? Hai presente il film che hai fatto su Johnny Cash? Ora lo rifai uguale ma su Bob Dylan con Timothée Chalamet»

Once upon a time you dressed so fine… Beh mica tanto, sembri scappato di casa.

Purtroppo “A Complete Unknown” è la classica alternativa a leggersi la pagina di Wikipedia, in questo caso su Bob Dylan, con la differenza che qui, mancando i collegamenti ipertestuali cliccabili, per questo vengono a mancare tutti i riferimenti che non so quanto pubblico potrebbe colmare, se già conoscere tutto di Robert Allen Zimmerman, in questo film non troverete nulla di nuovo.

Un esempio? Bob arriva in città per andare al capezzale del morente Woody Guthrie (impersonato da Scoot McNairy, che recitava anche in “Nightbitch”, quindi non proprio una garanzia), capisco che per il pubblico americano il cantante sia ben più famoso, qui viene descritto come un tale importante per Dylan per motivi non ben specificati, allo stesso modo, quando la fama arriva, il nostro Bob diventa stronzo di colpo e lo sanno anche i sassi che il cantante non sia proprio il più tenero dei menestrelli, ma se tutta la “trasformazione” del personaggio avviene, con Chalamet che si infila gli occhiali da sole e non se li toglie più, direi bene ma non benissimo.

Ho gli stessi occhiali, vuol dire che anche io sono stronzo? (Non rispondete!)

Va detto che Timoteo canta le canzoni di Dylan senza imitarne la voce, il che è positivo ma in molti parti a tener banco è l’esperienza di Edward Norton negli stempiati panni di Pete Seeger, Elle Fanning copre più che bene il ruolo di Sylvie Russo ma a vincere a mani bassi per me è Monica Barbaro, la sua Joan Baez cancella anche Bob Dylan che poi per certi versi – e secondo molti – è esattamente quello che succedeva ai tempi a livello musicale, ma questa è un’altra storia.

La sua carriera un giorno verrà studiata dalla scienza, Boyd Holbrook non ha mi fatto il salto, a volte riesce a giocarsela di carisma, quando arriva qui nei neri panni di Johnny Cash, vorresti più minuti sul personaggio (il fatto che io abbia sempre amato più la musica dell’uomo in nero che quella di Dylan, sicuramente per me è un fattore) ma è chiaro che James Mangold sia anche lui più propenso verso Cash, se lo avesse interpretato Joaquin Phoenix, sarebbe stato il primo caso concreto di quello che io profetizzo ormai da tempo, l’avvento del “Musicverso” cinematografico.

Joaquin Phoenix nella parte di Boyd Holbrook che interpreta Johnny Cash.

Ovviamente il concerto dove Dylan “tradisce” e passa all’elettrica sulle note di “Maggie’s farm” dovrebbe essere il cuore del film, ma arriva lungo e posso dirlo? Perde contro la concorrenza, “Io non sono qui” (2007), per questa singola scena e in generale, per tutta la rappresentazione di Dylan, faceva un lavoro più interessante. Per lo meno ora Mangold ha potuto pagare un po’ di bollette, si spera che il prossimo per lui sia un film da autore, più personale e sentito del far fare la passerella in occhiali da sole a Timoteo.

IL DIDASCALICO (di menare) – Killer’s game (2005)

Da quando JJ Perry ha esordito come regista, dopo anni come mitologico coreografo di grandiose scene d’azione, si è accasato sulle varie piattaforme, “Killer’s game” è il suo nuovo generico lavoro disponibile su Prime Video, il classico titolo in cui normalmente ti aspetteresti di trovare The Rock come protagonista, mentre invece qui, l’assassino professionista Joe Flood è fatto a forma di Dave Bautista.

Flood scopre di avere una malattia terminale, una di quelle che ti lascia con pochi mesi e tanto dolore davanti, per evitarsi questo destino chiede alla “concorrenza” di mettere una taglia internazionale su di lui, meglio andarsene sulle proprie gambe, eliminato velocemente sul campo da un “collega” piuttosto che attendere l’inevitabile.

Perché ho idea che questi due abbiano fatto mille film insieme? Sarà che fanno lo stesso tipo di film.

Dopo una telefonata sottolineata dall’effetto Vertigo (zoom avanti e carrello indietro) Flood scopre che la diagnosi era sbagliata, di colpo i sintomi spariscono e restano solo assassini da cartone animato, che entrano in scena con il loro nome in bella vista, pronti a farlo fuori… Time Out Cassidy!

Quindi “Killer’s game” è una satira sul sistema sanitario che non funziona? Sull’impossibilità di ricorrere all’eutanasia nei Paesi considerati (si fa per dire) civilizzati? Oppure è un complicato MacGuffin per lanciare personaggi che sembrano usciti da un picchiaduro addosso a Bautista? Io non so chi abbia inventato il formato del film con i personaggi coloriti che entrano in scena, BOOM! Fermo immagine e il loro nome in bella vista, mi verrebbe da dire Guy Ritchie, per questo spero che Ritchie lo abbia brevettato, perché è una delle soluzioni visive più utilizzare degli ultimi trent’anni o giù di lì.

Ed è subito Highlander!

“Killer’s game” diventa una parata di facce, Sofia Boutella che fa la ballerina oltre che ‘nnamurata del protagonista, Ben Kingsley nel ruolo del suo manager, giù fino a Terry Crews e Pom Klementieff che devono essere amici di Bautista, per questo non possono mancare in qualche ruolo.

Gli amici di JJ Perry invece si chiamano Scott Adkins e quel pennellone di Marko Zaror, che è l’unico con l’altezza necessaria per pareggiare con Bautista, anche se proprio come Adkins, deve rallentare i colpi ed esagerare con la caratterizzazione, altrimenti i non-marzialisti sul set non starebbero mai al loro passo. Insomma, robetta leggera che ti salva la serata, ma non aspettatevi nulla di questo, la vera sorpresa è che non ci reciti The Rock.

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