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Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970): il potere e la colpa in uno strambo Paese a forma di scarpa

Quando ancora avevo dei colleghi di lavoro, uno dei pochi
che sono felice non si sia trasformato in una finestra di Skype a forma di
faccia, venne da me con un dubbio amletico chiedendomi: «Ti ricordi quella
musica che faceva pam para para pam pam,
para para pam pam
? Di che cosa era?», mia risposta secca «Indagine su di un
cittadino al di sopra di ogni di Elio Petri, era la colonna sonora di Ennio
Morricone». Tendo a dare risposte in stile Rain Man quando mi fanno questo tipo
di domande, quelle davvero importanti che vorrei sempre sentire dai miei
colleghi di lavoro (storia vera).

In questo 2020 che ci ha preso a schiaffoni portandoci
via tanti dei nostri preferiti, mi sembra doveroso omaggiare il Maestro Ennio
Morricone con un titolo che compie cinquant’anni ed è solo uno dei più grandi
film della storia del cinema italiano, ma non solo, premiato con l’Oscar come
miglior film straniero (per chi è interessato ai premi), possiamo trovare i
semi di “Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” in un sacco
di film americani di registi che ne sono rimasti inevitabilmente colpiti, come
Coppola che lo ha omaggiato nel suo “La conversazione” (1974) oppure Stanley
Kubrick che non ha mai nascosto il suo apprezzamento per quello che da queste
parti definiamo un Classido.

Elio Petri è stato un autore piuttosto atipico,
smaccatamente schierato, il suo cinema è stato fortemente politico che, poi, è il
modo che abbiamo in uno strambo Paese a forma di scarpa per dire che era di
sinistra, perché se qualcuno fa affermazioni di destra (anche estrema), qui da
noi nessuno lo accuserà mai di essere “troppo politico”. Il bello del cinema di
Petri era la sua capacità di narrare le contraddizioni dell’Italia proletaria e
piccolo borghese a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, una società che stava
cambiando in un contesto storico a dir poco acceso.

“Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto”
fu scritto nel 1968 e girato l’anno successivo, a ridosso della strage di
Piazza Fontana e soprattutto al discusso commissario Luigi Calabresi, ritenuto
responsabile, da buona parte dei manifestanti di sinistra, della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli alla Questura di
Milano. Petri negò di essersi ispirato a Calabresi per il suo protagonista (che
è anche il cattivo della storia, primo di tanti cortocircuiti del film), ma
nemmeno la classica scritta iniziale sui “fatti immaginari” senza legami con
persone vere e presunte, è riuscita a smarcare il regista dai paragoni.

La critica cinematografica di sinistra, quella che
sperava di vedere un bel filmone schierato firmato da un grande autore come
lui, accusò Petri di mancare di realismo, quando al regista questo non
interessava, il cinema non ha il dovere di essere realistico, infatti la sua
affermazione che preferisco riassume al meglio questo classico: «Volevo fare un
film contro la polizia, ma a modo mio».

Solo a leggere il titolo, sento le note del Maestro
Morricone nella testa.

“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto” non ha volontà di puro realismo fin dal dettaglio – del tutto
non secondario – riguardo al non nome del protagonista, qualcuno si rivolge a
lui con rispetto chiamandolo “il Dottore”, ma di fatto il personaggio
interpretato da un gigantesco Gian Maria Volonté non ha un nome proprio, è il
poliziotto che indaga su un feroce omicidio, ma anche l’assassino, infatti il
film di Petri inizia come un giallo, però alla rovescia.

“Il dottore, nella camera da letto per strangolamento, a Cluedo ero fortissimo”

Perché il bello di
qualunque giallo è scoprire chi è il responsabile del delitto, qui lo sappiamo
già dal primo minuto del film ed è proprio il protagonista che uccide la sua amante,
la ricca, annoiata e bellissima Augusta Terzi (Florinda Bolkan), in un giochino
sessuale (quindi un gioco di potere e di ruoli che, poi, è un po’ il tema del
film), in cui i due mettono in scena il ritrovamento dei corpi sui luoghi del
delitto dove ha lavorato il poliziotto che uccide la donna fuori scena,
strangolandola sotto le lenzuola, ma è l’unico tentativo da parte del
protagonista di occultare le sue azioni, visto che da qui in poi farà di tutto
per lasciare indizi che riconducano a lui, compreso non abbassare lo sguardo o
provare a nascondersi, quando uno dei vicini di casa della donna, il giovane
anarchico Antonio Pace (Sergio Tramonti), lo vedrà uscire dall’appartamento
dell’amante. Un dettaglio fondamentale è il giorno dell’omicidio: lo stesso in
cui il protagonista viene promosso a capo dell’ufficio politico della questura.

Il potere è un gioco che si fa in due (meglio con la bella Florinda Bolkan).

“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto” compone un’ideale trilogia con “La classe operaia va in
paradiso” (1971) e “La proprietà non è più un furto” (1973), tre
titoli scritti a quattro mani con lo sceneggiatore Ugo Pirro, il loro sodalizio
artistico ci ha regalato tre film molto belli di cui forse “Indagine” resta
quello più sfaccettato a kafkiano che, non a caso, viene apertamente citato
prima dei titoli di coda.

Il rapporto tra “Il Dottore” e la bella vittima Florinda
Bolkan ci viene descritto in una serie di flashback, dosati con grande maestria,
che esplorano il torbido rapporto tra i due, vizi privati e pubbliche virtù che
per il protagonista si manifestano in atti di forza dettati dal
potere che comporta il suo ruolo. Se nell’intimità Florinda Bolkan scatena la
sua rabbia definendolo un “bambino” e un amante non all’altezza, in pubblico il
personaggio mostra i muscoli, il monologo durante la cerimonia di investitura sembra
un’ideale risposta alla donna che ha ucciso pochi minuti prima, una lunga
tirata di Gian Maria Volonté che termina con parole chiare e nette: «Noi siamo
a guardia della legge che vogliamo immutabile! Scolpita nel tempo. Il popolo è
minorenne, la città è malata, ad altri spetta il compito di curare e di
educare. A noi il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino!
Repressione è civiltà!».

Il monologo del super cattivo, che poi è anche il protagonista.

“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto” è un film in costante equilibrio tra pulsioni di varia natura,
se il protagonista è diviso tra il senso di colpa per l’omicidio e la sua fede
nel suo ruolo di difensore della legge e della morale, la storia si muove in
equilibrio tra Freud e Kafka trascinandoci per il bavero in una situazione
grottesca, dove è la giustizia a dover giudicare se stessa, spingendoci così in una riflessione sociale e politica sull’inattaccabilità
dell’autorità, sul suo essere realmente o meno, al di sopra della parti.

Il protagonista è il classico personaggio forte con i
deboli e zerbino con i potenti, il fiero rappresentante di un’Italietta alla
deriva che conosciamo tutti fin troppo bene, dove quando qualcuno si trova
con un minimo di potere per le mani immediatamente si comporterà come un
mammasantissima in grado di decidere della vita di tutti. Il modo in cui si
diverte a torturare lo stagnaro che lo ha visto acquistare la cravatta
azzurra (una delle tante prove della sua colpevolezza che il protagonista
semina impunito in giro nel tentativo di essere preso e punito) è un trattato
sulla sudditanza psicologica: finché si trattava di uno qualunque entrato in un
negozio per compare una cravatta, andava bene denunciarlo, ma nel momento in
cui l’italiano medio, pur avendo tutte le ragioni del mondo dalla sua parte,
scopre che quella stessa persona è un “Dottore”, una persona importante, il
coraggio per denunciare sparisce immediatamente.

La sudditanza psicologica scorre potente.

Gian Maria Volonté risponde con una prova che più che di
recitazione sembra di forza, parliamo di uno dei più straordinari interpreti
del nostro cinema, uno che in carriera ha prestato il volto a personaggi scolpiti a fuoco nell’immaginario popolare, ma che qui offre, forse, la sua prova più magnetica. Volonté riesce
ad essere allo stesso tempo il protagonista, ma anche il cattivo del film e
non uno qualunque, forse il più feroce tra i cattivi cinematografici, perché
Petri non avrà inseguito istanze di realismo, ma Volonté qui con una ferocia
recitativa più unica che rara, ha saputo tratteggiare il tipo di personaggio di
cui bisogna avere paura per davvero anche nella vita reale, colui che detiene
il potere gestendolo per il proprio tornaconto e senza nessuna responsabilità.

Gli scarti di tono che Gian Maria Volonté riesce a
coprire con questo personaggio descrivono tutta la gamma recitativa di un
grandissimo attore, il linguaggio del corpo costantemente aggressivo che
utilizza quando si rivolge ai sottoposti, il suo modo di dichiarare
platealmente a tutti la sua colpevolezza, anche quando sta parlando d’altro («Bevi,
bevi, innocente! Bevi, bevi! Qui sono tutti innocenti! Qui dentro l’unico
colpevole sono io»), oppure il modo in cui riesce a farsi piccolo e grottesco
quando i ruoli di potere si invertono, perché poi di questo parla il film: di
potere e dei suoi relativi ruoli.

“Che minchia vuoi Cassidy?”

Elio Petri e Ugo Pirro firmano una sceneggiatura talmente
ad orologeria che persino un palese “Deus ex machina” (l’attentato, proprio
quando il protagonista tenta la mossa disperata di far sparire le registrazioni
dall’archivio), sembra studiato perfettamente a tavolino da non risultare una
forzatura della storia, anche perché permette a quel cavallo di razza di Gian
Maria Volonté di lanciarsi nella lunga sequenza dell’interrogatorio agli
anarchici, dove si mangia ancora un po’ il film, come se non lo avesse già
divorato abbastanza fino a quel momento. Anche se mi rendo conto che
paragonarlo ad un cavallo è un mio lapsus, visto che la sua uscita sopra le righe
che preferisco nel film è quando si mette a sbraitare: «Tu non sei un cavallo,
sei un cittadino democratico! Non sei un cavallo!».

Non si uccidono così anche i cavalli? (cit.)

La recitazione sopra le righe, il modo di Volonté di
marcare esageratamente sull’utilizzo del dialetto del personaggio, una prova
maiuscola che passa attraverso un paio di momenti speculari: durante
l’interrogatorio, nel tentativo di incastrare Pace (scagionandosi così
dall’omicidio), “il Dottore” costringe uno degli anarchici arrestati a restare
in ginocchio oppure a bere acqua salata, è il momento in cui il personaggio fa
il suo monologo sulla Democrazia come anticamera del Socialismo, un personaggio
disgustoso e ipocrita e proprio per questo fin troppo realistico nel suo essere
cinematograficamente un paio di metri sopra le righe, anche quando poco dopo
finisce grottescamente a piagnucolare con Pace, implorandolo quasi di accusarlo
per essere finalmente libero dal suo senso di colpa.

Il sale è anche lo stesso che il personaggio viene a sua
volta costretto ad ingoiare nel finale del film, dove la trama raggiunge il suo
apice kafkiano, la manciata di sale mangiata dalla mano del politico di turno,
rappresenta alla perfezione il gioco di potere ben descritto dal film: un
ribaltamento di ruoli e stereotipi da cui emergono le idiosincrasie di un
Paese, in cui il potere in quanto tale, non può fallire, non può essere
giudicato, nemmeno quando è palesemente colpevole.

Acqua e sale, mi fai bere (con un colpo mi trattieni il bicchiere) (cit.)

L’indagine (su un cittadino al di sopra di ogni sospetto)
di Petri è condotta in maniera rigorosa, la tensione è palpabile per tutta la
durata del film, da spettatori, come il protagonista, desideriamo di vederlo
pagare per i suoi crimini oppure vorremmo vederlo alternativamente farla
franca, la perfetta rappresentazione su pellicola di un Paese che vuole che le
istituzioni intervengano sempre e comunque, ma che allo stesso tempo, se trova
il modo di evitare la multa è anche meglio. Questo giallo alla rovescia, in cui
a morire per davvero è la decenza di un Paese che si crede democratico, può
avvalersi anche delle note di uno dei nostri più grandi compositori, mi fa
quasi senso parlare di Ennio Morricone
al passato, considerando quanto sia sempre stato presente tra i miei ascolti
fissi e nella mia vita di appassionato di cinema, ma se è sempre stato
facilissimo identificare il Maestro per le sue colonne sonore Western, con Indagine
su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, componendo una colonna
sonora quasi degna di un Horror per quanto riesce ad andare sotto pelle allo
spettatore tenendolo sul filo.

Petri non lavorava mai con lo stesso compositore,
preferiva cambiare ad ogni film, solo Morricone venne contattato nuovamente
dopo che i due lavorarono insieme su Un tranquillo posto di campagna
(1968). Per questa seconda collaborazione Morricone decise di far emergere il
disagio morale della trama anche attraverso le note, scegliendo per comporre
tutti quegli strumenti che, a sua detta, normalmente il pubblico disprezza. Vi
riporto le sue esatte parole: «Giusto la fisarmonica non ci ho messo. Pensai
prima agli strumenti da utilizzare, poi alla musica da scrivere. Scelsi il
mandolino, il pianoforte stonato, il marranzano, un sintetizzatore che faceva
un suono come quello di una pernacchia. Volevo che la porcheria della storia
venisse fuori anche nella colonna sonora. Scrissi la musica senza il controllo
di Petri. La prima versione che scrissi non aveva il cromatismo che poi trovai
con la successiva scrittura, non aveva una particolare melodia. Allora, poi,
c’era la mania di utilizzare poche note, di economizzare il materiale dei suoni
usati, come una specie di serialità ridotta. E, quindi, feci un secondo tema con
la stessa scala, da una parte veloce, dall’altra lenta».

“I post di questo Cassidy sono troppo lunghi, quasi quasi lo arresto”

Il risultato è uno sgangherato, ma meticoloso incedere che
fa da “coro Greco” alle vicende del protagonista, ogni volta che il celebre
tema principale di Morricone si manifesta del film, pam para para pam pam, para para pam pam, sembra che il coperchio
della bara si chiuda sempre di più sul personaggio di Gian Maria Volonté,
protagonista di una vicenda che viene messa in musica con strumenti sgraziati e
tipicamente italiani, proprio come i fatti che vediamo accadere nel film. Una
delle colonne sonore più celebri che dimostra allo stesso tempo la capacità di
narrare usando le note di un Maestro come non ne vedremo mai più, non solo in
questo strambo Paese a forma di scarpa, ma in tutta l’umana razza.

“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto” dovette sudare per passare il visto censura e smarcarsi dalle
accuse di essere una sorta di biografia illegittima su Luigi Calabresi, per
questo uscì nelle sale italiane solo nel 1970 diventando un enorme successo di
critica, culminato con il premio Oscar come miglior film straniero l’anno
successivo, ma soprattutto un enorme successo di pubblico che un’analisi così
cruda e lucida del nostro Paese, non l’aveva mai vista e, forse, non l’avrebbe
vista mai più, dato che il gusto popolare di lì a poco sarebbe cambiato,
sostituito da film più facili che non inchiodavano tutti alle nostre colpe e
responsabilità come riesce a fare ancora oggi, a cinquant’anni dalla sua uscita,
questo capolavoro di Petri.

Qui sotto trovate l’elenco completo dei blog che partecipano
alle celebrazioni per i tanti (troppi) grandi nomi mancanti in questo
disgraziato 2020.

Pietro Saba
World – Sean Connery – Atmosfera zero (1981)

La stanza di Gordie – Max Von Sydow – Il settimo sigillo(1957) 

NOTJUSTMOVIE – Sean Connery – Gli intoccabili (1987)

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