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Il Triello – il buono, il brutto, il discreto: Outside the wire, Archenemy e Quella notte a Miami…

Torna il collaudato formato inventato da Quinto Moro, oggi il Triello affronterà tre film del 2021, uno buono, uno decente ed un altro decisamente brutto. Se volete potete leggere tutto facendo lo sguardo da Clint Eastwood.

IL BUONOQuella notte a Miami… (2021)

La pièce teatrale adattata per il grande schermo è una tradizione cinematografica con illustri precedenti, solo per sparare due nomi (grossi) basta pensare a “Carnage” (2011) di Roman Polański oppure “Festa per il compleanno del caro amico Harold” (1970) di Billy Friedkin. Regina King, l’attrice che abbiamo ammirato recentemente nella miniserie Watchmen, per il suo esordio cinematografico ha deciso di adattare un lavoro di Kemp Powers del 2013, un dramma da camera (d’albergo) liberamente ispirato a fatti reali, la storia di una notte di festeggiamenti, che diventa una presa di coscienza per quattro figure chiavi della cultura afroamericana: Malcolm X (Kingsley Ben-Adir), Cassius Clay (Eli Goree), il campione della NFL Jim Brown (Aldis Hodge) e il cantante Sam Cooke (Leslie Odom Jr.).

«Vola come una farfalla e pungi come un ape», «Ok ricevuto, ape farfalla, facile»

Regina King dirige “la meglio gioventù” degli attori di colore disponibili al momento, una nuova generazione di giovani “Denzel” (se non fosse chiaro, è un complimento) che sono letteralmente uno meglio dell’altro, assegnati in modo impeccabile al loro celebre personaggio, i quattro attori regalano prestazioni di gran classe, non semplici imitazioni (penso soprattutto al più sopra le righe di tutti, Cassius Clay). Quello che funziona alla perfezione in “One night in Miami…” è il ritmo, che resta bello alto per tutta la durata del film, 115 minuti in cui si passa da un dialogo all’altro, a volte seguendo il flusso di coscienza dei personaggi che non sono scritti bene, sono scritti benissimo, perché quei dialoghi filano via come le belle canzoni di Sam Cooke che fanno da sottofondo, e se siete appassionati di grandi momenti musicali nei film, il complicato concerto del cantante a Boston, da solo vale il prezzo del biglietto dello streaming su Prime Video, vedere per credere.

«Ehi! La conoscete Minnie l’Impicciona?», «Io conoscevo una certa Minnie la battona»

Il rischio quando si adatta una pièce teatrale è sempre quello di adagiarsi sul lavoro già pronto, lasciando il “lavoro sporco” agli attori, Regina King al primo film si dimostra una regista con le idee cinematografiche molto chiare, il suo “Quella notte a Miami…” è un film circolare, presenta i quattro illustri personaggi pescati in un momento ben poco scintillante della loro vita e delle rispettive carriere, per concludersi dopo 115 minuti, con un finale in cui da spettatori, lasciamo andare via questo personaggi che ormai conosciamo così bene, però in un momento chiave delle loro vite, forse il momento per tutti in cui hanno deciso di fare la differenza nel mondo, che non è altro che il frutto di quella notte, che avrebbe dovuto essere solo la festa per la vittoria di Cassius Clay, ma è diventata una tappa importante per l’evoluzione di quattro uomini che un segno lo hanno lasciato per davvero.

Ad inizio film Clay va al tappeto per eccesso di boria contro Cooper, Malcolm X è ad una svolta, se non proprio alle strette, con il resto della nazione Islamica, Sam Cooke ha scelto il pezzo sbagliato per il suo prestigioso esordio al Copacabana mentre Jim Brown avrà anche messo il suo nome accanto a tutti i record personali, ma gli manca ancora l’ultima vittoria in campionato e soprattutto, non viene invitato in casa dal proprietario della squadra Mr. Carlton (Beau Bridges), perché comunque voi neri, tornate buoni a spaccarvi le ossa sul campo da Football, ma in casa non entrate.

Eravamo quattro amici in albergo, che volevano cambiare il mondo (quasi-cit.)

La parte banale da scrivere quando si tratta un film come “Quella notte a Miami…” nel 2021 è buttarla sull’argomento facile (che facile poi non è) del movimento “Black Lives Matter”, ma a questa Bara non interessano i discorsi banali, anche se di norma qui trattiamo film dove la gente di mena e fa esplodere le cose (oppure si mena e poi esplode), se un film è dannatamente buono come questo, può funzionare anche con quattro personaggi in una stanza d’albergo semplicemente impegnati a parlare, e il film funziona non perché sia un “santino” dedicato alla persone di colore, ma perché i personaggi sono rappresentati come vorrei sempre vedere dei protagonisti al cinema: sfaccettati, realistici, con dei pregi e dei difetti proprio come voi ed io, voi quando si tratta di pregi, io per i difetti. Un film può affrontare un argomento sociale, anche uno torrido come la disparità di trattamento che le persone di colore sono ancora costrette a subire, e può farlo non per “buonismo” (parola che ormai odio, perché viene utilizzata a casaccio), ma perché la storia ha davvero qualcosa da dire, i personaggi arrivano al pubblico, anche quello bianco, perché sono scritti bene, interpretati meglio e caratterizzati come vorrei sempre vedere in un film. Se avrete voglia di leggere tra le righe, qui trovate anche tutto quello che penso sulla “dittatura del politicamente corretto”, frase da leggere mimando le virgolette con le dita e possibilmente facendo una vocetta fastidiosa.

Non serve leggere tra le righe invece, questo ve lo dico proprio chiaramente, “Quella notte a Miami…” affronta la storia di un incontro talmente finto, da poter essere quasi avvenuto per davvero, sarà pure tratto da una pièce teatrale ma è cinema al 100%, ne abbiamo sempre bisogno, in tutti gli angoli del pianeta e con ogni sfumatura di colore di pelle possibile. Inoltre questo film raduna tante vecchie glorie da “The Wire” e almeno uno dei Soprano, davvero non si poteva chiedergli di meglio.

IL DISCRETOArchenemy (2021)

Adam Egypt Mortimer ormai è l’uomo del Triello, il suo Daniel Isn’t Real era già stato ospite di questo formato e per certi versi l’uomo che qui alla Bara ormai è stato ribattezzato Adamo Egitto Mortimer, continua a fluttuare in quello stato tra il sonno e la veglia, tra il giorno e la notte, tra i film buoni ma non buonissimi. Il suo “Archenemy” ha tante idee, non tutte sviluppate benissimo ma ha anche il merito di offrire uno sguardo sui famigerati “Cinecomics” lontano dalle grandi casa di produzione piene di soldi e note al mondo per un buffo Topo con i guanti e i braghini rossi.

Una delle parti d’animazione del film, che così sembra il test di Rorschach a colori.

“Archenemy” non è tratto da un fumetto, ma ha tutta l’aria di esserlo, comincia con una scena d’animazione che racconta le origini del protagonista, il roccioso Max Fist (Joe Manganello, che non ricorda per nulla i suoi ruoli analoghi) un eroe super forte, armato di un potente pugno distruttivo e avvolto in un colorato mantellino, che nel suo mondo di origine, protegge la città di Chromium dal suo arci nemico, Cleo Ventrik (Amy Seimetz). Per impedire alla sua storica rivale di utilizzare la solita arma MacGuffin, che a ben guardarla ricorda anche il disco/fresbee di memoria di “Tron”, Max apre un portale spazio dimensionale e precipita nel nostro mondo, lontano dalla fonte del suo potere, vagabonda in una città americana qualsiasi (il film è stato girato nel New Mexico), ubriaco come una scimmia sul ponte di una nave pirata, per via della sua diversa biologia a quanto dichiara Max, che racconta la sua assurda storia a chiunque sia disposto ad ascoltarlo, magari offrendogli da bere, nei peggiori locali della città.

Chromium sembra la Astro City di Kurt Busiek, però disegnata dagli animatori di Tron, i flashback sulle vite dei personaggi sono animazioni dai colori lisergici, uno stacco netto con il nostro mondo, brutto, sporco e popolato di loschi figuri, in cui Max Fist sembra grossomodo la versione seria di “Hancock” (2008) di Peter Perg, che a sua volta era già uno sguardo alternativo sui “cinecomics”, proprio mentre il famigerato sottogenere stava esplodendo al cinema.

«Dimmi che non ci ha appena paragonati ad Hancock», «Poteva andarci peggio amico credimi»

Siccome ogni eroe, anche il più ubriaco, deve avere una spalla, il ruolo tocca ad Hamster (Skylan Brooks) un aspirante giornalista e scrittore, che ama immergersi nei guai e nelle sue storie come faceva Hunter S. Thompson, ma a cacciarsi nei guai per davvero sarà sua sorella maggiore Indigo (Zolee Griggs), invischiata in una storia di carriera musicale e spaccio di droga, con un paio di tipacci come lo sballatissimo spacciatore Krieg (il comico Paul Scheer) e il suo Manager di nome, beh “The Manager” (Glenn Howerton), perché in un film che strizza l’occhio ai fumetti di super eroi, ci sta che il cattivo abbia come nome un titolo.

A questo punto lui avrebbe dovuto chiamarsi “The Spalla”.

Badate bene, l’ironia dal film è quasi completamente bandita, oppure affidata tutta a Paul Scheer, l’idea che mi sono fatto di Adamo Egitto Mortimer è che nei suoi film il senso dell’umorismo venga spesso lasciato fuori dalla porta in favore di momenti molto artistici, qui rappresentati dai flashback animati sulla città di Chromium, prendere o lasciare. Quindi “Archenemy” finisce nella categoria “Discreto” perché ha dei numeri, ma non certo un ritmo scoppiettante, ci mette parecchio a scaldare i motori e basta dire che per vedere l’arci nemica del titolo, bisogna superare la metà abbondante della pellicola, anche se l’attesa vale, perché Amy Seimetz è bravissima e ruba la scena a tutti.

Foto a casaccio di Joe Manganiello per le lettrici della Bara (tutte e sette)

Nel finale il film scivola verso le dinamiche da film di gangster, in maniera anche fin troppo canonica, inoltre, malgrado i tentativi di depistaggio, nemmeno per un momento come spettatori finiremo a credere che Max non provenga per davvero da un mondo parallelo, sul fatto che abbia per davvero dei super poteri forse, ma sulle sue origini mai. Quindi il gioco di “Archenemy” non funziona completamente, ma resta comunque affascinante, senza rovinare la visione a nessuno posso comunque dire che il sospetto che tutto sia una balla (alimentata dall’alcool) di Max serpeggia, ma resta sul fondo della trama e questo è un peccato perché avrebbe potuto rendere il film molto più sfaccettato e interessante. Dove funziona “Archenemy” è nella sua riflessione sul potere, Max agisce nel giusto? Nel nome di un bene superiore tutto viene legittimato? I fumetti di super eroi ci insegnato che il confine tra l’eroe e la sua nemesi spesso è molto labile, in quella zona grigia il film di Mortimer vive e prospera, anche perché di film tratti da fumetto ne abbiamo visti tanti e ne vedremo ancora al cinema, ma pochi hanno saputo essere davvero fumettistici come invece “Archenemy” riesce per lo meno ad essere in svariati momenti. Ecco, se poi non avesse avuto l’incedere di un noir svedese sarebbe stato meglio, fumetti Adamo, fumetti! Veloci da leggere, ritmati, insomma forse dovresti leggerne qualche altro mi sa.

IL BRUTTOOutside the Wire (2021)

Ve lo dico subito, non si tratta di un documentario sulla realizzazione della più grande serie tv del mondo (“The Wire”), ma è il nuovo film di Mikael Håfström (salute!) che dopo aver tentato e fallito con l’horror di “1408” (2007) “Il rito” (2011), si è accasato con i film d’azione e dopo il solido “Escape Plan – Fuga dall’inferno” (2013), ha deciso di utilizzare i soldini di Netflix per produrre un film che a differenza di quello con zio Sly e Arnold, che strizzava l’occhio all’azione vecchia scuola, qui ha preferito risultare semplicemente vecchio e stantio.

Nel 2036 il solito terrorista cattivo Victor Koval (Pilou Asbæk), minaccia di utilizzare le armi atomiche sovietiche ancora nascoste in Ucraina per fare cose e vedere gente, perché la premessa è questa: pensavate davvero che i Comunisti avessero disarmato le loro testate nucleari? Ci hai creduto faccia di velluto!

«Tu sei Viktor Rosta?», «No sono Victor Koval», «Allora non m’interessa grazie lo stesso»

Gli americani che il vizio della guerra non l’hanno perso nemmeno nel 2036 (che d’altra parte è dopodomani) in battaglia utilizzano dei droni chiamati, qualcosa tipo Gump non ho capito bene, costruiti da una multinazionale che se tanto mi dà tanto, dovrebbe chiamarsi “Bubba Gump Gamberi Corporation” o qualcosa del genere, ma che cacchio ne so e in fondo chissenefrega, perché tanto a pilotarli a comoda distanza di computer ci pensa il tenente Thomas Harp (Damson Idris), che dopo aver disubbidito ad un ordine diretto, perde solo due Marines salvando tutti gli altri da morte certa, ma invece di una medaglia tutti, anche il suo supervisore Michael Kelly orfano di House of Cards, gli ripetono «hai disubbidito ad un ordine diretto!» e invece che a Bel-Air, lo mandano al fronte, lontano dal suo computerino (così abbiamo spiegato anche il titolo “Outside the wire”), sotto l’ala protettiva del capitano Leo, il soldato interpretato da Anthony Mackie… avete capito? Ala protettiva, perché lui altrove interpreta Falcon. Ok, la smetto! 

«Buongiorno sono Thomas, come posso aiutarla?»

Falcon Leo è un androide avanzatissimo con un corpicino di plastica trasparente e delle lucine da albero di Natale (!) per altro realizzato in CGI davvero brutta e in linea con il resto del film, ovvero già vecchia. Leo è stato creato nero per non sembrare il solito Capitan America ariano della situazione, vi assicuro che quando nel film il povero Anthony Mackie viene costretto a recitare questo dialogo esplicativo, ho pensato al super androide Leo, che non può guidare un’auto di lusso senza essere fermato dalla polizia e che magari si ritrova anche un ginocchio sul collo, ma per non spaventare l’americano medio eh?

Fatemi sorvolare invece sul ruolo della resistònsa come la chiama Lucius citando “Top secret!” (1984), da quando me lo ha fatto notare mi rendo conto che i combattenti per la resistenza nei film americani sembrano tutti fatti con lo stampino e usciti dal film di Zucker-Abrahams-Zucker.

I personaggi sono talmente insipidi che non vale nemmeno la pena perdere tempo con un film così, Anthony Mackie dimostra enorme professionalità caricandosi sulle spalle un film davvero di poco conto, in cui Mikael Håfström (salute!) si impegna tutto a dirigere scene d’azione che quando arrivano, sono troppo brevi per svegliare lo spettatore del torpore in cui è sprofondato, anche perché basta mezz’ora per capire chi tradirà chi e soprattutto, se nel primo atto del film parli di armi nucleari Sovietiche, non ci vuole uno stratega militare per capire che nell’ultimo atto, quelle stesse armi come la pistola di Čechov, dovranno essere utilizzate in qualche modo, capire contro chi è semplicissimo, ma il modo in cui ci viene ribadito mi ha fatto cadere le braccia a terra. SPOILER: Non erano le braccia.

Almeno a lui le braccia le hanno sostituite con arti bionici, devo fare richiesta anche io?

Il modo quasi ossessivo con cui tutti i personaggi ripetono frasi banali come «Gli Stati Uniti devono capire il concetto di danni collaterali» e varianti varie, fa sembrare “Outside the wire” un film del boh? 2005? Una banale critica all’amministrazione Bush? A quella Reagan visto che si parla di armi nucleari? Insomma un film nato vecchio, noioso, troppo lungo in cui ancora una volta, avere un “Super” come protagonista, non si traduce in scene d’azione altrettanto grandi.

Ricollegandomi al discorso fatto lassù per “Archenemy”, sarebbe bello vedere film con super eroi in grado di affrontare anche gli argomenti etici legati all’uso dei super poteri, che lo facciano però in maniera credibile, nobilitando un genere nato per intrattenere i ragazzini. Allo stesso modo mi piacerebbe che qualcuno fosse così sveglio da capire che se hai personaggi che possono sparare fulmini dal culo e divorare le pallottole in volo, non sarebbe male preparare per loro della coreografie di lotta e di combattimento adatte ai poteri che vediamo sullo schermo, invece di “Super” questo Leo, ha solamente un corpo di plastica che per altro sembra rubacchiato da Ex machina, realizzato in brutta CGI ma per il resto, fa mosse e mossettine che potrebbe fare qualunque altro soldato umano. Insomma la noia, la bruttezza ma soprattutto il tempo perso a guardare un film che per fortuna, ho già cominciato a dimenticare, almeno i miei neuroni sanno ancora fare il loro lavoro di pulizia come si deve.

Sepolto in precedenza mercoledì 20 gennaio 2021

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