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Il Triello – il buono, il brutto, il discreto: Gemini Man, La famiglia Addams e Yesterday

Visto che avete gradito il formato inventato da Quinto Moro, ho deciso di usare anche io il Triello per parlarvi di tre film del 2019, uno buono, uno decente ed un altro decisamente brutto. Se volete potete leggere tutto facendo lo sguardo da Clint Eastwood.

IL BUONO
La famiglia Addams (2019)
«Guarda querida, una Bara Volante, non trovi che sia romantica?»

Guardate un po’ lassù il nome del blog? Secondo voi ad uno che ha un blog con un nome così, potrà mai piacere la famiglia Addams? Certo che sì! Da appassionato di fumetti ho sempre amato le strisce (come direbbe Lapo Elkann), quella creata da Charles Addams è un vero classico, perché sapeva  guardare con umorismo nerissimo al classico “American way of life”, però come avrebbe potuto fare qualunque appassionato di robe horror e macabre, con un particolare talento per il disegno e le battute fulminanti.

Il New Jersey è una palude nebbiosa e anche un po’ lugubre, Addams viveva e lavorava nel Jersey e i personaggi che ci ha regalato, sono tutti vagamente ispirati alla sua famiglia, altro motivo per cui lo sento molto vicino a me, vi dico solo che nell’albero genealogico dei Cassidy, abbiamo uno zio Fester, identico, lampadina compresa (storia vera).

Ogni famiglia ha uno zio Fester (anche se magari non lo sa)

A riportare la famiglia Addams al cinema ci pensano Greg Tiernan e Conrad Vernon, che sono i due matti che ci hanno regalato quella follia di “Sausage Party”, insomma due che ti aspetti si comportino come guastatori mandati dietro le linee nemiche con il coltello tra i denti e la missione di sabotare l’animazione per bambini, come un tempo faceva Mercoledì Addams con il campo Chippewa. Anche se al netto dei risultati tutta questa anarchia manca anche un po’.

Anche se il cugino Itt doppiato da Snoop Dogg resta una trovata bella matta.

Fin dai primi minuti del film è chiaro l’amore di Greg Tiernan e Conrad Vernon per i personaggi creati da Charles Addams, infatti l’inizio del film vede i novelli sposini Gomes (Oscar Isaac, da noi invece il solito Pino Insegno) e Morticia (Charlize Theron e Virginia Raffaele, due che il personaggio potrebbero anche interpretarlo oltre che doppiarlo) sono in fuga non d’amore, ma degli umani che li cacciano con torce e forconi, dove possono andare a rifugiarsi i mostri? Facile, nel New Jersey!

L’antefatto del film è una specie di racconto delle origini dei personaggi e della loro celebre e spettrale casa, il tutto prima che Lurch e Mano si mettano a suonare all’organo la celebre sigla (con schiocco ritmato delle dita) che fa parte del mito della famiglia Addams.

«Makeover America great again!»

L’animazione è accurata e tiene conto dell’aspetto dei personaggi, proprio come li disegnava Charles Addams, con Gomez tracagnotto e di certo non slanciato come il compianto Raul Julia. Ma in generale il film è fedelissimo a tutta l’iconografia degli Addams, ad esempio Mano è libera (o libero? Mai capito) di muoversi come faceva nei film di Barry Sonnenfeld, e proprio come nel secondo capitolo del 1993, Mercoledì Addams si prende il palcoscenico, perché Greg Tiernan e Conrad Vernon fanno gli scemi ma non sono stupidi, lo sanno che Mercoledì ancora oggi è un generatore continuo di Meme su Internet, quindi la sua popolarità va cavalcata.

Ma a ben guardare ci sono anche numerose strizzate d’occhio alla serie in bianco e nero degli anni ’60, basta dire che il film termina con i protagonista in posa tipo foto di famiglia, a schioccare le dita a ritmo di musica, proprio come facevano Carolyn Jones, John Astin e tutti gli altri nella sigla della vecchia serie.

Tanto lo so che nella vostra mente risuona solo questa.

La trama è semplice ma chiarissima, e a ben guardare parecchio calata nella nostra (stramba) quotidianità: Margaux Needler con il suo ciuffone di capelli alla “The Donald” è la presentatrice di un reality show, uno di quelli dove vecchie case vengono rifatte da nuovo come se restaurare casa fosse uno spasso (fatelo, poi ne riparliamo), il suo piano è quello di allargare a macchia d’olio la colorata e puccettosa cittadina di Assimilation (nomen omen) in cui tutto e tutti sono allineati, monitorati e indossano colori pastello, tutti, tranne gli Addams!

Il problema di scontrarsi con un mondo che ti vede come uno stramboide, è ben rappresentato dalla giovane Mercoledì (Chloë Grace Moretz) e la sua nuova scuola, si sa che l’adolescenza è un casino per tutti ed ognuno la affronta a suo modo, la nostra Mercoledì lo fa instaurando un amicizia con la figlia ribelle di Margaux, Parker Needler e soprattutto citando il Rorschach di Watchmen, quando le compagne più popolari le rompono le balle: «Non sono io rinchiusa qui con voi, siete voi rinchiusi qui con me».

Citazioni, le state facendo bene.

Insomma questa nuova incarnazione animata della famiglia Addams è un film spiritoso, ha il gusto per la citazione, per l’umorismo nero ed è in linea con l’iconografia dei personaggi. Difetti? Una certa spolverata di saccarosio sul finale, che conclude un po’ tutto a taralucci e vino, ma considerando il target di riferimento del film ci può anche stare. Non raggiunge lo spasso dei vecchi film di Barry Sonnenfeld, ma per quelli avremo tempo di parlarne, voglio molto bene ai due film degli anni ’90 e penso che non possano proprio mancare su questa Bara Volante.

IL DISCRETO
Yesterday (2019)
Eppure io la copertina di “Abbey Road” la ricordavo diversa.

“Un viaggiatore del tempo, amante di Beethoven, torna indietro nel tempo per conoscere il suo idolo. Lo cerca ovunque, […] ma non riesce a trovarlo. Fortunatamente aveva portato con se tutti gli spartiti da far autografare e, non potendo sopportare un’esistenza senza la musica di Beethoven, trascrive i brani e li fa pubblicare, diventando esso stesso Beethoven. La domanda è: da dove viene la Quinta di Beethoven?”.

Era così che il Dottore di Peter “Twelve” Capaldi ci spiegava il famigerato “bootstrap paradox” nell’episodio Before the flood. Che poi è proprio quello a cui ho pensato io, non appena ho scoperto che Danny Boyle era il regista di “Yesterday”, la storia di un ragazzo di origini indiane (perché il vecchio Danny da “The Millionaire” del 2008 non è più stato lo stesso) si risveglia dopo una brutta botta in un mondo dove nessuno ricorda i Beatles, tranne lui.

«Un gruppo musicale chiamato scarafaggi? Che idea stupida»

Himesh Patel interpreta Jack Malik, un giovane e spiantato musicista che non riesce a sfondare nel mondo della musica malgrado i vari tentativi, la sua unica vera fan è Ellie Appleton (la lanciatissima Lily James) che copre anche un po’ il ruolo di manager nonché di interesse amoroso, perché la parte sbaciucchiosa della trama richiede il suo tributo di sangue (o di baci, fate voi).

La forza di un film così è tutta nel suo soggetto, infatti Danny Boyle sfrutta tutte le situazioni divertenti che l’idea di un mondo senza i Beatles possono generare, ad esempio, non sono mai esistiti gli Oasis, il che forse non sarebbe stata tutta questa gran perdita. Si, mi piacciono i Pearl Jam e mi sto togliendo un sasso dalla scarpa.

«Salve, sono Ed Sheeran e vi annuncio il paragrafo dedicato a Ed Sheeran»

Il film è molto concentrato sulla sotto trama amorosa ma per assurdo l’elemento più divertente è rappresentato dall’entrata in scena dell’onnipresente Ed Sheeran nei panni di se stesso. Uno che prima cerca di collaborare con Jack per lanciare la sua carriera – e del rosso cantante l’idea di trasformare “Hey Jude” in “Hey Dude” vabbè, non tutti i paradossi escono con il buco – e poi di fatto finisce per paragonarsi ad Antonio Salieri davanti al nuovo Mozart della musica pop, uno che sforna canzoni geniali fatte e finite, in pochissimi minuti.

“Yesterday” ha proprio nella musiche dei Beatles, anzi, nel mito attorno alle musiche dei quattro di Liverpool, tutta la sua forza, è un film che potrebbe far più ridere di così e troppe volte scade nel banalotto e nel vagamente caramelloso (Jack ad un certo punto sente il dovere di fare visita ad uno, potete facilmente immaginare chi, ma vi dico subito che non è Ed Sheeran). Molto più interessante la sotto trama dei due tizi che seguono Jack, cercando di attirare la sua attenzione sventolando un piccolo sottomarino giallo, non sarà la porzione più interessante del film, ma per un fanatico delle storie a spasso nel tempo e dei paradossi alla Doctor Who come me si, e devo dire che la soluzione del mistero (così volutamente anti climatica) mi è anche piaciuta.

“Help” cantata sul tetto dal protagonista, come un vero grido d’aiuto, la scena migliore del film.

Insomma “Yesterday” è un diligente lavoro su commissione per quel vecchio punk di Manchester di Danny Doyle, addolcito dagli anni ma con un cuore che batte sempre per la musica, se amate i Beatles poi, dovreste vederlo beh, ieri.

IL BRUTTO
Gemini Man (2019)
«Sono vecchia!» / «Sono giovane!» (cit.)

1997, Darren Lemke si fa venire l’idea di un sicario con il suo doppio più giovane, ringiovanito dalla tecnologia resa disponibile dal cortometraggio Human Face Project. La regia del film viene proposta a Tony Scott, che guarda il corto, tira una boccata al sigaro e capisce che questa roba sul grande schermo sembrerà una pezzentata (storia vera), quindi preferisce portare una vera evoluzione alla post produzione digitale dirigendo Nemico Pubblico. Ci sarà un motivo se lui è lo Scott giusto no?

2019, Jerry Bruckheimer è l’ex re Mida di Hollywood, ancora ricco, ancora influente, anche se i tempi sono cambiati, ora i film bisogna produrli con i cinesi della Alibaba Pictures. Però ha l’uomo giusto, quello che lo ha sempre tirato fuori dai guai, regalandogli i suoi più grandi successi. Non fa in tempo a pronunciare il nome quando si ricorda che Tony, ormai non c’è più, gli viene un po’ di malinconia, e nel suo bicchiere di oro massiccio si versa della Vodka (versata da una bottiglia di oro massiccio), fatelo dirigere al primo Ang Lee che passa questo film.

«Ti vedo tutte le rughe da qui», «Levami quel coso dalla faccia!»

Lo dico a scanso di equivoci, a me il cinema di Ang Lee piace, ha avuto la sfiga di essere diventato famoso con il Wuxia per chi non sa cosa è un Wuxia intitolato “La tigre e il dragone” (2001), ma è uno a cui piace pasticciare con le nuove tecnologie lo ha dimostrato con Hulk e “Vita di PI” (2012) che sono due film che ho apprezzato molto, al netto dei tanti difetti. Ma la questione qui è un’altra, se tu guardi un film così, è impossibile non pensare ad un “Face/Off” (1997) in versione 2.0, quindi è chiaro che forse John Woo sarebbe stato più a suo agio con una pellicola di questo genere.

Ma parliamoci chiaro, se tu chiedi ad un grandissimo regista, che sia Tony Scott, Ang Lee oppure John Woo, di dirigere il nulla con tecnologia digitale di nuova generazione, non è che potrà proprio venire fuori un bel film, il nulla resta il nulla e “Gemini Man” questo è, il nulla condito dal niente, al massimo, farcito dall’egocentrismo di Will Smith, insomma un disastro annunciato.

Perché solo Will Smith può sparare a Will Smith.

Partiamo proprio dalla tecnologia, il 3D+ consiste in 3D nativo sparato a 120 fotogrammi al secondo, il risultato finale è strano, lo so che è una parola un po’ vaga ma non riesco a spiegarlo meglio. Strano perché siamo abituati a veder mentire la macchina da presa a 24 fotogrammi al secondo (parafrasando Brian De Palma), quindi se la velocità si moltiplica di colpo di cinque volte, quello che ci troviamo davanti sarà anche più fluido e forse più vicino alla realtà, ma sembra più finto, e visto che oggi sono in vena di citare i grandi: «È buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo» (cit.).

Condita dal nulla che è la trama di “Gemini Man” (per tutto il tempo pronunciato GeminAAAAI da un doppiaggio più svogliato di Clive Owen in questo film), la tecnologia di ringiovanimento utilizzata per creare il secondo Will Smith ventenne, resta poco più di una bella vetrina, anzi nemmeno tanto bella perché il film è fiacco e anche parecchio palloso, quindi forse sarebbe stato meglio girare un cortometraggio di pochi minuti, e fare tutti una figura migliore. Un po’ come per la “Deep fake”, che ha fatto parlare di se rendendo Last Action Hero un po’ più reale, oppure facendo recitare Jim Carrey in Shining.

Come la tecnologia ha trasformato Will Smith in Andy Serkis Willy il principe triste di Bel-Air.

Vedere Will Smith recitare ed interagire con il giovane Will Smith è straniante, percepisci il potenziale di questa tecnologia, ma siccome il giovane Willy non ha il cappellino con la visiera alla rovescia in stile “Principe di Bel-Air” è difficile credergli. In compenso Ang Lee si sarà anche divertito a giocare con tutte queste belle trovate nerd disponibili, ma resta un pesce fuor d’acqua alle prese con una trama risibile.

Will Smith (con le rughe) è il solito più grande sicario del mondo, di fatto è il Deadshot di Suicide Squad senza tutta la zavorra del figlio, ma trattandosi di Smith, la questione paterna nei suoi film non può mancare. Quindi si ritrova a fare da padre ad una versione più giovane di se stesso, un suo clone. Una roba che avrebbe fatto fregare le manine a Sigmund Freud, al cinema è andata male con quella pippa di Jaden? Nessun problema, sarò il padre di me stesso. Insomma un caso da manuale di: Io sono mio padre!

Sigmund Freud, analyse this.

“Gemini Man” (detto GeminAAAAAI Man) è un film con il fiato già corto, in cui le scene d’azione Ang Lee prova anche a girarle, ma non si sente affatto a suo agio, e l’inseguimento in moto che è un classico che John Woo potrebbe girare bendato e con una mano dietro la schiena, per Lee è un passaggio obbligato, tipo pranzo con i parenti a Natale, ma appesantito dal 3D+ e non dalla terza razione di cappone condito. I due Smith combattono, saltano, si muovono come se non avessero massa, peso e consistenza, persino i cartoni animati risultano più concreti, il che è tutto detto.

Il veicolo di Supergiovane è un motorino elaborato Pinasco, ma privo della ruota davanti, la quale costituisce un peso inutile, dato che SG è in impennata perenne (cit.)

Per il resto Ang Lee dirige tutti i dialoghi del film, come se fossero l’ultima scena di “Vita di PI” (2010), nessuna musica in sottofondo, attori che si muovono pochissimo con l’aria dimessa. Una scelta che per l’ultima scena del suo film del 2010 era perfetta, perché si trattava della confessione del protagonista, aveva un senso concludere un film così colorato con un momento tanto spoglio, ma qui? Che senso ha? Vi dico solo che persino quella meraviglia di Mary Elizabeth Winstead, una che buca lo schermo anche in televisione, qui sembra la vostra compagna di classe che veniva sempre a scuola in tuta, e che per altro vi faceva il culo durante l’ora di ginnastica, con il problemino che la scena d’azione che la vede protagonista è imbarazzante.

Lei e Will Smith sparacchiano contro avversari che sparano più storti degli Stormtrooper imperiali, ma in compenso saltano fuori dai loro nascondigli, solo con il preciso intento di lanciarsi sulla traiettoria delle pallottole sparate dai protagonisti. Una roba di un imbarazzo che non vi dico.

«Visto? Loro saltano fuori e PEM! Come pesci in un barile»

Roba che a confronto i gemelli Chad e Alex Wagner interpretati entrambi da Jean-Claude Van Damme, sembravano più futuristici di tutta questa tragedia portata su pellicola, anzi il primo che prova a criticarmi “Double Impact” (1991) giuro che lo costringerò a vedere e rivedere “GeminAAAAAAAI Man” a ripetizione stile cura Ludovico.

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