Torna su questa Bare il formato ormai noto come “il Triello” per parlarvi di tre film del 2020, uno buono, uno decente ed un altro decisamente brutto. Se volete potete leggere tutto facendo lo sguardo da Clint Eastwood.
IL BUONO – Diamanti grezzi (2020)
Dovessi fare una lista (non richiesta) di comici che non mi fanno ridere, penso che Adam Sandler chiuderebbe al secondo posto. Nemmeno il primato della testa della classifica si meriterebbe.
Al pari di Jim Carrey (che però spesso riesce a farmi ridere di gusto), Sandler è uno che quando passa ai film drammatici migliora, quindi se aspettate di leggermi mentre vi elenco le lodi di “Ubriaco d’amore” (2002) non è questo il caso. Il ruolo dove l’ho apprezzato è stato “Reign Over Me” (2007), la componente musicale del film ha aiutato, lo ammetto.
Quindi l’idea di 135 minuti di Adam Sandler magari anche no, ma di Adam Sandler che fa il serio, beh parliamone, cos’altro metti sul piatto cara Netflix per convincermi? Kevin Garnett nella parte di Kevin Garnett? Eh che cacchio dillo subito no! Almeno mi evitavo anche la premessa su Adam Sandler!
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Molto facile, voi mettere Kevin Garnett in un film, io guarderò il vostro film con Kevin Garnett. |
“Diamanti grezzi”, traduzione un po’ imprecisa del titolo originale “Uncut Gems”, è l’ultima fatica di Josh e Benny Safdie e a ben guardarlo ha parecchi punti in comune con l’unico altro loro film che ho visto, “Good Time” (2017), i protagonisti dei due film si somigliano parecchio, il modo in cui i due registi riescono ad intrappolarli nel loro mondo, grazie ad un utilizzo dello spazio piuttosto angoscioso sembra quasi lo stesso, e a ben guardare anche l’idea di usare come assoluto protagonista, un attore con una fama e dei trascorsi cinematografici di un certo tipo, Robert Pattinson quindi passa idealmente il testimone ad Adam Sandler. Basta altrimenti trasformo il post in un confronto diretto tra i due film.
“Uncut Gems” vanta tra i produttori esecutivi anche zio Martino Scorsese, e ammettiamolo, l’ambizione di Josh e Benny Safdie tira un po’ da quella parte, com’è anche giusto che sia aggiungerei. La storia è quella del gioielliere ebreo di New York di nome Howard Ratner (Adam Sandler) con la passione per le scommesse e le mani in pasta in un affare che potrebbe sistemarlo a vita, un opale nero allo stato grezzo contrabbandato dall’Etiopia che se piazzato al mercato, potrebbe valere un milione di fogli verdi con sopra le facce di altrettanti ex presidenti defunti. Insomma l’affare della vita.
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Un brilocco a forma di Mogwai potrei quasi volerlo anche io. Per fortuna sono povero. |
La svolta arriva quando nel suo negozio arriva un cliente grosso, in tutti i sensi visto che sono i 2,11 d’altezza di Kevin Garnett, campione dei Boston Celtics in cerca di qualche brillocco vistoso da aggiungere alla collezione. Per farsi bello Howard gli mostra l’opale nero e KG ci va sotto bevendo dall’idrante, sapete come sono questi sportivi no? Che si tratti dei loro pantaloncini di North Carolina oppure di una pietra preziosa, se pensano che sia indispensabile per vincere, non puoi fargli cambiare idea.
Il colpo di genio della storia è quella di inserire personaggi immaginari (Sandler e tutti gli altri) attorno ai fatti reali rappresentati dalla finale di conference della NBA dell’anno 2012, tra i Boston Celtics di KG e i Philadelphia 76ers, se siete appassionati ricordate che in quella finale Garnett è stato più protagonista che in “Uncut Gems”, ed è anche stato uno dei suoi momenti migliori in maglia bianco-verde.
L’andamento del suo rapporto con la pietra, segue le vittore e le sconfitte della sua squadra, ed in questo si incastra alla perfezione la storia di Howard Ratner, un uomo a cui non manca niente, ma che sembra incapace di non mettersi nei guai da solo. Sua moglie Dinah (Idina Menzel) non vuole più sapere niente di lui, Julia (Julia Fox) la segretaria facente funzione di inevitabile amante, sembra un trofeo ma forse lo ama per davvero, anche se lui appena ha qualcosa di prezioso per le mani, riesce a metterlo a rischio, proprio come l’opale nero.
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Non so da dove sia sbucata, ma ora la voglio vedere in tutti i film. |
Josh e Benny Safdie per 135 minuti ci portano nel mondo del protagonista, popolato da loschi creditori con la faccia di Eric Bogosian (indimenticato DJ della notte in “Talk Radio” del 1988), il tutto mentre la macchina da presa indugia su un Adam Sandler, urticante, sanguinante, petulante, insomma perfetto nei panni di un personaggio che viene voglia di prendere a schiaffi ogni volta che fa una cazzata (e ne fa spesso), ma allo stesso tempo per cui viene voglia di tifare, come fa lui con KG.
I due registi non lo mollano un secondo, tenendo costantemente la macchina da presa addosso ad Howard come i creditori che non gli lasciano spazio, non credo sia un caso se “Uncut Gems” inizia con le immagini della colonscopia del personaggio (l’episodio speciale di “Siamo fatti così” ambientato dentro Sandler, che da bambini per fortuna nessuno ci ha fatto vedere), e termina con titoli di coda invasivi allo stesso modo.
Perché questo è il mondo che Howard Ratner ha costruito per se stesso, un mondo che sta per collassare tenuto insieme da poco, da una porta bloccata al momento giusto, da una piccola furbata che potrebbe condannarlo oppure salvarlo, come a basket il tiro può entrare oppure può uscire, e proprio su un articolata scommessa basata sulla prestazione di KG in gara 7 (la partita che sportivamente mette spalle al muro le squadre, vinci oppure vai a casa), Howard si gioca la sua gara 7 con in palio tutto. Vi lascio scoprire come finisce, perché magari vi ricordate quella partita e il suo risultato (se l’avete vista, di sicuro), ma non è detto che per questo conoscerete anche il finale del film. Dovrei citarvi una certa frase di “Chi non salta bianco è” (1992) ma poi allora davvero vi rovinerei il finale, quindi passo.
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«Non vorrai rovinare il finale a tutti vero? Già conoscono il finale di quella gara 7» |
Mi è piaciuto tutto di “Uncut Gems”? No, perché è uno di quei film in cui se una scena viene prolungata per molti minuti, e per dare il tempo al pubblico di assimilare le emozioni dei personaggi, ed essendo tutti basato su emozioni, dinamiche e relazioni è davvero tutto così, in alcuni momenti sfianca in altri ti tiene con il fiato sospeso, in tal senso la musica è perfetta: costante, invasiva (non come una colonscopia eh!), come unghie sulla lavagna in certi momenti, angosciante per rappresentare in pieno lo stato emotivo del protagonista.
Nemmeno questa volta credo di aver fatto definitivamente pace con Adam Sandler, ma in squadra con KG va decisamente meglio, Josh e Benny Safdie non sono Martin Scorsese (eh vabbè) ma non manca loro di certo la coerenza tematica, stanno studiando da autori, ecco però magari, la prossima volta Gigi D’agostino sui titoli di coda, anche no, grazie.
IL DISCRETO – Underwater (2020)
Sei di sinistra o di destra? Preferisci le bionde o le more? I Beatles o i Rolling Stones? Il partito Comunista o la DC? La Marvel o la DC? La Marvel o Martin Scorsese? Dubbi eterni, domande che non troveranno mai risposta, schieramenti sempre opposti ma mai quando la presa di posizione definitiva: Meglio Alien oppure Aliens – scontro finale?
Ha ragione Lucius nell’affermare che “Alien” è il film che ha creato se stesso mentre “Aliens – scontro finale” il film che ha creato tutto il resto. Ha anche ragione nell’affermare che Underwater è Alien però ambientato sott’acqua, infatti ha già trovato tutti i punti di contato tra le pellicole, entrambe prodotte dalla 20th Century Fox.
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«Questo è lo story board del film», «Ma è Alien dello Scott sbagliato!» |
Il bello è che più Ridley Scott(o), anche noto come lo Scott sbagliato, prova a prendere le distante dal lavoro di Jimmy Cameron, più quello continua a zompargli addosso. Perché il fratello di Tony si è ritrovato a gestire (alla grande) il lavoro di altri artisti che erano stati messi insieme a lavorare su “Alien” da ben prima del suo arrivo (STORIA VERA). Mentre Cameron ha fatto tutto da solo, con la pressione del successo del primo film sulle spalle, e con una squadra fedele a Ridley, sulle prime ostile a questo giovane Canadese dal piglio da Yankee venuto giù con idee bellicose.
Ecco perché mi viene un sorriso da tempia a tempia, come se fossi lo Stregatto di Alice nel Paese della meraviglie (per altro citato malamente qui, con il coniglietto bianco di pezza), davanti ad un film come “Underwater” che si è “Alien” sottomarino, ma proprio per questo ha anche qualcosa di “The Abyss” (1989). Più Ridley scalcia per liberarsi di Cameron, e più il Canadese come un Face Hugger lo stritola.
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«Siete potenti?», «Sì», «Siete fetenti?», «Sì», «Chi siete?», «Operatori di piattaforme di estrazione!» (quasi-cit.) |
Malgrado i modelli a cui in maniera così esplicita (e troppe volte didascalica) “Underwater” fa riferimento, riesce ad essere un film incredibile nel suo mandare a segno trovare e soluzioni giuste, e un momento dopo, sbagliarne altre tanto clamorosamente. Avrebbe potuto essere un grande film solo che preferisce auto sabotarsi restano beh, discreto. Anzi sarebbe stato proprio brutto, se non fosse stato diretto davvero alla grande.
Per prima cosa, è un film che dura 90 minuti. Nel 2020!? Un film che dura 90 minuti? Più raro che trovare un politico onesto! Peccato che poi tra lungaggini, dialoghi tanto banali da far male alle orecchie e appunto, i vari tentativi di auto sabotaggio, i minuti percepiti sembrano 120, il che riassume come questo film abbia in mano tutte le carte giuste, e poi le utilizzi per giocare a rubamazzetto, quando invece la partita avrebbe dovuto essere Poker.
Si inizia con dei titoli di testa che illustrano la situazione la solita Weyland-Yutani multinazionale ha mandato una missione nello spazio nell’oceano per scavare e trovare risorse. Qui facciamo la conoscenza di Kristen Stewart con i capelli da Lori Petty che mentre si lava i denti (l’igiene orale è importante…), con la sua voce narrante sottolinea l’ovvio e ci ammorba con domande sui massimi sistemi, filosofeggiando sul nulla come piacerebbe allo Scott sbagliato.
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Kristen Lori Stewart Petty in una scena del film. |
Alcune gocce d’acqua dal soffitto, e la piattaforma petrolifera sprofonda restando bloccata sul fondo dell’oceano, siamo e tre minuti dall’inizio? Forse cinque non lo so e BOOM! Acqua, devastazione! Il regista William Eubank ci butta subito nel vivo dell’azione. Note positive: Il film entra subito nel vivo. Note negative: L’inutile voce narrante.
Lori Stewart tra i sopravvissuti incontra il sosia del Taxista di Atto di Forza però giovane (Mamoudou Athie) e ci aggiorna sulla situazione: Siamo nella merda sotto sotto il mare, qui tocca darsi una mossa per non finire schiacciati come sardine dalla pressione oceanica. Quindi una volta ricongiunti con i pochi superstiti si fa la conta, abbiamo il capitano che dovrebbe tranquillizzare tutti perché interpretato da un attore famoso come Vincent Cassel, ma trattandosi di quel pazzerello di Vincenzo? Secondo voi c’è da fidarsi?
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Questa è la storia di una piattaforma che sprofonda negli abissi, e per farsi coraggio si ripete: «Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene» |
La quota minoranza è rappresentata dalla bella Jessica Henwick (che aveva dimostrato di essere anche l’unica in grado di tirare due pugni in Iron Fist) una che in quanto donna e per metà orientale, con l’aria che tira ad Hollywood oggi, avrà una lunga carriera in ruoli così. Troppo cattivo? No, perché dopo averla vista nel documentario “Iron Fists and Kung Fu Kicks” (2019) ho capito che questa ragazza ha più potenziale di così, e come Swan dei Guerrieri odio vedere la roba sprecata.
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«Cassidy mi ha fatto un complimento? Perché non si capisce mai quando fa i complimenti?» |
Completa la banda il simpatico che fa le battute sceme che non fanno ridere interpretato da… Ma che ci frega è talmente banale come personaggio che non ho nemmeno voglia di verificare il nome dell’attore. Sta di fatto che bisogna saltare tutti dentro le tute e scendere nella tana del Bianconiglio per salvarsi, ma mi raccomando, le ragazze prima di infilarsi nella tuta, devono restare in mutandine e reggiseno, come Sigourney ai tempi belli. Note positive: Kristen Stewart ora ha un film dove anche tra vent’anni, potrà dimostrare quanto stava in forma nel 2020. Note negative: I personaggi dicono solo frescacce, tipo «Cosa spaventa più delle montagne russe? Aspettare in fila» ed ogni volta che aprono bocca speri che arrivi Cthulhu a punirli. Note positive, secondo estratto: Cthulhu arriva veramente. Sul serio non scherzo!
William Eubank non è un cretino, aveva già diretto il pallosissimo ma molto figo “The Signal” (2014) premiato al Sundance, insomma il classico giovane di talento preso dal festival di Roberto Ford Rossa, e buttato nel tritacarne da una grande casa di produzione pagante. Uno che aveva già dimostrato di saper rendere visivamente bellissima una storia da nulla come quella di “The Signal” ecco, solo che “Underwater” è un’altra storia da nulla, che prende un po’ dallo Scott sbagliato, un po’ da Cameron e un po’ da H. P. Lovecraft, mescola tutto insieme, aggiunge dialoghi orrendi e lascia che sia Eubank a rendere ogni scena stupenda.
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Se riuscirete a superare il secondo atto del film (che è tutto così), il finale sale di colpi, io vi avviso. |
Lui lo fa davvero, perché usa la macchina da presa a mano e anche un po’ ballerina per le scene in cui i sopravvissuti devono rotolare tra le macerie della piattaforma, si inventa inquadrature dall’interno dei caschi della tute da immersione, usa la fotografia in maniera incredibile e centellina i buoni effetti speciali portando in scena mostri grossi, schifosi e pesanti (come se avessero davvero una loro massa corporea) come non si vedeva dal primo Pacific Rim. Peccato che la storia gli imponga per tutto il secondo atto di farlo costantemente al buio, mostrando poco o niente come se il film avesse un budget di sei milioni di fogli verdi con sopra le facce di altrettanti ex presidenti defunti, invece che uno di sessantacinque fogli della stessa tipologia. Note positive: Un regista bravissimo e “tutti i soldi del mondo” (ciao Ridley) Note negative: Comportarsi come l’ennesima produzione di serie A che però utilizza le tecniche di una di serie Z, e con questo film, siamo a già al terzo caso conclamato, in pochissimi anni.
Nell’ultimo atto, assottigliate le fila dei personaggi, “Underwater” si gioca la carta Lovecraft, lo fa alla grande, scavando troppo in profondità e con troppa avidità, la Weyland-Yutani multinazionale ha evocato i Grandi Antichi, la scena con quella sorta di Cthulhu che compare ti tira via il fiato dai polmoni per quanto è micidiale, l’uso del montaggio sonoro poi la rende ancora più epica. Peccato che si utilizzi un mostro gigante oggettivamente bellissimo, per disastrare dalla favoletta ecologista che il film vuole raccontarci. Note positive: Ti promettono H. P. Lovecraft… Note negative: … ti danno Greta Thunberg.
Nel finale poi, che è bello tirato e angoscioso anche grazie alle musiche di Marco Beltrami (compositore che sta risalendo la china dei miei gusti personali, se vi interessa saperlo) torna la stramaledetta voce narrante che aggiunge parole inutili su un finale che se fosse stato muto, sarebbe stato dieci volte migliore.
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Non vedo il gatto Jonesy però, manca all’appello. |
Ma poi io mi domando e chiedo, porco mondo! Perché questa cazzarola di mania di usare i film per veicolare messaggi alla moda, perché i film contemporanei sembrano prodotti per essere al passo con i tempi, piuttosto che essere film. Guardi Bird of Prey e ti trovi davanti una parabola sul femminismo profonda come le frasette prestampate dei Baci Perugina, guardi “Underwater” e ti tocca pupparti il pistolotto ecologista che finché lo enunci, ma continui a sgommare sul SUV, serve solo a metterti in pace la coscienza senza fare nulla per il pianeta. Anche perché poi “Underwater” termina con una bella esplosione, la risposta Yankee a tutti i problemi del pianeta, quindi più Trump che Thunberg a ben guardare.
I film devono raccontare storie, avere personaggi ben caratterizzati per cui viene voglia di fare il tifo (Ripley in Aliens) e poi se mai, avere una lettura di secondo livello (il discorso sulla maternità di Ripley in Aliens) a renderli più di semplice intrattenimento ben fatto. Prima di pensare a veicolare, pensate a fare film che funzionino con personaggi validi cazzarola!
IL BRUTTO – Sonic Il film (2020)
Ve lo ricordate che orrore era il trailer di “Sonic”? No, lo chiedo a voi perché io mica l’ho visto, so solo che ha scatenato un putiferio, persino quel videogiocatore incallito di John Carpenter si è espresso sull’argomento, e lui di orrori è esperto!
L’argomento è forse più interessante del film stesso, dopo le prime reazioni inorridite dal web, la Paramount Pictures è corsa ai ripari modificando il design abbastanza “topesco” del personaggio, in favore di qualcosa di più simile al porcospino blu del celebre videogioco. Un’enorme vittoria da parte del popolo nerd, che quanto è ora di insorgere per le ragioni davvero importanti dell’umanità, non si tira mai indietro, e fa roteare le dita sulle tastiere più velocemente di Sonic. Eroi!
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Sonic, prima e dopo i piagnist… Ehm la cura. |
Una tale operazione è stata anticipata come un flop assicurato per il film, anche perché rifare la post-produzione costa di solito due soldini. Risultato finale? Il più grosso incasso per un film tratto da un videogioco (storia vera). Paramount felice, nerd contenti, gli Yankee direbbero: win-win situation.
Si ma il film? Ecco, Sonic con la sua super velocità ha sorpassato al botteghino “Detective pikachu” (2019) che era stupidino e riuscito in parti uguale, chiaramente un film per i più piccoli che riusciva ad essere divertente e con un ritmo più che decente, ma in cui soprattutto l’animazione tra umani e personaggi realizzati al computer era efficace quel tanto che bastava, da poter rendere credibile un mondo abitato da umani e Pokémon.
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Mostrare i Nunchaku in un film e non utilizzarli, dovrebbe essere illegale. |
Ecco questo colpo a “Sonic – Il film” non riesce affatto, malgrado il nuovo design il porcospino blu che per tutto il tempo interagisce con personaggi umani, sembra scollato rispetto al resto del cast, il fatto che alcuni lo scambino per uno strambo umano con una maschera (come succede quando lui e James Marsden si infilato in un locale riservato al country che mi ha fatto rimpiangere tantissimo il Bob’s Country Bunker, di un certo film di John Landis), è assolutamente non realistico se avete più di cinque anni di età. Ma considerando l’enorme successo al botteghino, ho dei seri dubbi sul fatto che tutti i soldi incassati arrivassero solo dai più piccoli (e dai loro accompagnatori adulti), davvero il fascino di un film tratto da videogames è così alto? Fino ad oggi non sembrava proprio fosse così.
Il film esaurisce tutte le sue idee abbastanza presto, usando i celebri anelli di Sonic nella presentazione del logo della Paramount Pictures potremmo dire. Sonic vive sul suo pianeta natale da cui è costretto a fuggire perché inseguito da alcuni porcospini corazzati interessanti quel tanto che basta, da scomparire per sempre dalla storia dopo tre secondi. Vorrai mai inventarti un’iconografia attorno ad un personaggio il cui obbiettivo nel videogioco era quello di correre forte raccogliendo quanti più anelli possibili? Ma va! Anzi no peggio, lo hanno fatto!
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Pensare che il cartone animato non era male, Sonic correva nel suo mondo, forse per quello funzionava! |
Qual è la storia migliore che hanno pensato per un personaggio così? Facile, lo facciamo fuggire sulla Terra per effetto dei suoi anelli magici, i cui poteri restano un enorme potenziale inutilizzato, e gli facciamo fare amicizia con lo sceriffo di provincia James Marsden e la sua bella moglie Tika Sumpter. Non sentivate anche voi la mancanza di un altro film americano contemporaneo che parla dell’importanza di avere una famiglia, anche una surrogata in cui essere amati e accettati? Ma che tema originalissimo! Sarà il trentottesimo film così che ho visto solo quest’anno. E siamo solo a Marzo.
A minacciare la pace della famigliola, un baffuto Jim Carrey nella parte dell’eccentrico ma geniale dottor Robotnik, uno che con le fredde macchine pensa di poter essere più forte del protagonista e della sua famiglia (come dite? Hobbs & Shaw? Ve l’ho detto che è un film originalissimo pieno di tematiche fresche). Sono molto felice che Jim Carrey abbia superato il grave problema di depressione che lo affligge da anni, ci sta il film per tornare nel giro e portare a casa un bell’assegno, di sicuro qui è stato molto professionale, anche se sembra il grande attore nel ruolo ingrato di turno. Ad ogni sua apparizione in scena non riuscivo a non pensare a Robert De Niro in “Le avventure di Rocky e Bullwinkle” (2000).
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Ace Ventura, l’acchiappa porcospini. |
Ma poi io voglio dire, vuoi fare un film per bambini? Mettici dei bambini come protagonisti! Non James Marsden che per altro è recidivo, visto che si trova di nuovo a dividere lo schermo con un personaggio animato in CGI, proprio come accadeva nel non proprio irresistibile “Hop” (2011), di cui questo “Sonic” per lunghi tratti sembra un remake non autorizzato, che altrettanto, indebitamente, ha preso possesso della scena di Quicksilver, quella di “X-Men – Giorni di un futuro passato”, in cui tutti sembravano fermi e lui, correndo a super velocità, ne combinava di tutti i colori. Qui è lo stesso, questo film fiacco si gioca lo stesso trucco due volte, insomma più che un film sembra la fiera del riciclo!
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“beh, la sceneggiatura è quella di Hop, solo che recito con un porcospino invece che un coniglio” |
Il fatto che abbia incassato così tanti soldi, mi dà l’ennesima conferma (non richiesta) del fatto che Hollywood sforna film innocui che vanno bene per un pubblico dai sei ai sessant’anni, e il pubblico se li gode felice. Ma forse sono solo io che sono sempre stato più strambo del dottor Robotnik.
Il bello di Sonic (avevo il giochino sul telefono, ed era una figata) era il suo non avere una storia, si trattava solo di correre forte, evitare nemici e acchiappare anelli d’oro, perché questa mania di dare una logica razionale a qualcosa che funzionava benissimo senza? Il mondo di Sonic era più affascinante visto sullo sfondo a super velocità che in questo film, che si sofferma solo sulle parti più banali. Il prossimo che si lamenta di Ralphspacca-internet dovrà risponderne a me!