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Independence Day (1996): la fine del mondo come lo conosciamo (e mi sento bene)

“Americanata” io la odio questa parola, non vuol dire niente, viene usata a caso in modo spesso dispregiativo, come quando danno dei “Graffittari” ai ragazzi che fanno murales con le bombolette spray o “Fumettaro” a, beh, me!

Di solito chi usa la parola “Americanata” per descrivere un film intende una roba con le esplosioni, dove i protagonisti si esprimono per punch-line ad effetto (note anche come “Frasi Maschie” ciao Lucius) in film generalmente patriottici, retorici o a sfondo militaristico. Anche “Braveheart” è un film retorico e patriottico, però piace a tutti (a me sicuramente), non ho mai sentito nessuno definirlo una “Scozzesata”, anche perché è un film americano, però diretto da un Australiano, quindi dovrebbe essere una “Americascozzeaustralianata” supercalifragilistichespiralidoso…

Non ho mai capito il senso di questa parola, perché dire “Americanata” di un film con le esplosioni? Io i film con le esplosioni li chiamo “Bei film”, vuoi dire che è un film tamarro? Dì tamarro, no? Insomma, non la capisco ‘sta parola, mi sembra un dispregiativo classista. Certo qualcuno potrebbe dire che è la parola perfetta per descrivere “Independence Day” di Roland Emmerich, ma là fuori ci sono un sacco di persone pronte ad etichettarlo come “Cult”.

Dubbi non ne ho, io da queste parti i film bruttini (a volte anche bruttini forti) che hanno saputo diventare dei cult hanno un nome preciso, sono i Bruttissimi di Rete Cassidy!

L’intento di questa non-rubrica è sempre lo stesso: parlare di quei film oggettivamente brutti, ma con carattere, non è una celebrazione del brutto fine a se stessa, ma un modo per ricordarci che anche le ciambelle venute fuori senza il buco possono essere gustose da mangiare.

Io ho dei grossi problemi con Roland Emmerich, resto con la definizione che gli ha appioppato Terry Gilliam, il regista tedesco naturalizzato americano è un entusiasta del Paese della torta di mele, tecnicamente penso sia incredibilmente preparato, giusto un po’ meno bravo di Michael Bay, ma con lo stesso gusto estetico discutibile: Michele Baia ama gli elicotteri e i Robot che scoreggiano, mentre Rolando Emmerigo adora i suoi personaggi schematici sempre uguali a se stessi, i suoi bravi padri di famiglia divorziati, ma ancora innamorati, le ex mogli risolute e in buoni rapporti, i Presidenti degli Stati Uniti sempre buoni e i burocrati incravattati che consigliano sempre male, così come gli stramboidi visionari che anticipano la catastrofe, ma a cui nessuno crede perché sono… Beh, degli strambodi visionari. Non vorrei tediarvi con i dettagli, in fondo di questo schema Emmerichiano vi avevo già parlato.

Ancora una super scena, anche dopo vent’anni.

Non voglio male a Roland Emmerich, non mi perdo mai i suoi film, nemmeno uno, “Il Patriota” (2000) mi piace per motivi “Braveheartiani”, se non sai goderti il suo maestoso reparto tecnico, o l’incredibile genuinità del suo cinema (che fornisce esattamente quello che promette, e nel 2016 non è cosa da poco), l’unico modo per amarlo è avere tredici anni.

Per motivi puramente anagrafici io tredici anni li avevo davvero nel 1996 quando uscì in sala “Independence Day”, che poi è anche il motivo per cui sono tra quelli che lo considerano un film di culto, malgrado gli ENORMI difetti, già evidenti anche agli occhi miopi del me stesso tredicenne di allora. Pensate che avevo anche la VHS, me la ricordo benissimo: custodia blu, invece del classico nero e una copertina olografica troppo esagerata, che a seconda di come la orientavi, vedevi la Casa Bianca integra, oppure la Casa Bianca che esplodeva in mille pezzi, sono sicuro che è ancora nel mucchio della VHS custodite dal Signor Cassidy Senior… Fategli un saluto che ci legge da casa!

Non provate ad orientare lo schermo, non è la stessa cosa.

Per la nuda cronaca: gli altri film di Emmerich che apprezzo sono tutti quelli usciti prima di “ID4” (come pubblicizzano questo film nell’ormai lontano 1996), ovvero “I nuovi eroi” (1992) e “Stargate” (1994), anche di quello avevo la VHS, regalo della mia mamma, su assist paterno… Ecco magari una volta di queste parliamo pure di “Stargate”.

Ormai erano anni che non rivedevo “Independence Day”, vi giuro, dal raggiungimento della maggiore età non so se l’ho mai rivisto davvero, fino a qualche giorno fa, vuoi non tentare un rischiassimo ripasso prima dell’uscita dell’ancora più rischioso sequel “Independence Day – Rigenerazione”? Sapete che vi dico? Malgrado gli anni di assenza lo ricordavo ancora dettagliatamente, con intere porzioni dei non per forza magnifici dialoghi mandati a memoria (“Il vetro è antiproiettile?”, “Nossignore!” BANG! BANG! BANG!).

Potevate almeno aspettare l’insediamento di Donald Trump!

“Independence Day” uscì in patria il 4 Luglio (ovviamente) del 1996, anticipato da una campagna promozionale grossa come i dischi volanti di questo film, talmente esagerata che il compositore dell’ottima (non scherzo, ottima e volutamente esagerata) colonna sonora, David Arnold per consegnare le tracce per il film e non farsi prendere dall’ansia da prestazione, si chiuse in una stanza d’albergo diversi giorni, anche solo per evitare i cartelloni pubblicitari giganti del film (storia vera). Per altro, la batteria nella traccia composta da Arnold, che si sente durante l’invasione aliena, per volere del suo autore, tradotta con il codice Morse compone le lettere D, I, E. Non credo serva la traduzione.

“ID4” (acronimo inventato per motivi legali in attesa di poter utilizzare il titolo definitivo) è stato il primo film ad applicare ai personaggi lo schemino ossessivo che Rolando Emmerigo utilizzerà per tutti i suoi film catastrofici, quindi nel 1996 i personaggi erano già degli stereotipi (il Presidente, il nerd, il pilota di caccia, la donna, il cane, l’ubriacone) scritti usando il pennarellone a punta grossa, ma almeno non erano ancora una consuetudine. Il film incassò tipo il prodotto interno lordo di sei o sette Stati africani messi insieme, diventando il più grosso incasso per un film di astronavi, ma anche il più grosso incasso del 1996.

La Terra contro i dischi volanti come la intendevamo negli anni ’90.

Un successo così grosso che costrinse la Warner Bros a posticipare il suo film sulle invasioni aliene, ovvero il bellissimo “Mars Attack!” di Tim Burton (quando era ancora se stesso), che con il senno di poi, è un film decisamente migliore sull’argomento omini verdi che invadono la Terra.

La trama, davvero devo parlarvi della trama di questo film? Vabbè, dai: gli Alieni invadono la Terra con astronavi grosse come il Molise, il loro piano è ucciderci tutti (“Può esserci pace tra noi, cosa dobbiamo fare?”, “Mooo-riiiii-Reeeeee” ogni volta che vedo il film faccio la voce dell’alieno. Storia vera!), fondamentalmente perché sono dei bastardi quasi sicuramente non Americani.

Previsto sole e cielo sereno salvo leggeri UFOlamenti.

L’unico popolo che conta sul pianeta (America! FUCK YEAH!), prima incassa e piange i suoi morti, poi il Presidente degli Stati Uniti fa un discorso motivazionale, gli umani s’inventano una menata pazzesca di un virus e fanno saltare per aria gli Alieni (o forse dovrei dire, “Gli esportano la Democrazia”?), giusto in tempo per il 4 di Luglio, che diventa in automatico una festa di tutto il mondo e non solo americana, tipo com’è successo ad Halloween, ma senza dover aspettare tutti quegli anni passati a produrre film Horror e speciali dei Simpson.

«L’avete distrutta! Maledetti, maledetti per l’eternità! Tutti!» (Cit.)

Cosa volete che vi dica? Che “Independence Day” è un bel film? I film belli per me sono fatti diversamente da questo, lo si ama oppure lo si odia, nel primo caso è probabilmente per motivi affettivi, però è un film incredibilmente dritto, una roba da pop-corn in cui i cattivi sono così stronzi che è impossibile non schierarsi tutti dalla parte degli umani, a voler fare della dietrologia si potrebbe dire che è intellettualmente pericoloso, perché esporta il peggio dell’Americanità (ho detto Americanità non Americanata!), ma davvero ve la sentite voi di fare un discorso del genere parlando di un film in cui la potente e cattivissima civiltà aliena colonizzatrice di mondi, viene sconfitta da un virus informatico programmato in un paio d’ore da un nerd su un computer che oggi come oggi non riuscirebbe nemmeno a supportare Windows 98?

“Independence Day” va preso per quello che è: una roba con Will Smith che si atteggia a super figo di Bel-Air come già nel primo “Bad boys” e avrebbe continuato a fare fino al 2001, quando Michael Mann afferrandolo per una delle due vistose orecchie gli avrebbe detto: “E ‘mo ti faccio recitare io caro il mio Fresh Prince”.

Dopo questa lo hanno arruolato nei Men in Black per acclamazione popolare.

La storia del pilota Steve Hiller interpretato da Smith è uno spasso, è il primo della sua squadriglia, ma non può fare il salto di qualità ed entrare a far parte della NASA perché la sua fidanzata fa la spogliarellista (!). Come a dire: cosa fa lei nel tempo libero? Sparo alle anatre nel parco, venga la NASA ha bisogno di persone come lei! Fidanzato con uno spogliarellista? No no, giammai! Ah, per altro, la fidanzata stripper è interpretata da Vivica A. Fox, vista in “Kill Bill” e poi persa nei meandri della serie B, ultimo avvistamento, uno degli Sharknado se non ricordo male.

I veri duri e i Labrador non guardano l’esplosione.

Uno dei motivi per cui “ID4” (per gli amici) mi conquistò da subito è per la presenza di quello che già allora era uno dei miei attori preferiti: Jeff Goldblum. Avevo già avuto modo di mitizzarlo per il suo matematico (caosologo!) Ian Malcolm di Jurassic Park e ancora prima nei panni di Seth Brundle ne “La Mosca” di David Cronenberg. Qui dietro gli occhiali e la camicia a quadri di David, Jeff Goldblum completa la sua ideale “Trilogia del cervellone”.

Il piano è ridicolo ma spiegato da te Jeff sembra una forza!

Goldblum mi manda giù di testa, ha un modo di gesticolare a rallentare quando spiega i concetti che trovo ipnotico, considerando che qui per tre o quattro volte, il personaggio ha l’occasione di lanciarsi in spiegoni illustrativi, potete capire come mai questo film avesse tutto per piacermi già allora. Per assurdo, anche in coppia con il suo opposto Will Smith, lo strambo duo funziona e i dialoghi, per quanto scemi (“Porca? Cosa vuol dire porca?”, “Dobbiamo avere rapporti più stretti noi due”) hanno pure un loro misterioso perché.

Inoltre mi sono sempre piaciute le sue camice a quadri.

Anche il tedioso padre di David, interpretato da Judd Hirsch, è uno stereotipo sugli anziani, Rolando Emmerigo ce lo mostra al parco intento a giocare a scacchi con il figlio, probabilmente se il personaggio vivesse in Italia passerebbe il tempo a guardare qualche cantiere aperto, dopo la distruzione seminata dagli alieni ci sarebbe un sacco di lavoro da fare.

Un anziano fastidioso che cita a caso i Beatles, uno di quelli che parla di scie chimiche, nuovo ordine mondiale e Area 51, ma trattandosi di un film di Roland Emmerich, l’Area 51 esiste davvero e dentro ci lavora un dottore fricchettone interpretato da quello che faceva Data in “Star Trek – The Next generation”.

Il reattore di curvatura è sicuro dicevano, ecco gli effetti a lungo termine!

Il design degli alieni non è male, l’idea dell’esoscheletro biomeccanico è stata una trovata venuta fuori un po’ per caso: guardando i bozzetti delle creature aliene, Roland Emmerich non sapeva decidersi tra due che gli piacevano particolarmente, quindi decise di usarli entrambi, uno per le creature vere e proprie, l’altro per la loro tuta biomeccanica.

«Ma che ne so… tu vola disinvolto!» (Cit.)

Per altro, anche rivedendo il film, resta chiaro oggi come nel 1996, che la scena in cui la nave spazia arriva sopra New York spuntando fuori dalle nuvole sia una delle cose più grosse viste al cinema, basta quella a rendere l’idea di quanto l’umanità sia minuscola di fronte alla minaccia. Certo, fa ridere che il sistema di navette degli alieni funzioni con il principio secondo il quale se la nave madre facendo retromarcia becca un panettoncino di cemento, tutte le altre navi ad essa collegate precipitano a terra a peso morto. Nemmeno un missile nucleare nemmeno scalfisce lo scudo alla “Star Trek” (ecco perché c’era Data nel cast!) e poi non hanno un antivirus sui loro computer? Oddio, a ben pensarci, alcuni miei colleghi sono in grado di fare ben peggio quando si tratta di computer!

Poi, dai, diciamolo: è un omaggio a “La guerra dei mondi” di H.G. Wells, solo che il virus è informatico, invece che quello del raffreddore.

Miss Luglio 1996, sul paginone centrale di “Playalien”.

Il personaggio dell’ubriacone deriso da tutti per i suoi racconti alticci di quando è stato rapito dagli alieni (negli anni ’90 era l’argomento più caldo in circolazione, anche per colpa di X-Files), interpretato da Randy Quaid è una super macchietta, che tocca il fondo prima di cominciare a risalire (“Continua a portare, continua!”), clamoroso il volo finale, omaggio all’attacco dei ribelli alla Morte Nera di Guerre Stellari, un tripudio di roba che esplode e di Eagle one! Fox Two! Piiiiii-BOOOM! Che sarà pure una colossale tamarrata, ma è talmente divertente che chissenefrega, soprattutto quando finiscono i missili, quei dannati missili! Perché nessuno ha più missili?! Fino a quel “Mi scusi per il ritardo signor Presidente” che fa venire giù il soffitto. Il sacrificio di Russell, coincide con la sua redenzione (tema classico dei film di Rolando) ed è perfettamente in linea con la politica del film noi umani buoni contro voi alieni bastardi, quella di Russell è una vendetta per le torture subite durante i suoi rapimenti, veri o presunti, un uomo che si redime agli occhi dei figli e si riprende il suo orgoglio, in maniera sensibile e toccante, come? Con un dialogo: «Va bene brutti alieni del cazzo! Usando un’espressione della mia generazione, ficcatevelo nel culo!»

Incontri ravvicinati 2: A volte ritornano

Quanta sensibilità artistica, quanto male di vivere represso nei silenzi del non dett… Vabbè, dai, è una cafonata, però minchia che spasso! Tra l’altro, la prima delle profezie centrate da Rolando in vita sua, è che l’attore Randy Quaid, poi un ubriacone strambo e pazzoide lo è diventato davvero, non nella finzione, ma nella vita, forse si è immedesimato troppo nel ruolo, oppure, non stava recitando (gulp!).

La parte che divide è sicuramente il discorso del Presidente degli Stati Uniti Bill Pullman, a volte penso che Rolando Emmerigo sia Democratico e che il personaggio di Pullman in fondo sia una specie di Bill Clinton che per qualche ragione invece di suonare il Sax e giocare con le stagiste, guida aerei da caccia.

«Quello le stagiste io gli aerei da caccia, com’è sta storia?»

Anche perché Rolando ha iniziato ad essere più “critico” (virgolette d’obbligo) con il governo durante i suoi film usciti in sala durante la presidenza Bush, vabbè a parte questo, il piano originale di Emmerich era quello di avere un Presidente interpretato da (tenetevi forte) Kevin Spacey, incassato il no dell’attore, ha optato per Pullman, a guardare come sono andate le cose, forse Rolando non aveva sbagliato poi di tanto anche questa previsione.

Il discorso del Presidente è una roba, come detto, concettualmente anche criticabile, ma nell’ottica del film caciarone guardato abbracciato al ciotolone dei Pop-Corn, alla fine ti prende per il bavero e ti tira dentro, quando la musica di David Arnold inizia ad andare su, arriva quel clamoroso “…noi non ce ne andremo in silenzio nella notte!” e allora ciao! Ma ciao proprio, parte il fomento e non ci sono più per nessuno, noi non ci arrenderemo senza combattere! Noi continueremo a vivere! Noi sopravviveremo! Oggi, festeggiamo il nostro giorno dell’indipendenza! Yeeeeaaaah! Trionfo giubilo!

«Noi pochi, noi felici pochi, a combattere in questo giorno dell’indipendenza!» (una cosa così tipo).

Ma che ne sapete voi, cosa ne volete sapere, “Americanate” tzè, l’avete mai vista la vostra Margherita Buy fare un monologo come questo? Che ne sapete, che ne sapete!

Cafonate ignoranti ed esaltanti a parte, diamo atto ad “Independence Day” di aver saputo anticipare tante minacce globali e la distruzione cinematografica nei blockbuster degli ultimi vent’anni, quando Roland Emmerich critica i film di super eroi, lo fa per sponsorizzare il sequel di questo film, certo, ma non ha del tutto torto, le minacce sconfitte dai super eroi di oggi, sono figlie degli Alieni che ignorano l’esistenza di Kaspersky di ieri.

il secondo ballo della vittoria più bello della storia del cinema (e spudorato ma bellissimo omaggio a questo capolavoro)

Certo, per i film successivi di Emmerich io ormai ero troppo grande e lui troppo innamorato del suo schema ripetitivo, “ID4” è nel mezzo, bruttissimo, ma per qualcuno che c’era a suo modo di culto, a volte il Cinema è anche questione di tempismo: it’s the End of the World as We Know It (And I Feel Fine)

Sepolto in precedenza martedì 6 settembre 2016

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