Il formato a tre titoli inventato da Quinto Moro al servizio del mese di ottobre, sempre piuttosto pieno
di titoli Horror. Oggi affronterò tre titoli tutti del 2020, uno buono, uno
decente ed un altro decisamente brutto, anche se lo ammetto candidamente, ho
pasticciato con le categorie perché a questi tre film andavano un po’ strette.
Cominciamo!
Stanis La Rochelle (L’horror Italiano troppo poco Italiano)
Il legame (2020)
Lo trovate comodamente su Netflix, nel cast vedrete
spuntare Riccardo Scamarcio e questo per me, già qualifica il film come un
Horror. L’esordio alla regia di Domenico de Feudis promette di portarci tra le
tradizioni dell’Italia del Sud, perché il legame del titolo è quello che le nostre
nonne chiamavano più comunemente malocchio, ma prima di iniziare a pensare ad
un certo film con Lino Banfi, prestate ancora un momento attenzione alla trama.
Francesco (Scamarcio) guida non un vecchio maggiolone Volkswagen,
anche se nel corso del film l’attore le proverà tutte per passare per il Jack
Torrance della situazione. In auto con lui la moglie Emma (Mia Maestro) e la
figlia Sofia (Giulia Patrignani), si va tutti “Giù al Sud” per una bella
vacanza in famiglia, alcuni dei migliori horror del mondo cominciano proprio
così.
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“Non hai mangiato niente bella di nonna, stai sciupata, mangia!” |
Ecco, “Il legame” non è certo tra i migliori, perché
molto presto lo sceneggiatore Daniele Cosci rende fede alla sua storia di
esorcismi, facendosi possedere dallo spirito dello Stanis La Rochelle di
“Boris”. Con il terrore di fare un film troppo Italiano, comincia a pensare a
piene mani da tutti i film che avete visto di recente, mandando in vacca la
premessa, ovvero quella di proporci un “Gotico Pugliese” basato sul folclore
locale, che sarebbe stato di sicuro più originale. Registi come Justin Benson e Aaron Moorhead vengono
in uno strambo Paese a forma di scarpa, a farsi ispirare dai luoghi e dalla
storia per fare un Horror e noi che potremmo farlo giocando in casa cosa
facciamo? Ci mettiamo a scimmiottare il J-Horror? Con personaggi che si tirano
fuori dalla bocca intere ciocche di capelli come in un The Ring qualunque? Madornale errore (cit.).
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“Smarmellaimo la fotografia come al solito e portiamo a casa questa scena” |
Recentemente mi è capitato di vedere “The Vigil” (2020), che non è il rifacimento americano di un film con Alberto Sordi, ma una storia
di fantasmi ambientata durante una veglia funebre, un horror tutto basato sul
non mostrato, con un’atmosfera che non fa meschino utilizzo di “Jump Scare”
(anche noti come “Salto paura”), ma pesca a piene mani dalla tradizione ebraica.
Il film di Keith Thomas non è proprio il campione del mondo di brio, però è un
ottimo esempio di come portare al cinema storie ben radicate nel folclore
locale. “Il legame” poteva essere molto migliore di “The Vigil”, che però è
stato per lo meno più onesto nel rappresentare sullo schermo quello che
prometteva.
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Diciamo che oggi è un Triello e mezzo… |
Gran peccato, perché superato l’impatto iniziale di
vedere Scamarcio e la sua moglie “latina”, che porta subito il film in zona “Il
ciclone” (1996) di Pieraccioni, poi Domenico de Feudis si conferma un regista
abilissimo e con un ottimo occhio per la regia. Ma si ritrova incastrato in una storia che
scivola presto nella noia del già visto, con uno Scamarcio sceso dal letto convinto di
essere Jack Nicholson, forse è lui il vero Stanis La Rochelle. Per la prossima
volta caro Domenico, più Pupi Avati e meno “Boris” ok? Dai che sei bravo, dai!
IL DISCRETO
IL BAMBINO (L’horror per iniziare le nuove generazioni)
Vampires vs. the
Bronx (2020)
Il Bronx è un quartiere decadente, dove se qualcuno
sparisce, non frega un accidente a nessuno, il luogo perfetto per fare affari
per una compagnia immobiliare chiamata Murnau, con tanto di profilo di Vlad l’Impalatore
nel logo. Voto dieci alla discrezione della compagnia e alle metafore cinematografiche
suggerite, quasi velate oserei dire, che abbondano in questo film.
Gentrificazione e Vampirizzazione vanno di pari passo, inoltre per me un film che mette sullo stesso piano agenti immobiliari e succhia sangue
un po’ ha già vinto. Ma questo non cambia il fatto che il film d’esordio di Oz
Rodriguez sia un horror leggeri no, perfetto per un pubblico più giovane, magari
alla ricerca di un titolo valido per fare amicizia con il genere più
sanguinolento di tutti. Io comincerei con i classici, ma questo lo trovate
comodamente su Netflix, la pigrizia è un valore.
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Visto questo della Bara Volante? Secondo me è un vampiro… |
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… Vade retrò Cassidy! |
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… No Cassidy è un bravo ragazzo, basta una palla da basket |
Ad opporsi al piano dell’agenzia immobiliare, di
trasformare il quartiere in un postaccio pieno di negozi assurdi che vedono
burro e strano gelato vegano, ci pensano tre ragazzini un po’ sfigatelli del
posto: una sorta di Harry Potter portoricano con maglietta dei Ghost, uno
sinistramente attratto dal fascino della vita da “Gangsta” e Miguel Martinez, con
un’allitterazione fumettistica nel nome, non proprio il terzo fratello Frog venuto dal Bronx, anche se
l’idea sarebbe quella.
I tre ragazzini vorrebbero salvare la “bodega”, il
negozietto locale dove passano molto del tempo e quando scoprono qualcosa di
losco, nessuno crede alla loro storia di vampiri nel Bronx, anche perché il
responsabile della Murnau, il signor Frank Polidori (Shea Whigham che recita
con le marce basse, ma sembra comunque Marlon Brando rispetto ai colleghi. Ah! Spero
non vi sia sfuggito il cognome del personaggio, a proposito di riferimenti
velati) con i suoi modi affabili è un insospettabile Renfield, capace di
comprarsi la benevolenza di tutti.
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Il fratello di Nucky Thompson a sinistra, la preferita di Davide Birra a destra. |
panni di Vivian, entusiasta dell’essersi appena trasferita nel quartiere anche
se è la più bianca in circolazione. La preferita di David Cronenberg, nella prima
parte del film, recita come una sotto effetto dell’etere e se non fosse già
sospetta una Canadese nel Bronx, ci pensa la sua discretissima recitazione a
disegnarle un bersaglio sulla fronte.
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“Etere diabolico, ti fa comportare come l’ubriacone del villaggio di un romanzo irlandese” (cit.) |
“Vampires vs. the Bronx” è simpatico e svogliato, fa il minimo
sindacale per portare a casa il risultato lasciando che i riflessi dei film
giusti che si porta dentro, lo facciano brillare di luce riflessa, occhio che
sto per partire con un’infilata di titoli: un vampiro nel quartiere e minorenni
a cui nessuno crede come in “Ammazzavampiri” (1985), la faccia dei succhia
sangue che si trasforma prima di attaccare come i Vampiri di Buffy, l’idea di alcuni ragazzini del
quartiere come unica linea di difesa contro una minaccia sovrannaturale proprio
come in “Attack the Block” (2011). Prendete tutto questo, mescolatelo
insieme, diluitelo in due o tre litri di acqua (santa? Non necessariamente) e il risultato sarà
“Vampires vs. the Bronx”.
Il massimo dell’originalità il film la tira fuori
eleggendo Blade, il cacciatore di vampiri di Wesley Snipes, come modello di
riferimento per i tre ragazzi decisi a fermare l’invasione, ma dovete mettere
in conto piani segreti conservati su chiavette USB, e la svolta sull’identità
del Maestro che non è affatto tale. Se poi ci aggiungiamo il dettaglio che lo
stesso Maestro, si vanta di essere sopravvissuto sette secoli, ma poi viene
ucciso in sette secondi nel modo più svogliato possibile, capirete che il film
sarà anche perfetto per le nuove leve, ma per i vecchi fanatici di horror è
come un pezzo di Shania Twain: That don’t impress me much. Siccome sono fuori
target per il film, posso anche permettermi di ripescare Shania Twain.
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La svolta di trama. No sul serio, l’USB nel 2020!? Santo cielo! |
Bisogna dire però che il film è coerente nel rispettare
tutte le regole classiche dei vampiri al cinema (che non possono entrare in casa, senza
essere stati prima invitati ad esempio) ma è legato al fatto che “Vampires vs. the Bronx”
non ci pensa nemmeno a provare a contribuire all’iconografia vampiresca con
qualche novità, si limita ad opporre degli antichi Dandy est-europei ai
ruspanti abitanti del Bronx, sul cui orgoglio è basato il finale del film. Non
ho capito quindi se sono troppo bianco per apprezzare questo film, io che più o
meno sono abbronzato come un vampiro, oppure sono semplicemente troppo vecchio,
nel dubbio caro Oz Rodriguez, io l’avrei fatta sporca fino in fondo, per il
ruolo del Maestro avrei fatto venire giù direttament Eddie Murphy, in fondo lui aveva già
interpretato il ruolo del vampiro a Brooklyn per Wes Craven, quindi fare un salto anche nel Bronx non credo che sarebbe stato un gran
problema no?
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Non ascoltare Method Man, diventi violento! (cit.) |
IL BRUTTO
Lo Schifo (l’orrore, quello vero)
Jack in the Box
(2020)
Questo Triello mi ha messo in difficoltà con le categorie
ma anche con i titoli disponibili, sarei tentato di concludere con un altro
film disponibile su Netflix, ovvero “La babysitter – Killer Queen” (2020), seguito con sottotitolo in inglese di La babysitter che qualche
tempo fa, senza inventare davvero nulla, era riiscito se non altro ad intrattenere
dando una bella spinta alla carriera di una delle preferite di questa Bara, Samara Weaving.
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Ciao Samara, sei sempre la benvenuta da queste parti. |
Parliamoci chiaro il film diretto da McG, meglio noto
come MancaCoGnome, era stupidotto
e leggerino, non perdeva nemmeno mezza occasione per infilare in bocca ai suoi
personaggi una citazione proveniente dalla cultura popolare, ma per lo meno
intratteneva, come una sorta di “Mamma, ho perso l’aereo” (1990) con l’aggiunta
di una babysitter satanista e piuttosto guardabile.
Ma la verità è che MancaCoGnome
i seguiti non sa come gestirli, dopo aver azzeccato il primo capito, aveva già
mandato in vacca “Charlie’s Angels – Più che mai” (2003) e non fatemi nemmeno
citare Terminator Svalutation. Qui MancaCoGnome si
mette in testa forse una mossa come fatto in passato da Carpenter, Craven e Joe Dante, ovvero di
decostruire il mito del suo primo film, con il piccolissimo dettaglio: non solo
la sua babysitter sexy non è diventata un’icona dell’horror, ma nel film compare
a puzza per un paio di minuti nel finale. Madornale errore! (cit.) visto che era anche l’unico motivo di interesse del primo capitolo.
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…Ok facciamo in Triello e tre quarti. Che faccio lascio? |
Se nel primo film i personaggi si citavano addosso, qui è
un tripudio di nomi e citazioni a caso, quando ho sentito il personaggio nero
iniziare a parlare di “Wakanda Forever”,sono arrivato al limite di
sopportazione massimo. I personaggi stereotipati bisogna anche saperli usare e
non basta riempire lo schermo di scritte “FIGHT!” in stile Emoji per fare “Scott
Pilgrim vs. the World” (2010). Davvero insopportabile, come i seguiti cazzari
dei film horror famosi degli anni ’80, solo che quelli erano così per limiti di
budget, MancaCoGnome con tutti i
soldi di Netflix a disposizione ha fatto davvero un buco nell’acqua.
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“Ma perché Cassidy parla di un altro film?”, “Perché facciamo schifo!” |
Peggio di lui è riuscito a fare solo il disastrato “Jack
in the Box” di Lawrence Fowler (così finalmente inizio a scrivere qualcosa sul vero terzo vertice di questo Triello),
imbarazzante tentativo di lanciare una nuova maschera horror, ispirata al
pupazzo a molla che “ciccia” fuori dalla scatola, tanto caro alla tradizione
dei Paesi di lingua anglofona. Lo dico subito senza ironia, la parte più
riuscita del film è sicuramente l’aapetto del mostro, davvero ben realizzato, anche quando Fowler lo inquadra tanto e da vicino (perché in fondo lo sa che è
il suo unico asso nella manica), il trucco regge benissimo e funziona alla
grande, peccato che intorno al suo mostro, il regista non sia riuscito a
costruire anche una storia interessante.
Non so se ho trovato più pigra la versione locale del
classico anziano dei film horror, quello che ti mette in guardia e profetizza
la pessima fine che faranno i protagonisti, oppure il mistero sul pagliaccio assassino, risolto con la più svogliata delle soluzioni: il protagonista che fa
una ricerca su Internet e scopre che Jack tornerà nella sua scatola solo dopo
aver collezionato sei anime, come un incrocio triste tra Pennywise e Pinhead.
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“Dentro una scatola ero solo un |
Il film si è evidentemente giocato tutto il budget con il
bel trucco del mostro, quindi la maggior parte degli omicidi avviene fuori
schermo, non mostrati ma solo raccontati, come in quei brutti film horror per
ragazzetti che uscivano in sala nei primi anni 2000, roba tipo “Boogeyman” per
capirci. Il colpo di scena finale non è nemmeno tale, perché nel momento in cui
veniamo a sapere (da Internet) che ci vogliono sei anime per chiudere il ciclo,
in un film con sei attori è anche facile fare i conti, ma se volete capire
davvero la misura delle pezzentata davanti a cui ci troviamo, vi fornirò un
solo significativo dettaglio: il protagonista guida una vecchia Fiat Punto
scassata. Non ho altro da aggiungere vostro onore, il resto sarebbe solo
inutile accanimento.
Per questo Triello (abbondante) è tutto, anche se è
venuto fuori un po’ più storto e pentagonale del solito, spero di avervi dato qualche idee
per Halloween, ma tanto da qui al 31 ottobre arriveranno anche altri titoli,
questo mese è ricco per noi fanatici di Horror!