Combattiamo la guerra tra poveri dottore. Le dispiace se mi sdraio? Che comoda questa chaise longue, dovrei metterne una a casa mia. Ho prenotato la seduta per tutta la prossima ora, tanto vale che mi metta comodo no? Ok, va bene, le scarpe le tengo.
No dicevo dottore, ho fatto questo incubo, in cui ho sognato che erano tutti impazziti per l’uscita di un quinto film di Indiana Jone… Eh lo so, abbiamo già fatto mesi di sedute per giungere alla conclusione più ovvia, ovvero che il quarto e il quinto film di Indy VERI sono Tintin e Fate of Atlantis. Però nel mio sogno questo Indy 5 veniva presentato al festival di Cannes, il tutto mentre continuava a cambiare titolo perché la Disney non si decideva su come chiamarlo e… Si, nel sogno la Disney è subentrata, la Paramount manteneva i diritti sul personaggio ma la casa del topo scuciva i soldi per produrlo, infatti invece della solita dissolvenza sul Monviso della Paramount nel mio sogno il film iniziava con una dissolvenza sul logo della Lucasart. Anche nel mondo onirico quando c’è da acchiappare soldi Lucas è sempre in prima fila.
Beh in ogni caso dottore… Ok professore, vabbè è la stessa cosa, con tutto quello che ha studiato! Insomma dottor Professore nel mio sogno anche le penne stipendiate che hanno visto il film in anteprima a Cannes non ne hanno poi scritto con il solito trionfo di sensazionalismi, come a confermare tutti i dubbi dietro alla produzione di un quinto film di Indy che senta qua, non è diretto da Spielberg (perché tanto dopo Tintin ha già detto tutto) però ha il non tanto inossidabile Harrison Ford sotto il Fedora, grande eh? Classe ’42 ancora ci dà, anche se nel film che ho sognato gli hanno fatto lo sconto di dieci anni.
Si dottor Professore, come dice? Solo professore? Ok, si dottor Solo Professore mi sono sognato anche tutta la pre-produzione del film, dovrebbe saperlo ormai, sono in cura da lei da anni. Una fase preparatoria che oltre al titolo del film che cambia ogni cinque minuti, prevede la solita orgia di sceneggiatori, sa il solito mucchio selvaggio di gente buttata dentro a scriverlo, una volta facevano le riscritture per testare la solidità di una trama, oggi pagano uno sceneggiatore in più ad aggiungere caos al caos, quindi David Koepp e John-Henry Butterworth, poi Jez Butterworth e infine James Mangold che le ha provate tutte per non dirigerlo questo film, nel mio sogno intendo.
Si perché Giacomo Uomoro ha una sfiga micidiale, si ricorda dottor Solo Professore che ne abbiamo anche parlato in seduta? Lui avrebbe anche idee bellicose da Autore con la “A” maiuscola, ma per stare nel giro che conta, si è fatto la fama di quello che sa dirigere i divi, quindi quando una stella di Hollywood fa le bizze, molto probabilmente è a lui che viene affidata. Sfiga perché quando invece gli attori lo seguono, vengono fuori anche bei titoli, tipo Cop Land o il remake di “Quel treno per Yuma”, poi sa come funziona Hollywood no? Ti fai il nome per essere stato quello che ha firmato la crepuscolare ultima avventura di un eroe molto amato dal pubblico, stanco, svogliato, che non ne ha più ma che deve rimettersi in sella per colpa di una “figlioccia” e resti etichettato a vita. Automatico che poi ti affidano anche Indiana Jones e il quaderno degli appunti o come si chiama questa settimana il film che ho sognato.
Quindi nel mio sogno Mangold aveva Spielberg a dirgli «Ci pensi tu?» ed Harrison Ford con una rata del mutuo immagino imbarazzante, che di mollare il personaggio non ha voglia e dottor Solo Professore io ci ho anche riflettuto, si potrebbe fare Indy senza di lui? Alla James Bond per capirci, con l’attore che cambia volto a rotazione. Per un po’ ho creduto fosse l’unico modo, poi sono giunto alla conclusione che no, Indy è Harrison Ford tanto quanto Rocky e Rambo sono zio Sly, il problema è che Stallone in quanto Autore, ha saputo scrivere dei capitoli conclusivi che tenessero conto dell’età dei suoi personaggi, della loro disillusione e non a caso, sono bellissimi, tutti e due. Inoltre ha saputo anche passare il testimone, ma qui veniamo al problema più grosso del mio incubo: Infernet.
Nel mio incubo dottor Solo Professore, si generava una situazione tipo Episodio VII se lo ricorda che spasso? Con argomentazioni del cazzo tipo «Tu un Zei un vero fanZ!» e menate calcistiche di questo tipo perché poi su “Infernet” funziona tutto così, l’ultimo titolo deve essere sempre il più bello o il più brutto. Ma nel mio sogno Indy riusciva nell’impresa di scatenare la guerra tra poveri, perché per una volta tutti, ma proprio tutti, nel mio sogno, sembravano allineati su un concetto chiave, ci sono i primi tre film della saga (e BASTA!) quelli veramente belli. Poi ci sono ‘sti due cosi aggiuntivi e giù a scannarsi se fosse meglio il quarto film o il quinto. Una follia dottor Solo Professore, perché andiamo, ha senso questo gioco a somma zero? Dopo che il podio è stato occupato, della finale quarto e quinto posto, quella in cui se va bene porti a casa la medaglia di legno, frega davvero qualcosa a qualcuno? Ok che in una gara tra cinque partecipanti nessuno si vanta di essere arrivato quinto, però ha senso perdere tempo così?
Nel mio sogno eravamo di fronte ad una situazione tipo quella della saga di Die Hard, tre filmoni clamorosi e poi beh, quegli altri due, che non a caso si giocano anche la carta del figlio e della “figlia” del titolare, per lasciare intendere che un giorno, la saga continuerà con loro. Ma sono sicuro che da qualche parte ad Hollywood, esista un enorme magazzino pieno di casse, dentro le quali invece dell’Arca dell’alleanza, ci stanno i soggetti di film con protagonisti Mutt “Shia LaBeouf” Williams, Helena “Phoebe Waller-Bridge” Shaw, oppure Lucy “Mary Elizabeth Winstead” McClane e John “Jai Courtney” McClane Jr. tutta roba che qualche VERO FAN potrebbe dichiarare di trovare interessante, ma se mai uscisse verrebbe demolita su “Infernet” e non incasserebbe una ceppa.
Comunque dottor Solo Professore, devo dirle che ad una prima occhiata distratta, e se gli sbirri non ci mettono dentro il loro grugno (cit.) questo “Indiana Jones and the Dial of Destiny” è aderente al concetto di meno peggio, il che a qualcuno basterà e ad altri no, però il risultato è un film che non fa mai davvero qualcosa di completamente sbagliato, tanto da sporcare il foglio in maniera irreversibile, però risulta… Dalle mie parte si direbbe gnecco, un po’ piatto e senza particolare inventiva, un compitino, a tratti svolto anche bene non lo nego, ma se volessimo fare un paragone, direi che questo film sta alla saga di Indy come la leggenda metropolitana (già ampiamente smontata e smontabile) sul fatto che in Raiders il protagonista sia ininfluente, in quel caso non era vero, qui lo è per il film all’interno della cinquina, non aggiunge nulla perché è lo stesso James Mangold ad essere consapevole lui per primo di stare dirigendo un “More of the same” costosissimo, il più costoso di tutta la saga e anche lunghissimo, con i suoi 154 minuti in cui lo confesso a lei dottor Solo Professore, facendo leva sulla sua riservatezza professionale, glielo dico sottovoce… Io mi sono anche annoiato, se mi è concesso un parere soggettivo.
Per essere una minestra riscaldata, tutto sommato l’inizio non è nemmeno malaccio, un prologo ambientato nel 1945 con i Nazisti in rotta e Indy ringiovanito con la tecnica del de-aging, che ha fatto tanto chiacchierare ma è il problema minore del film. Pensi dottò che nel mio sogno trovava spazio anche Anthony Ingruber anche se poi veniva messo in panca da quintali di CGI bruttina, che subconscio strano il mio eh? Sta di fatto che si, quando questo Indy ringiovanito ruota la testa velocemente, lascia la scia e “lagga” un po’ ma tutto sommato l’inizio almeno è ritmatino, con Toby Jones nei panni di Basil Shaw, una sorta di Marcus Brody 2.0 e la lancia di Longino da provare a recuperare, anche se va detto, qui sembra che James Mangold abbia calato la maschera. L’artefatto è un falso (quasi come il falso Indy CGIovane che non perde mai il cappello nemmeno con il forte vento contrario), sembra quasi il suo modo per dichiarare i suoi intenti, stiamo rincorrendo un MacGuffin emotivo, un falso, ormai siamo oltre all’effetto malinconia, siamo alla malinconia del marketing (e se… Rilanciassimo la saga di Indy? Disse la Disney), infatti la scena “Prequel” iniziale è divertentina, ma non allaccia nemmeno le scarpe al vero prequel di Indy, che guarda caso prevedeva il nostro in corsa su un treno, all’inizio del terzo capitolo. Ovvero L’ultimo film di Indy! Prima di quelli frutto delle mie notti tormentate da strani incubi.
Perché parliamoci chiaro dottor Solo Professore, Spielberg, Lucas e Kasdan si rifacevano ad un immaginario antecedente, omaggiando i film di avventura degli anni ’40 e ’50 e i serial della Republic Pictures, spesso prendendo a prestito intere scene, per rifarle in modo creativo all’interno di una trama retrò ma nuova. James Mangold invece che cosa fa? Quasi lo stesso ma in tono minore, visto che gli unici film che prende a modello sono i tre film di Indy degli anni ’80 (gli unici che esistono!) perché sono l’equivalente dei serial della Republic Pictures per una generazione cresciuta con Indy, peccato che il risultato sia manicheo. Se aveva un senso affogare l’archeologo in un quintale di (veri!) insetti, esagerati ma in linea con le atmosfere di un film con venature horror ambientato in India, ha decisamente meno senso che gli stessi insetti (ma in CGI) ritornino anche nella Siracusa del 1969, però vuoi non citare un po’ di Tempio Maledetto? Tutto così, la guerra tra poveri ammalati di malinconia, anche di marketing in questo caso, perché più che “Il quadrante del destino” sembra “Il quadretto degli appunti“ di Mangold, in cui in ogni pagina ci sta scritto: «COPIA SPIELBERG E FATTI PAGARE TANTO!»
Harrison Ford non fa mai qualcosa di impossibile per un uomo della sua età, il contrasto tra Indy CGIovane e l’anziano in carne ed ossa, che nella New York del 1969 urla ai giovani vicini di abbassare la musica è un buon contrasto, nel mio sogno questo vecchio Indy era stanco, disilluso e con le carte per il divorzio da Marion Ravenwood (Karen Allen) pronte per essere firmate. Qui mi è venuto in mente Joe Quesada quando di Spidey diceva che peggio di un eroe vedovo, c’è solo un eroe divorziato, però come detto “Il quadretto degli appunti” non è un film che sbaglia in modo plateale, risente del fatto di essere stato scritto da molte mani (e tante teste), quindi appena introduce un’idea ad alto potenziale di scivolone, più avanti nel corso della storia la stempera. Ad esempio scopriamo che il matrimonio è andato in crisi per via della perdita del figlio, un personaggio talmente amato che è stato ammazzato fuori scena, almeno Spielberg a Sean Connery una telefonata per chiedergli se voleva partecipare l’aveva fatta, poi si è sentito rispondere «Meglio giocare a golf» e quindi foto di papà sulla scrivania, in un film che ribadisco, non esiste! Mi sarò sognato anche quello.
I film di Indy sono sempre state avventure, che al massimo sapevano gettare nel mucchio spunti di riflessione (penso ad alcune frasi di papà, quella sui libri da leggere e non da bruciare ad esempio), invece l’Indy 5 del mio sogno non riusciva ad avere la stessa solennità delle avventure finali di Rocky e Rambo, incespicando spesso su una generica riflessione sul tempo che passa e sulla disillusione che viene, ma non è nemmeno quello il problema, ma proprio il suo essere un elenco di punti da sbrigare, problemi che Spielberg non aveva più voglia di affrontare e che ha lasciato volentieri a Mangold, che invece di fare il suo Indy, ha rifatto una versione annacquata di quello che i fan hanno sempre amato, per un film che comunque lo ribadisco per restare lucidi, si gioca la finalina per la medaglia di legno al massimo, non di più.
Helena Shaw è stata affidata a Phoebe Waller-Bridge, nulla mi toglie dalla testa che se questo film fosse uscito negli anni ’90, nello stesso ruolo avremmo trovato Sarah Jessica Parker, nemmeno l’altra bionda che con il suo passato Carpenteriano avrebbe almeno avuto dei trascorsi. La protagonista di Fleabag è la “Quota rosa” imposta da Hollywood che per una volta, non è il solito personaggio femminile tosto senza la quale il film non viene messo in produzione. Helena Shaw riesce quasi a camminare sulle sue gambe, purtroppo inciampa in due problemi secondo me gravi, manca un vero legame tra lei e Indy, ok la figliocca con il soprannome “Vombato” (ma perché la chiama così? Per caso fa la cacca quadrata?) ma i due non sembrano avere poi che gran legame, nemmeno un buono uso degli ellissi in un flashback ridondante pare legare di più i due personaggi, al massimo allunga il minutaggio. Inoltre il suo dover compensare le carenze atletiche di Ford, rendono Helena Shaw un personaggio perfettino, che alla lunga lo dico sottovoce… Ho trovato un po’ urticante. Sa fare tutto lei, sa leggere i codici e parlare le lingue antiche, anche perché è il personaggio che si ritrova sulle spalle il compito di dare “un’idea di movimento” attorno a Ford che la maggior parte del tempo, sta seduto.
Sta seduto sulla barca ad assistere all’apparizione lampo di Banderas, sta seduto sull’aereo in volo nel finale, certo vediamo anche la sua controfigura gettarsi a fondo tra le murene rischiando l’embolia o la sua controfigura scappare a cavallo durante la parata. Nel mio sogno Mangold si ricordava anche della mia teoria sulle scene in metro nei film, perché è uno che legge la Bara Volante regolarmente, però qui veniamo all’altro grosso problema del film che non consiste nel fatto che Teddy sia tutto sommato uno Shorty che non ci ha creduto abbastanza (ma anche lui sa fare tutto, compreso imparare a nuotare e volare) ovvero i momenti d’azione.
La saga di Indiana Jones è sempre stata figlia della volontà di Spielberg di alzare la posta in gioco, lo ha raccontato lui che ha imparato ad amare il cinema dover aver visto un treno tirare un ciocco fortissimo no? Quindi tutti i film da lui diretti, anche quello frutto di un mio incubo, che non esiste, seguivano questa filosofia, andavano a 200 Km all’ora e filavano via lisci, montati alla grande, diretti meglio, coreografati come si fa in paradiso, tranne quello là che ho sognato dopo aver cenato a base di peperonata, quello anche andava forte, ma poi deragliava malamente nel tentativo di provarci ancora una volta a correre. Normale che dopo quello Spielberg si sia dato all’animazione per continuare a correre. Questo? Non un’idea originale che sia una, anche quando il personaggio resta seduto e deve solo cavalcare o guidare, il film resta statico, montare le scene velocemente non vuol dire creare movimento o innovazione, perché guarda caso Indy è sempre alla guida di un mezzo più veloce dei suoi inseguitori, anche quando va contro la fisica di base (Cavallo più veloce di moto, cavallo più veloce di metropolitana, Ape Cross marocchino più veloce di bolidi rombanti) e non risulta impossibile da prendere perché il nostro ha un maggior talento come pilota, semplicemente lo vediamo andare dritto, solo che gli altri non lo raggiungono mai perché? Perché sì.
Giocarsela con una battutina fiacca («Sa, ho un po’ di fretta») non cambia il fatto che la parte più sbadigliosa di questo film, siano proprio le scene d’azione, che sono TUTTE noioso e posticcio schermo verde, per altro animato con una CGI a tratti pietosa che mi ha più volte tirato fuori dalla storia. La prima volta che sentiamo John Williams intonare di nuovo il tema di Indy nel film che ho sognato, Mangold allarga l’inquadratura sullo sfondo del treno che risulta posticcio, come gli aerei in volo, come Phoebe Waller-Bridge sulla motoretta che si aggrappa all’aereo che sta per decollare. La vedi che fa la faccia impegnata ed è impossibile non immaginarla davanti allo schermo verde, un po’ come Boris Karloff nella scena finale di “I tre volti della paura” (1963) di Mario Bava, però senza l’ironia e il genio di fondo.
Il cattivo nazi di Mads Mikkelsen funzionicchia per via del carisma dell’attore, che riesce anche a snocciolare un paio di frasi bastardine («E si sta godendo la vittoria?») ma il film è pieno di vicoli ciechi narrativi, figli delle troppe teste coinvolte nella stesura. Indy eroe del passato, messo da parte in favore dei nuovi eroi, gli astronauti che sono arrivati sulla luna grazie anche alle conoscenze scientifiche di quelli che un tempo erano i nemici dell’archeologo. Sarebbe anche interessante, ma resta un tema inutilizzato sullo sfondo dell’anno 1969, così come le motivazioni di Voller, che vuole a tutti i costi l’Antikytera di Archimede (una sua versione da film, meno interessante della lancia di Longino) ma non si sa come mai, fino alla fine dove Indy (da seduto) smonta il suo piano come da tradizione, lasciandoci con un cattivo che ad una prima occhiata distratta sembra funzionare, ma poi risulta ininfluente, come questo film.
Nel mio sogno poi, nessuno su “Infernet” sembrava notare un dettaglio che come tutti i vicoli ciechi narrativi di questo “Quaderno degli appunti” mi ha tenuto con il minimo del gas dell’interesse (malgrado la noia delle scene d’azione senza creatività) per poi spegnersi e sgonfiarsi come ogni trovata presente nella trama. Harrison Ford passa da CGIovane a vecchiotto, Mads Mikkelsen invece resta uguale, un ciuffo alla Crudelia De Mon tra i capelli ok, ma non una ruga sul viso. Per tutto il tempo ho pensato: Ok ora la trama e la presenza dell’Antikytera giustificherà che so, che Voller viaggia nel tempo? Si è costruito una posizione nel 1969 usando le sue conoscenze senza invecchiare? No niente, anche quando la svolta fantastica arriva, non giustifica il non-invecchiamento di Mikkelsen, quindi anche qui, avete il de-aging e poi lo utilizzate in maniera così poco creativa? Come tutto in questo film, bah!
Ci tenevo a dirle però caro il mio dottor Solo Professore, che tutto sommato, l’elemento fantastico finale ci sta anche, d’altra parte arriviamo da una saga in cui in uno dei capitoli migliori, Indy interagiva con un cavaliere Templare, quindi perché non quell’incontro. Però a quel punto della storia del mio sogno, il suo essere così rinunciatario non ha molto senso e mi dispiace che Mangold, che era riuscito a tenersi lontano dalla ruffianeria per quasi tutto il tempo, ci sia poi scivolato nel finale, in cui ci dà di gomito (in tutti i sensi!) alla malinconia del pubblico. Peccato perché nel mio sogno, “infernet” assumeva questo sguardo accigliato, di chi sa di essere davanti all’ultimo film di Indy, che è un po’ come quando esce il nuovo film di Eastwood e per tutti pare che sia l’ultimo, finché non ne esce un altro. Anche perché questo “Quadretto degli appunti” non termina certo con un finale forte, incisivo, ma con una sorta di “tarallucciatore” che volendo, lascia aperte tutte le porte, anche perché il pubblico si è precipitato in sala a vederlo il film, dimenticando la regola di Coppola che andare al cinema è come votare. Poi lamentatevi del fatto che escano solo seguiti di vecchi film eh? Mi raccomando, lamentatevi. Cioè, nel mio sogno intendo.
Insomma dottor Solo Professore, questo quinto film di Indy che ho sognato alimentava la guerra tra poveri, un grosso meno peggio, ma sempre di un film ben poco riuscito resta, uno dove si cerca di replicare le vecchie glorie e i vecchi ricordi fallendo. Se devo dire la mia, tra un film che prova ad essere creativo senza riuscirci e deragliando male e uno che cerca di dare un’idea di movimento ma più che altro si basa sull’effetto malinconia, come Renton scelgo di non scegliere, perché comunque finirei per assegnare la medaglia di legno a due film che se mai rivedrò (impossibile, non esistono, li ho sognati) finirò per notare i difetti più o meno lampanti che li compongono e ad annoiarmi di nuovo, come ogni volta che ho provato a dare una chance a due titoli per cui non vale la pena perdere troppo tempo. Come Die Hard abbiamo tre bei film, gli unici che contano e poi vabbè, quegli altri, forse qualcuno si scannerà per anni per assegnare una medaglia farlocca come la lancia di Longino o come la faccia dell’Indy CGIovane, ma alla fine il massimo che potremmo ottenere è un pareggio no dottor Solo Professore? Una “X”.
Il Professore che ha ascoltato distrattamente il delirio di Cassidy ruota la sedia, si alza e va verso l’appendiabiti per afferrare il Fedora che sta appeso sopra: «Anche per questa settimana abbiamo finito ragazzo, smettila di fare questi incubi e ricordati di lasciami dove devo stare, nei tuoi ricordi. Ah un’ultima cosa… La “X” non indica mai il punto dove scavare. Se proprio devi fare la fatica, che almeno ne valga la pena»
Indossando il Fedora, il professore esce dalla stanza, apre la porta e parte a cavallo verso il tramonto. Con una bella canzone in sottofondo.
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