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Il Triello Anni ’90: l’alieno, il mostro e il cyborg

Mi piace pensare che chi segue la Bara Volante abbia avuto
un passato simile al mio: svezzamento con Sergio Leone, crescita con Arnold, zio
Sly e il Maestro Bruce Lee e alimentazione a film Horror. Di sicuro Quinto Moro è
cresciuto con la stessa dieta che rende forti e robusti, oggi affronterà un
Triello dedicato a tre film, che chiunque bazzica questa Bara conoscerà a
memoria. State pronti, perché qualche cuore verrà spezzato, Quinto Moro non
perdona!
Come da tradizione, c’è quello buono, quello brutto, e quello discreto. Tanta carne al fuoco per una bara temporaneamente allestita a barbecue volante. La salsa di oggi è il fanta-action anni ’90, occhio al ketch-up che schizza tra una sparatoria e l’altra.
PREAMBOLO
Alzi la mano chi, pensando al cinema anni ’90 non pensa ai film d’azione. Ma il vero decennio caldo è l’intermedio ’85-’95: dall’apice della Guerra Fredda al crollo del blocco sovietico e l’esplosione definitiva dell’americanismo. Il cinema di serie B rispecchia l’anima popolare dei momenti storici, anche meglio dei “grandi film”, più rifiniti e con grossi budget. E’ l’epoca del “Superuomo Americano”, che non perde perché non può. Basti pensare a Rambo e Rocky, nati eroi fallibili e proletari, diventati portabandiera dell’individualismo verace reaganiano, capaci di trascinarsi fino ai giorni nostri. Ed è l’epoca d’oro dei buddy-movie, in cui praticamente ogni singolo sbirro doveva muoversi con un compagno suo opposto.
Arma non convenzionale (1990) – Il buono
“I come in peace”, la frase cult dell’alieno è anche il titolo secondario con cui è noto il film. Ed è la frase con cui Matthias Hues, che per tutto il film non dirà altro, si mangia la scena sul protagonista Dolph Lundgren, da cattivo sovietico nell’epopea reaganiana di Rocky IV ad incarnazione di quella stessa mentalità americanoide.
I “miei” anni ’90 sono stati l’epoca dell’iperviolenza sparata in prima serata un giorno sì e l’altro pure, una dieta Latte+ del vostro affezionatissimo. “Arma non convenzionale” è uno dei miei film d’infanzia (come gli altri del triello), e l’alieno dai capelli e occhi bianchi è uno dei miei miti: ho sempre fatto il tifo per lui e non per quello spaccone di Lundgren. Mi aveva ammazzato Apollo e certe cose non si perdonano facilmente.
“Non mi impuorta se lui vienga in pace. Se lui spaccia droga io insieguo lui per tutta galassia piena di stelle e faccio suo culo a strisce. E poi lo spiezzo in due”
Musiche tamarrissime techno-rock-pop, esplosioni ad ogni passo spinto, sbirri corrotti, droga e alieni. Oggi sarebbe facile etichettarlo come un mucchio di banalità di serie B, ma dentro c’è tutta una mitologia: lo sbirro è l’eroe, uomo tutto d’un pezzo, animalesco distillato d’istinto infallibile, rude e proletario. E tira calci rotanti che Chuck Norris lèvati. Poi c’è il “compagno per forza”, per replicare la formula del buddy-movie di quegli anni: il fighetto dell’FBI, arrogante e classista, tutto tecnica e niente cuore. FBI patrizi corrotti e sbirri plebei duri dal cuore d’oro. E ovviamente, il rigido servo del sistema finirà per trasformarsi nel gemello del protagonista (pure da astemio a trinca vodka come non ci fosse un domani).
L’America verace è tutta qui: l’istinto verso la regressione a uno stato primordiale che rinnega i passi avanti nello status sociale, col maschio Alfa che non ha bisogno di studiare, fiuta la preda d’istinto, tanto da capire al minuto 17 che si sta dando la caccia a un assassino alieno. Siamo tra la sospensione d’incredulità e un inno al trash cantato con lo yodel. Fortuna che c’è lui:
A 10 anni era il mio eroe, eppure non ho mai spacciato droga su altri pianeti. Beccatevi questa benpensanti!
Tra esplosioni e frasi spaccone c’è tutta la politica reaganiana (e nixoniana) in cui la droga è l’emergenza nazionale, anzi di più: un fottuto problema intergalattico! Niente progressisti in giro per il cosmo, tutta la galassia è paese.
Pubblicità progresso anni ’90
Altro segno dei tempi sono le donne: quelle che non capiscono e restano fuori dalla trama. La fidanzata di Dolph arriva e ovviamente non capisce niente di cosa stia succedendo, mentre lui fiuta gli alieni che neanche Rin Tin Tin sotto (a)steroidi. Ma no, la bella vive in un mondo fatto di cose plausibili, lontana dall’impero dell’istinto mascolino aperto alla fantascienza. Apro una parentesi: chissà perché mi ha fatto pensare alla Scully di X-Files, che è uno dei grandi personaggi femminili della tv. Scully nasceva nella stessa epoca e schiava degli stessi schemi, con Mulder sempre in prima linea ad avere i rapporti più stretti col soprannaturale. Scully, la più legata alle regole, meno legata all’istinto, restava sempre indietro, arrivava quando l’inusuale si era già manifestato, così mentre l’uomo continuava a guardare nel futuro, nell’ignoto, la donna stava sempre nelle retrovie, schiava del suo piccolo mondo di regole. Questa memoria storica il #metoo commercial-hollywoodiano continua a non raccontarcela…
Manuale Kane, pagina 2: se devi far esplodere qualcosa, fallo esplodere con classe.
Le esplosioni fioccano come si vivesse in un mondo in cui tutta la materia ha le stesse proprietà del TNT. Le sagome degli attori in corsa si stagliano sulle fiamme, botti e ribotti con impermeabili svolazzanti. 
“Arma non convenzionale” è così figlio del suo tempo da avere ogni singolo cliché di genere, con l’immancabile distintivo gettato via come rifiuto della legge che tradisce i veri ideali dell’uomo medio americano, da Mezzogiorno di fuoco a Point break, c’è tutta una mitologia di questa roba. 
Per anni si è ventilata l’ipotesi di un sequel. Ma si sa come sono i ventilatori nel mondo del cinema, avete presente “Alien 3” no? Nel senso, ventilatori assassini… ok, questa era sottile. Ma alla fine non se n’è fatto niente. E forse è meglio così, sarebbe arrivato fuori tempo massimo.
Frase maschia finale: “Io vengo in pace” – “E riposa in pace, stronzo!”.
Detective Stone (1992) – Il brutto
E’ questo genere di robaccia che ha fatto di me il cinefilo che sono ora. Per vostra garanzia ci saranno spoiler, perché a volte è meglio sapere, così da non avere scuse, né sorprese troppo brutte.
La partenza è di tutto rispetto, titoli con voce fuori campo e citazione biblica: Londra 2008, dopo 40 giorni e 40 notti di diluvio la città è infognata, acqua alta e ratti dappertutto, per effetto del riscaldamento globale, delle troppe piogge e della Brexit. Peccato che la sceneggiatura rovini le premesse di quest’ambientazione. La Londra zozza fa la sua porca figura, con strade allagate e muri tappezzati di cartelli che mettono in guardia dai guai del mondo. Provate a leggerli tutti, c’è cura nei dettagli, c’è del vero amore in questo film! (su quanto amore ci sia, poi ci torniamo…)
Manuale Kane, pagina 3: che siano esplosioni o pozzanghere, corri nel modo più coreografico possibile
Tanta cura nella fotografia e nelle scenografie, colori freddi e ambientazioni ottime. Il Detective Stone si presenta imponente con l’impermeabile svolazzante e occhialini alla John Lennon, annunciato alla radio della polizia con un: “il Detective Stone è armato e pericoloso”. 
Il cattivone del film è uno che strappa il cuore delle vittime per mangiarselo. Ma non sempre, perché ha pure il vizietto di mandare regalini insanguinati a Stone che gli dà la caccia, e con cui ha un mistico legame (svelato da flashback di rara bruttezza).
La cosa dei cuori spediti da killer a sbirro finisce per avere dei risvolti comici: ma non lo capisci Stone che è amore? L’assassino ti manda cuori a lavoro, cuori a casa, non vedi il messaggio subliminale? Non è un serial killer, vuole solo tanto ammmore, e tu lo rifiuti!
L’espressione di chi voleva incontrare un rubacuori, ma non in quel senso!
Girato tra mille traversie, con un budget modesto e una vasta distribuzione, fu un flop. Riuscì a scontentare tutti, tranne i bambini di 10 anni col gusto dell’orrido che guardavano qualsiasi film sparato su Italia 1 negli anni ’90. La sceneggiatura è una delle prime di Gary Scott Thompson (forse vi ricorderete di lui, ma anche no, per aver scritto i primi due Fast and Furious) e voleva nientepopòdimenoché Harrison Ford per il ruolo andato a Rutger Hauer. Ad Hauer lo script era anche piaciuto, ma visto che a lungo andare non si sapeva più cosa dovesse diventare la storia, ci si mise pure lui a mettere altra carne al fuoco.
“Pronto? Mi avevano detto che doveva girarlo Ridley Scott questo film. L’alieno l’abbiamo copiato da Alien, la città da Blade Runner, ma lui non c’è. Come dici? Sta girando un film sulla scoperta dell’America? Al diavolo, il nostro futuro va a farsi fottere e lui pensa al passato. Non c’è il fratello?” [Fratello giusto, nota Cassidiana]
Stone è il tipico sbirro incontrollabile dal torbido passato, uno che va avanti a caffè e cioccolata. E come in ogni action che si rispetti gli affibbiano il compagno agli antipodi: il primo della classe inquadrato, un esperto di serial killer che scopa tutte le sere (o così dice, della sua caratterizzazione ci ricordiamo solo questo).
Rutger Hauer ci prova, ma il suo detective Stone perde mordente col passare dei minuti. Pare che il “legame” tra Stone e il killer fosse uno dei suoi suggerimenti, fosse stato scritto un po’ meglio poteva essere il perno della storia, invece è appiccicato con lo sputo (o con la bavetta di Alien).
Da metà in poi la sceneggiatura precipita nella cialtroneria. Il serial killer mangiacuori diventa l’incrocio tra un Predator e uno Xenomorfo, ma ha una grafia perfetta nei messaggi che lascia all’amato Stone (non si sa come li scriva con quelle dita artigliate). Ah, e avete presente le classifiche di Watchmojo su youtube? Ce n’è una sui film spoilerati dalla locandina…
Manuale Kane, pagina 4: non spoilerare il killer sulla locandina
Esoterismo e genetica, cuori smangiati e pulsanti fuori dal petto, magia nera e DNA rimescolati come se piovesse. Il delirio diventa iperbole (eeeeh, i paroloni per parlar della monnezza) quando non vengono dalla bocca dell’ipercaffeinato Stone, ma dal compagno scientifico. Un po’ come se al primo episodio di X-Files Scully fosse corsa per strada nuda agitando le braccia e chiedendo agli alieni di portarla via. Così alla fine Stone non è nemmeno il pazzo delirante che dà la caccia al mostro, ma è quasi una vittima degli eventi e scompare dalla trama, che si trasforma nell’immancabile bella da salvare.
Il regista Tony Maylam, esasperato dai continui cambi di script abbandonò tutto poco prima della fine, lasciando Ian Sharp libero di girare le ultime scene nella metro allagata, che sono di una bruttezza allucinante (pensare che da piccolo ne ero entusiasta, va’ che i bimbi son strani). La caccia finale sembra presa da un altro film e appiccicata con lo sputo (o con la bavetta di Predator), montaggio e fotografia, inquadrature e battute: sembra tutto sbagliato. Viene distrutto ogni brandello di fascino e finisce in caciara con la solita esplosione risolutiva.
Frase maschia finale: “non direi che costui si crede Satana, direi che è Satana” – “Comunque, Satana è nella merda!”
Classe 1999 (1990) – Il discreto
Ci credereste che per anni ho pensato davvero che gli studenti americani dovessero consegnare le armi prima di entrare a scuola, come in questo film? Considerando l’attualità, non sarebbe una cattiva idea.
Classe 1999 è una specie di sequel/remake sci-fi di Classe 1984, ma ne ribalta lo spirito e l’ambientazione pur mantenendo le stesse dinamiche. L’autore è lo stesso: quel Mark Lester che ha firmato il trionfo dell’action Anni ’80 con Commando. E se Classe 1984 era una critica sociale feroce sulla deriva della scuola americana, professori con le mani legate tra alunni delinquenti, “1999” rivolta la frittata passando dalla parte degli alunni, che da carnefici diventano vittime.
“Siam tre piccoli robottin, siamo tre, violentin, nessun qui ci disturberà, trallallà, trallallà”
I due film sono gemelli diversi e opposti nella narrazione e negli intenti. “Classe 1984” puntava su toni sempre più drammatici, le angherie degli alunni creavano un ambiente soffocante e angosciante, atto d’accusa di una gioventù criminale fuori controllo. “Classe 1999” estremizza quell’idea portandola in un futuro distopico, con tre cyborg venuti a mettere in riga i ragazzacci. Il contenuto politico è impoverito e stilizzato e si riassume tutto nell’eccesso della punizione, e con una maggiore volontà di intrattenere. 
In piena epoca Terminator (proprio tra i due film di Cameron) gli effetti artigianali arricchiti da un sano gusto per lo splatter facevano la loro porca figura, con squagliamenti fisico-facciali ed esoscheletri realistici che nel finale danno grandi soddisfazioni.
Quando dal dottore mi dicevano “apri la bocca” pensavo sempre a questa scena
Bradley Gregg, volto che ha attraversato il decennio ’85-’95, arriva qui alla sua prova da protagonista. Ha il piglio giusto per essere l’(anti)eroe tormentato, reietto sia per la società che per i suoi ex compagni. Appena uscito di galera – non sappiamo bene per cosa – è diventato tutto calmo e riflessivo (uno spot per dire che il carcere rimette in riga?). Il mondo che ha lasciato, coi fratelli tossici e la madre che litiga per chi le ha fregato la roba, è lo stesso coacervo di violenza e decadenza di sempre. Mi è sempre piaciuta la parola coacervo, capita raramente di poterla incornare in una frase (l’avete capita? Coacervo, incornare…)
“Non ero progettato per le punizioni corporali, ma dopo questa battuta il mio sistema si è resettato”
Oltre ad una “focosa” e inquietante Pam Grier, il cast vanta le brutte facce di John P. Ryan (l’infame carceriere di A 30 secondi dalla fine), Patrick Kilpatrick sempre pronto a menare le mani, e Stacy Keach con gli occhi bianchi spiritati come se non fosse già minaccioso di suo. Poi c’è Malcolm McDowell, il preside che deve usare mezzi poco ortodossi per tenere sotto controllo la violenza, affidandosi allo scienziato pazzo di turno: una rimasticazione di Arancia Meccanica che dà soddisfazioni se la risposta al teppismo scolastico sono tre superinsegnanti, con IA creativa e un concetto di disciplina un tantino estremo.
“Ai miei tempi curavamo i violenti facendogli vedere i film, non li facevamo pestare dai robot!”
Abbiamo già parlato di Reagan in questo post, e penso che certi film iperviolenti e distopici siano la reazione all’American Way Of Life di quegli anni, una rappresentazione in parti uguali pro e contro, una visione ibrida dove la violenza è spettacolo, e trova sempre il modo di giustificare se stessa per una causa o per l’altra. Ma lontano dai sofismi, “1999” ricorda i bei tempi di cyborg fottuti e cattivi, capaci di incarnare la peggior visione della volontà punitiva umana riflessa sulle macchine. Cyborg che di umano non avevano niente a parte l’aspetto e l’istinto di prevaricazione che gli veniva dai creatori. E di tutte le rimasticazioni sulle Intelligenze Artificiali, questa è una delle meno esplorate, e una delle mie preferite: perché non è che le macchine siano cattive, forse sono solo progettate da stronzi.
Frase maschia: “Mi fido di lui come un vampiro che mi facesse un bocchino!”
P.S.
Mille grazie a Quinto Moro per aver recensito questo tre
classici!
Vi invito tutti a passare a scoprire qualcuno dei suoi
lavori, che potete trovate QUI.
Se tutto andrà come ho previsto, i tre titoli di oggi
potrebbero tornare qui sulla Bara, intanto non potevamo avere un esordio migliore
di questo.
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